« È paradossale che Bourdieu, il quale così tanto rimproverava a Sartre di aver costruito, secondo la formula di Mannheim, l'immagine dell'intellettuale libero "senza legami né radici", e di avere vincolato il contenuto dei suoi libri, filosofici o letterari, alle sue origini di classe, abbia poi fatto del suo meglio, a partire da un dispositivo, presentato, nel suo "Schema di autoanalisi", come "scientifico", per mezzo del quale ha così separato il suo proprio pensiero dai suoi legami e dalle sue radici. Offrendo un'analisi della mente piuttosto che del corpo, del pensiero piuttosto che della sua iscrizione sociale.
È un peccato che Bourdieu abbia analizzato così poco le disposizioni acquisite in gioventù per riuscire a capire chi era nel momento in cui è entrato nello spazio scolastico, universitario e scientifico, laddove avrebbe cercato di trovare un posto, di inventare una posizione, sulla base di scelte fondate su attrazioni e repulsioni; non tutte, e né tutte, derivanti dalla purezza della riflessione intellettuale, le quali possono essere addirittura definite quasi istintive.
In realtà, mi sembra che Bourdieu proceda in questo modo nel suo libro su Heidegger, nel quale l'analisi dell'habitus occupa un posto altrettanto importante dell'analisi del campo filosofico; o, più precisamente, in cui sono i due livelli di analisi a essere inseparabili, facendo sì che, in tal modo, la situazione che Heidegger si costruisce nello spazio teorico, finisce per trovarsi in quella che è una relazione abbastanza diretta con le sue inclinazioni politiche e sociali ».
(Didier Eribon, La société comme verdict. Classes, identités, trajectoires, Fayard, 2013)
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