lunedì 30 ottobre 2023

Brigitte Bardot, «semplicemente»…

Anne Carson, in uno dei suoi saggi  - "Il disprezzo", su Omero, Moravia e Godard -  parla di Brigitte Bardot, sul suo modo di apparire sullo schermo cinematografico, e di come usava il proprio corpo sul set cinematografico. Nell'incipit del film di Jean-Luc Godard tratto da un romanzo di Moravia - scrive Carson - vediamo la Bardot, che è nuda sul letto, e la macchina da presa che «zuma sul suo corpo e indugia sulla sua schiena». «In questa scena, la Bardot agisce senza disprezzo», scrive Carson, e continua: «I suoi gesti sono semplici, trasparenti; il tono della sua voce è serenamente banale. Il suo comportamento è innocente come l'acqua. Ma, tuttavia, in qualche modo, è proprio nel mezzo di questa esposizione totale e totalmente forzata di sé stessa, che ... scompare» (da Anne Carson, "On What I Think About Most"). «Nel momento di massima esposizione, la Bardot riesce a fare sparire il proprio corpo, fa sì che il proprio corpo rifiuti qualsiasi tipo di vicinanza proprio a partire dal fatto di... esporsi: in quella che sembra essere come una sorta di sorprendente applicazione immaginaria di quel procedimento narrativo inventato da Edgar Allan Poe ne "La lettera rubata".»

E Georges Didi-Huberman, nel suo "Passés cités par JLG", scrive: « E ci riesce semplicemente perché ci permette di rivisitare qualcosa che abbiamo già visto un tempo; un volto, un corpo, un gesto, un paesaggio, un edificio, una città, un atto collettivo. Si tratta di qualcosa per cui il cinema appare come un modo eminente di citare il passato: nel tempo, ciò che è stato filmato un giorno torna ora, nella proiezione, davanti ai nostri occhi, ripetibile a piacere.» (p. 67). Sta qui il potere del cinema -  come viene colto da Carson e da Didi-Huberman - risiede dietro quel... «semplicemente»: ecco, sembra tanto semplice, ma non lo è; non lo è perché il cinema ci permette di «citare il passato» (un corpo, un gesto, un edificio), riportandolo così nel presente, «davanti ai nostri occhi», «sotto il nostro sguardo».

Non si tratta di riproporre in maniera neutra "il medesimo", "lo stesso", come se si trattasse di una testimonianza "affidabile" di qualcosa che sarebbe accaduto; si tratta piuttosto di una "proiezione" - come scrive Didi-Huberman - si tratta di un'immagine situata nel presente la quale ha una risonanza con il passato (e ciò proprio perché il passato, nell'immagine, viene "citato": ragion per cui vale la pena di tornare a ciò che Antoine Compagnon dice a proposito della citazione... definita come «la più potente figura postmoderna»; oppure, a quel dice riferendosi alla citazione del passato visto come "proiezione"; soprattutto, vale la pena tornare a ciò che Billy Wilder ha fatto nel 1943 ne "I cinque segreti del deserto" (Five Graves to Cairo)!

fonte: Um túnel no fim da luz

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