domenica 1 ottobre 2023

Autoritari e non !!

MARX, BAKUNIN E LA QUESTIONE DELL’AUTORITARISMO
  - di David Adam -

La critica di Bakunin alle propensioni “autoritarie” di Marx ha determinato il prevalere della tendenza a lasciare in ombra quella che invece ha costituito la critica di Marx alle intenzioni “autoritarie” di Bakunin. In gran parte, ciò è stato dovuto al fatto che le correnti principali dell’anarchismo e del marxismo sono state attratte dal mito della cosiddetta statolatria “autoritaria” di Marx; mito condiviso da entrambi gli schieramenti. Pertanto, il conflitto nella Prima Internazionale dev'essere direttamente attribuito a un disaccordo che avrebbe riguardato i principi anti-autoritari, il quale ha portato a sostenere che l’ostilità di Marx nei confronti di Bakunin avesse origine nel suo opporsi a tali principi a partire da quello che sarebbe stato il suo "avanguardismo", ecc. L’anarchismo - non senza ragione - si è posto come alternativa “libertaria” all’ “autoritarismo” del marxismo ufficiale. E, a partire da questo, non c'è stato nulla di più facile se non arrivare a considerare la celebre diatriba tra i due teorici pionieri dei due rispettivi movimenti - Bakunin e Marx - come se si trattasse di un conflitto tra la libertà assoluta e l'autoritarismo.

Filosofia politica
Innanzitutto, Marx criticava in Bakunin ciò che egli considerava fosse solo una versione aggiornata della posizione dottrinaria di Proudhon rispetto alla politica: l’idea che ogni potere politico fosse antitetico alla libertà. Inoltre, ciò che separava Bakunin da Marx, era un idealismo radicale simile a quello di Stirner: «Finora la libertà è stata definita dai filosofi in due modi; da una parte (dai materialisti) come potere, come dominio sulle circostanze, e delle condizioni in cui vive un individuo; dall’altra, come autodeterminazione, come liberazione dal mondo reale, come mera libertà immaginaria dello spirito (una definizione, questa, fornita da tutti gli idealisti, soprattutto dagli idealisti tedeschi» (Karl Marx e Friedrich Engels, "L’ideologia tedesca"). Nonostante il suo dichiarato materialismo, Marx taccia di idealismo Bakunin che dichiarava: «Libertà è il diritto assoluto di ogni essere umano a non cercare per i suoi atti nessun’altra sanzione se non la propria coscienza, e determinare i suoi atti solamente a partire dalla propria volontà, e di conseguenza attribuirne la prima responsabilità solo a se stesso.» (da: Daniel Guerin, "Anarchism"). Qui, a fondamento della libertà vengono posti i diritti naturali dell’individuo, mentre in Marx è piuttosto lo sviluppo della libertà a coincidere con la creazione di un nuovo essere umano, il quale non viene più posto di fronte ai propri alienati poteri sociali come se fossero una forza ostile. Mentre Bakunin scrive che «ogni individuo, ogni associazione, ogni comunità, ogni provincia, ogni regione, ogni nazione possiede un diritto assoluto di autodeterminazione, di costituire o meno una associazione, di stringere alleanza con chiunque desideri, e di rompere le alleanze senza tenere alcun conto di supposti diritti storici o degli interessi dei propri vicini …» (da Mikhail Bakunin, “The Program of the Brotherhood”), anziché simili sofismi, Marx indica sempre necessariamente il carattere storicamente determinato dei diritti umani, della natura umana e delle possibilità delle società: «Ogni cosa, ogni possibile forma di oppressione è stata giustificata dal diritto astratto, è giunto il momento di abbandonare questo modo di agitazione». Per Marx, intendere la libertà come libertà da interferenze esterne, come autodeterminazione, è solo il riflesso ideologico della società civile borghese e dell’hobbesiana “guerra di tutti contro tutti”. Nel suo “Sulla questione ebraica”, del 1843, Marx aveva scritto, «Dunque il diritto dell’uomo alla proprietà privata è il diritto di beneficiare a proprio piacimento (à son gré), senza curarsi degli altri uomini, a prescindere dalla società, dei propri beni e di disporre di essi, il diritto del proprio tornaconto. Quella libertà individuale, come questo impiego della medesima, rappresentano il fondamento della società civile. Essa lascia che ogni uomo rinvenga nell’altro uomo non la realizzazione, ma piuttosto il limite della propria libertà». Dove la teoria di Bakunin sui diritti naturali costituisce la base del suo rifiuto dello stato borghese, a favore del federalismo, l’opposizione di Marx allo stato borghese scaturisce invece dalla critica dell’alienazione dell’individuo sotto il capitalismo. Sarà proprio qui, nell’ambito della coscienza di classe e dell’azione politica, che si scatenerà la contesa tra Marx e Bakunin. Dove Bakunin aveva la tendenza a identificare la libertà con le leggi naturali e con la spontaneità - propugnando a partire da queste  la creazione di gruppi clandestini di rivoluzionari al fine di sollecitare gli istinti latenti delle masse - Marx sottolineava invece la necessità di far emergere una coscienza comunista su una dimensione di massa; la quale coscienza comparirebbe solo allorché i lavoratori esercitino per proprio conto quelle creative capacità di organizzazione che, nella vita quotidiana sotto il capitale, vengono loro negate: «Qui [in Germania], dove il lavoratore viene diretto burocraticamente fin dall’infanzia in poi, dove crede nell’autorità, in coloro che sono posti sopra di lui, la cosa più importante è insegnargli a camminare da solo» (Karl Marx, “Marx a von Schweitzer”). Fondamentalmente, la gestione del potere politico da parte dei lavoratori ha questa finalità: i proletari devono farsi carico di tutto, riorganizzare la società e in tal modo ricreare sé stessi attraverso un arduo processo di auto-emancipazione. Pertanto, la gestione del potere politico non viene a essere in opposizione con l’autonomia della classe operaia, ma piuttosto essa costituisce lo strumento mediante cui la classe operaia gestisce i propri affari: «Un giorno» - ebbe a dire Marx nel 1872 - «il lavoratore dovrà assumere la supremazia politica al fine di instaurare la nuova organizzazione del lavoro; dovrà rovesciare la vecchia politica, insieme al sostegno che essa offre alle vecchie istituzioni,  se vuole sfuggire al destino dei primi cristiani, i quali, trascurando e disprezzando la politica, non videro mai il loro regno sulla terra.» (Karl Marx, “On the Hague Congress”). Diversamente da Marx - che nello stato borghese vedeva solo i poteri alienati del cittadino - Bakunin invece considerava lo Stato in quanto tale identico all'«autorità, alla forza.» (Mikhail Bakunin, “Dio e lo Stato”). Questa concezione dello Stato procede di pari passo con la concezione volontaristica di creare il socialismo. Marx scrisse a proposito di Bakunin: «La forza della volontà, e non le condizioni economiche, è per lui la base della sua rivoluzione sociale.» (Karl Marx, “Notes on Bakunin’s Book Statehood and Anarchy”). Se lo Stato, considerato astrattamente, viene visto come una imposizione contro i diritti naturali dell’individuo, allora, per i proletari non vi è alcuna necessità di assumerne collettivamente le sue funzioni. «Indottrinare il popolo?» - chiese una volta Bakunin -  «questo sarebbe da sciocchi … noi non dobbiamo educare il popolo ma spingerlo alla rivolta.» (Paul Avrich, "The Russian Anarchists"). Marx aveva sempre respinto una simile posizione. In una discussione con Weitling, il quale era un sostenitore della dittatura dell’individuo, Marx argomentava dicendo che sollecitare i lavoratori, senza offrire loro nessuna idea scientifica o una dottrina costruttiva, nel predicare «equivale a quel vano gioco disonesto che presume ci sia da un lato un profeta ispirato, e dall’altro solo asini a bocca aperta.» (Francis Wheen, "Karl Marx: A Life "). Marx criticava, espressamente e  in termini analoghi, i bakuninisti nella Prima Internazionale: «Per loro, la classe operaia non è nient’altro che materiale grezzo, un caos che necessita del soffio del loro Spirito Santo per dargli forma.» (Karl Marx e Friedrich Engels, “the Alleged Splits in the International”). Marx arrivò a criticare Bakunin perfino nei medesimi termini che Bakunin notoriamente usava contro di lui: «Evidentemente, questo russo vuole diventare il dittatore del movimento operaio dell’Europa.» (Karl Marx, “Marx a Engels”.) Circa le posizioni divergenti di Bakunin e di Marx, vale la pena considerare un saggio poco noto nel quale Marx ed Engels citano parti del programma di Bakunin riguardo la sua organizzazione segreta denominata "Associazione della Fratellanza Internazionale" (da Daniel Guerin, "Né Dio né Padrone"). Si può leggere qui il testo di Bakunin, con tra parentesi i commenti di Marx ed Engels: «Tutto ciò che una società segreta ben organizzata può compiere è, primo, contribuire alla nascita della rivoluzione diffondendo tra le masse idee corrispondenti ai loro istinti e organizzando non l’esercito rivoluzionario – tale esercito deve essere sempre sostituito dal popolo stesso (carne da cannone) [ … ] ma uno Stato Maggiore rivoluzionario composto da devoti, energici, intelligenti e soprattutto sinceri amici del popolo, che non siano ambiziosi o presuntuosi e che siano in grado di funzionare come raccordo tra le idee rivoluzionarie (monopolizzate da loro) e gli istinti popolari.» (Karl Marx e Friedrich Engels, “The Alliance of Socialist Democracy and the International Working Men’s Association”). Marx ed Engels chiosano ulteriormente: «Affermare che un centinaio di fratelli internazionali "devono funzionare come raccordo tra idee rivoluzionarie e istinti popolari", significa creare un fossato invalicabile tra l’ideale rivoluzionario dell’Alleanza e le masse proletarie; significa proclamare che questi cento guardiani non possono essere reclutati altrimenti che fra le classi privilegiate.» (ivi) Secondo Marx, il programma rivoluzionario di Bakunin, trattando il lavoratore come «mero materiale grezzo», gli impediva di imparare «a camminare da solo».

L’Internazionale
Appare utile fornire alcuni importanti precisazioni riguardo la presenza di Bakunin nella Associazione internazionale dei lavoratori (o Prima Internazionale). Bakunin entra nell’Internazionale solo nel luglio del 1868, mentre Marx vi è coinvolto fin dalla sua fondazione, nel 1864. Durante il 1867-68 Bakunin e alcuni dei suoi sodali sono coinvolti nella Lega per la Pace e il Progresso, un gruppo democratico e riformista. Nella conferenza della Lega tenuta nel settembre 1867, Bakunin svolge un ruolo rilevante, ed è convinto di riuscire a imporre alla Lega la sua politica rivoluzionaria. Quando si unisce all’Internazionale, Bakunin spinge per una stretta collaborazione tra Lega e Internazionale. Arthur P. Mendel commenta quali fossero a quel tempo le intenzioni di Bakunin, citando Bakunin stesso: «Non prevedeva di "sciogliere la nostra Lega" nell’Internazionale ma voleva fare in modo che esse operassero insieme come organizzazioni complementari, con l’Internazionale "impegnata, se non esclusivamente almeno principalmente, nelle questioni economiche", mentre invece la Lega avrebbe trattato le "questioni politiche, religiose e filosofiche", e cosi avrebbe anche "predisposto quali sarebbero state le problematiche, e pertanto avrebbe definito la direzione politica".» (Arthur P. Mendel, Michael Bakunin: Roots of Apocalypse) Al congresso della Lega del settembre 1968, però, Bakunin e i suoi compagni si trovarono in minoranza, e così, insieme a diciotto suoi sostenitori egli uscì dalla Lega, decidendo di formare una nuova organizzazione. Mendel commenta: «Trovando un compromesso tra il desiderio, che nutriva Bakunin, di avere un'organizzazione completamente segreta e il preferire, da parte degli altri membri, un'associazione pubblica, i fondatori optarono per entrambe le forme. Di modo che alla fine venne costituita, la "Alleanza",  così come venne chiamata l’organizzazione nel suo complesso, la quale mostrava diversi livelli di segretezza e di affidabilità, vale a dire, diversi gradi di legami "di famiglia" con Bakunin.» (ivi). Mendel descrive poi ciò che accadde in seguito: «Tramite la mediazione di Becker, un amico di Marx, [Bakunin] fece ufficialmente domanda affinché L'Alleanza, nel suo complesso, venisse ammessa nell’Internazionale, ma a condizione che l’Alleanza potesse mantenere la propria integrità organizzativa, tenere i propri congressi e così via. L’Internazionale avrebbe guadagnato molto da tale fusione - così sosteneva Becker in una lettera che accompagnava la domanda di ammissione - dal momento che l’Alleanza poteva compensare quella che era la mancanza di “idealismo” dell’Internazionale. Le due organizzazioni si completavano a vicenda - così scrisse Bakunin più tardi - poiché l’Internazionale poteva continuare il suo apprezzabile lavoro tra le masse, esibendo necessariamente solo gli “elementi” del programma completo, mentre l’Alleanza - collocandosi a un più elevato livello di sviluppo - avrebbe salvaguardato i contenuti ideali del programma, e quindi trovarsi nella condizione di dare all’Internazionale una “direzione realmente rivoluzionaria”. Quando più tardi ebbe a descrivere il rapporto tra la sua Alleanza e l’Internazionale, [per Bakunin] l’Alleanza doveva essere “una associazione segreta costituita all’interno dell’Internazionale al fine di dare all’Internazionale una organizzazione rivoluzionaria, al fine di trasformarla, insieme alle masse popolari al di fuori di essa, in una forza con un buon livello di organizzazione, sufficiente ad annientare la reazione.» (ivi). Su tali argomenti, Marx si è espresso nella sua lettera a Lafargue del 19 aprile 1870.I sospetti di Marx sembravano confermati dalla forma privata in cui Bakunin affrontò la questione, come anche dalle osservazioni sull’Internazionale, in una lettera a Richard: «Che si viva in mezzo agli altri e che li si usi. Però vivremo con loro così come fanno i parassiti: nutrendoci della loro vita e del loro sangue. …». Il Consiglio Generale dell’Internazionale rifiutò categoricamente di ammettere l’Alleanza nell’Internazionale, se prima non avesse cessato di operare come un'organizzazione internazionale parallela (ivi). Un biografo di Bakunin, che simpatizzava per lui, ha scritto: «La risposta di Marx, alla richiesta avanzata dall’Alleanza, era abbastanza logica e notevolmente moderata, considerando la sua forte passionalità.» (Mark Leier, Bakunin, The Creative Passion)

Marx non era ovviamente il solo che nutrisse sospetti riguardo il tentativo dell’Alleanza di ottenere l’affiliazione. Il Consiglio della sezione belga dell’Internazionale inviò una lettera all’Alleanza di Ginevra esprimendo l’opinione che le iniziative dell’Alleanza fossero frazionistiche e pericolose: «Non comprendete che i lavoratori crearono l’Internazionale esattamente perché non volevano nessuna forma di patrocinio sia da parte dei socialdemocratici che di chiunque altro; che vogliono procedere per proprio conto senza consiglieri; e che se accettano nell’associazione [l’Internazionale] quei socialisti che, a causa della loro nascita e della condizione di privilegio nell’attuale società, non appartengono alla classe diseredata, ciò avviene alla sola condizione che questi amici del popolo non formino un gruppo separato, un genere di protettorato intellettuale o una aristocrazia dell’intelletto, in una parola, dirigenti, ma invece rimangano parte dei ranghi delle grandi masse proletarie.» (Arthur P. Mendel, Michael Bakunin: Roots of Apocalypse). Alla fine, l’Alleanza di Bakunin riuscì ad entrare nell’Internazionale. Mendel riferisce le condizioni alle quali ciò ebbe luogo: «In un incontro di fine febbraio 1868, il Bureau [dell’Alleanza] decise di accettare le condizioni stabilite da Londra, cioè “dissolvere” l’Alleanza in una rete internazionale e trasformare le sue sezioni locali in sezioni dell’Internazionale. In tal modo l’Alleanza sarebbe entrata nell’Internazionale "senza alcuna organizzazione, senza uffici, comitati e congressi distinti da quelli della Associazione Internazionale dei Lavoratori", o almeno così dichiarò il Bureau annunciandone pubblicamente lo scioglimento. In realtà non vi fu assolutamente alcun scioglimento. Una corrispondenza segreta in codice - tale essa era - continuò a scorrere dalla penna di Bakunin verso i suoi “intimi” in altri paesi, nella quale si discutevano, fra le altre cose, le tattiche da seguire per rafforzare l’influenza dell’Alleanza nell’Internazionale; e il Bureau segreto di Ginevra continuò ad esistere accanto a quella che ora era diventata la sezione di Ginevra dell’Alleanza nell’ambito dell’Internazionale.» (ivi) Ad esempio, nel maggio 1872 in una lettera ad A. Lorenzo (un delegato alla conferenza di Londra del 1871), Bakunin scrisse che l’esistenza del«l'Alleanza rappresenta un segreto che nessuno di noi può divulgare senza compiere un tradimento» (ivi). Pertanto, egli pretese che Lorenzo si rivolgesse a lui semplicemente in quanto membro dell’Internazionale, e non dell’Alleanza segreta, in modo che così la lettera di Lorenzo avrebbe potuto essere usata contro Marx e i suoi sostenitori. Tuttavia, ciò nonostante Bakunin firmò come «M. Bakunin, Alleanza e Fratellanza» (Aileen Kelly, “Mikhail Bakunin: A Study in a Psychology and Politics of Utopianism”). Marx ed Engels erano persino a conoscenza di un riferimento all’Alleanza, che si presumeva disciolta, da parte di Bakunin, e che compare in una lettera a Francisco Mora del 1872, che viene da loro citata in un opuscolo sull’Alleanza e l’Internazionale: «Senza dubbio sarete a conoscenza del fatto che di recente l’Internazionale e la nostra cara Alleanza hanno compiuto enormi progressi in Italia … Sarebbe bene, e necessario, che gli Alleanzisti che si trovano in Spagna entrassero direttamente in contatto diretto con quelli in Italia.» (Karl Marx and Friedrich Engels: “The Alliance”). «Prendiamo in considerazione un interessante episodio che esemplifica il cospirazionismo di Bakunin, a partire dalla trascrizione di una conversazione, tra Charles Perron e Bakunin, risalente all’epoca del congresso di Basilea dell’Internazionale, nella quale Bakunin lo assicurava sul fatto che l’Internazionale rappresentava di per sé una eccellente istituzione, ma che tuttavia c'è qualcosa di meglio cui Perron poteva anche aderire: l’Alleanza. Perron ne conviene. Allora Bakunin dichiara che anche nell’Alleanza può esserci qualcuno che non sia un autentico rivoluzionario e che costituisca un freno per le sue attività, e quindi sarebbe bene che dietro l’Alleanza ci fosse un gruppo di “Fratelli dell’Internazionale”. Perron è d’accordo anche su questo. Successivamente, quando si incontrano pochi giorni dopo, Bakunin gli dice che quella dei “Fratelli dell’Internazionale” è una organizzazione troppo ampia, e che perciò dietro di essa ci dovrebbe essere un Direttorio, o Bureau, di tre persone, del quale lui, Perron, sarebbe stato uno di questi tre componenti. Perron rise, e ancora una volta si dichiarò d’accordo.» (E. H. Carr, Michael Bakunin).

Un eccellente documento, per meglio comprendere il pensiero di Bakunin, è la sua lettera a Nechayev del 2 giugno 1870. In essa viene delineata l’organizzazione di una ipotetica società rivoluzionaria, di cui raccomanda a Nechayev la creazione. Scrive di questa società: «L’intera società costituisce un unico corpo e un tutto saldamente unito, guidata da un C. C. [Comitato Centrale] e impegnata in una incessante lotta sotterranea contro il governo e contro le altre società, sia quelle nemiche sia quelle che semplicemente agiscono indipendentemente da essa. Dove vi è guerra vi è politica, e ivi sorge inevitabilmente la necessità di ricorrere alla violenza, all'astuzia e all'inganno. Tutte quelle società i cui fini sono prossimi ai nostri, devono essere obbligate a fondersi con la nostra società o, quanto meno, vanno subordinate ad essa, senza che però ne siano a conoscenza, mentre allo stesso tempo gli elementi dannosi devono essere allontanati da esse. Tutto questo non può essere perseguito solo diffondendo la verità; astuzia, diplomazia e inganno sono necessari.» (Mikhael Bakunin, “M. Bakunin to Sergey Nechayev,” in Michael Confino, "Il catechismo del rivoluzionario". Bakunin e l'affare Necaev. Adelphi). In questa lettera – che andrebbe letta per intero da quelli che sono interessati all’argomento – Bakunin, com'è noto, critica Nechayev, ma tuttavia non rompe chiaramente con lui. Bakunin voleva, come scrisse poi ad Ogarev, «salvare il nostro amico confuso e in errore» (Paul Avrich, “Bakunin and Nechayev”). Come viene chiarito dal passaggio precedente, Bakunin condivideva un sistema di convinzioni assai simile a quello di Nechayev.

Tornando al ruolo svolto da Bakunin nell’Internazionale, è ben noto che Marx si lamentasse della persistere dell’Alleanza come società segreta. Ed è altrettanto noto come la principale lagnanza di Bakunin riguardasse il presunto autoritarismo di Marx e del Consiglio Generale. Bakunin e gli anarchici denunciavano a gran voce, non solo gli atti del Consiglio Generale volti all'espulsione di Bakunin, ma anche il principio stesso dell’autorità del Consiglio Generale. Dopo la conferenza di Londra del 1871, dove Marx riuscì a far passare delle risoluzioni dirette a bloccare l’attività dell’Alleanza, gli anarchici della Federazione del Giura si riunirono a congresso, nel quale emanarono la circolare Sonvillier, che venne inviata a tutte le federazioni dell’Internazionale e che contestava la validità delle decisioni prese dalla conferenza di Londra. Un aspetto teoricamente importante di questa circolare, è rappresentato dal suo appello a trasformare il Consiglio Generale in «un semplice ufficio di corrispondenza e di statistica» (Paul Thomas, “Karl Marx and the Anarchists”). In tal modo, le sezioni sarebbero state pienamente autonome. Quando Bakunin ebbe ricevuto la circolare, la sostenne in pieno, e la riprese esplicitamente, in una lettera a Ceretti, nel suo appello per un Consiglio Generale privo di qualsiasi autorità (Mendel, “Bakunin”). Nel 1872, arrivò a chiedere persino «l’abolizione del Consiglio Generale» (ivi). Da parte sua, Marx riteneva che, per l’unità dell’Internazionale, il Consiglio Generale fosse necessario. Come scrisse a Lafargue nel marzo del 1872, «Dal momento in cui il Consiglio dovesse cessare di funzionare come strumento degli interessi generali dell’Internazionale, esso diverrebbe completamente invalido e impotente. Per contro, del resto, il Consiglio Generale stesso è una delle forze vitali dell’Associazione, essendo essenziale per l’unità di quest’ultima, e per impedire che l’Associazione venga occupata da elementi ostili.» (Karl Marx, “Marx to Lafargue”). Marx ed Engels si preoccupavano di difendere l’idea dell’ autorità democratica, opponendola all’autonomia integrale delle sezioni nazionali, o persino degli individui, e in favore di una organizzazione esplicitamente internazionale. Nel suo saggio “Il congresso di Sonvillier e l’Internazionale”, Engels deride il ragionamento degli anarchici: «Se in ciascuna specifica sezione, la minoranza si sottomette alla decisione della maggioranza, così facendo commette un crimine contro i principi della libertà e accetta un principio che conduce all’autorità e alla dittatura!!??» (Friedrich Engels, “The Congress of Sonvillier and the International”). Marx ed Engels erano perfettamente in grado di distinguere tra autorità in generale (che può essere democratica) e autorità individuale o autoritarismo. Ad esempio, nel Capitale Marx cita il suo "La miseria della filosofia": «Si può stabilire anche, come regola generale, che tanto meno è l’autorità a presiedere alla divisione del lavoro nella società, tanto più la divisione del lavoro si sviluppa all’interno della fabbrica ed è soggetta all’autorità di una sola persona.» (Karl Marx, “Capital: volume I”). Per cui, sostiene che «l’anarchia della divisione sociale del lavoro e il dispotismo della divisione manifatturiera del lavoro caratterizzano la società del modo capitalistico di produzione e si condizionano a vicenda...» (ivi). Bakunin non è stato sempre un oppositore coerente dell’autorità del Consiglio Generale. Hal Draper racconta così il caso del congresso di Basilea dell’Internazionale, l'unico a cui Bakunin abbia partecipato: «Il C.G. [Consiglio Generale] aveva chiesto che il congresso gli conferisse il potere - con riserva di veto da parte del congresso stesso - di espellere una sezione che avesse agito contro i principi dell’Internazionale; allo scopo di difendere il movimento dall’intrusione di elementi estranei. Bakunin, non solo divenne il più entusiasta fra quanti avanzavano questa proposta, ma andò ben oltre: propose sostanzialmente di conferire maggiori poteri al gruppo dirigente; poteri che il C.G. non aveva richiesto. Queste proposte vennero accolte, forse soprattutto proprio a causa del suo sostegno. La descrizione che la stampa del tempo fa dell’episodio - attraverso la quale ne siamo a conoscenza - riassume il fatto come segue. “Bakunin propone di attribuire al Consiglio Generale il diritto di veto per quel che riguarda l’ingresso di nuove sezioni nell’Internazionale, fino al prossimo congresso, e il diritto di sospendere le sezioni già esistenti; quanto ai Comitati Nazionali [cioè Federali], egli vuole conferire loro il diritto di espellere le sezioni dall’Internazionale … Hins [delegato del Belgio] chiede invece che il diritto di sospensione appartenga solo ai Comitati Federali, e non al Consiglio Generale … Bakunin [intervenendo di nuovo] sottolinea il carattere Internazionale dell’Associazione, e per questa ragione è necessario che il Consiglio Generale non sia privo di autorità.. Fa quindi notare che se le organizzazioni nazionali [Comitati Federali] avessero il diritto di sospensione, allora potrebbe accadere che delle sezioni animate dal più sincero spirito internazionalista potrebbero invece essere espulse da una maggioranza che tradisce i principi.” Questo significa – come Bakunin ammetterà più tardi allorché si batterà il petto e reciterà il Mea culpa – che egli temeva che il Comitato Federale della Svizzera potesse espellere la sua Alleanza, e pertanto guardava al Consiglio Generale come una protezione dei suoi diritti. Cioè, egli era disposto a gettare a mare la retorica anarchica riguardo il federalismo e l’antiautoritarismo non appena il suo potere particolare fosse minacciato.» (Draper, “Karl Marx’s Theory of Revolution, Volume IV: Critique of the Other Socialisms”). Bakunin aveva pertanto sostenuto il principio di una maggiore autorità per il Consiglio Generale, mentre in precedenza aveva invece propugnato un Consiglio Generale senza alcuna autorità. Marx ed Engels fanno riferimento a questo cambio di posizione di Bakunin in diverse occasioni, vedendola come una prova del fatto che finché le sue speranze di impadronirsi del Consiglio Generale non vennero distrutte, «la setta [l’Alleanza] non aveva ancora indossato la sua maschera antiautoritaria» (ivi).

Contro ogni autorità ?
Approfondiamo la questione dell’opposizione di Bakunin all’autorità. E’ ben noto come l’anarchismo di Bakunin fosse legato a un eterno cospirazionismo. Bakunin redigeva ogni sorta di programmi, di statuti e giuramenti per le più svariate organizzazioni segrete che riusciva a escogitare. La maggior parte di queste organizzazioni esistevano e agivano solo nella sua immaginazione: «Sebbene esistesse in Spagna una rete della sua organizzazione, altrove questa consisteva in gran parte di cellule individuali – la struttura internazionale strettamente connessa descritta nei suoi programmi era pura fantasia» (Kelly, “Bakunin”). Arthur Mendel ce ne fa vedere un interessante spiraglio: «Infine, c'erano quei giuramenti che dovevano essere prestati dal "fratelli" e dalle "famiglie" segrete nazionali e internazionali. Esistevano due categorie di "fratelli": i fratelli attivi e quelli nominali. I fratelli attivi, i soli cui si poteva attingere per la dirigenza, erano quelli che prestavano i giuramenti più impegnativi: "… giuro lealtà e obbedienza assoluta all’organizzazione internazionale e prometto a essa fervente attività, premura e discrezione, silenzio riguardo tutti i segreti, il sacrificio del mio egoismo, amor proprio, ambizione e i miei personali interessi, e la completa e illimitata cessione alla sua disponibilità di ogni mia forza e potere, la mia posizione sociale, la mia influenza, il mio patrimonio e la mia vita. Mi sottometto in anticipo a tutti i sacrifici e ai compiti che essa mi imporrà, nella certezza che non mi verrà richiesto nulla che sia contrario alle mie convinzioni e al mio onore o che ecceda le mie personali capacità. Durante tutto il tempo nel quale mi sarà affidata una funzione o una missione, obbedirò incondizionatamente agli ordini del superiore immediato che mi ha affidato l’incarico, e giuro di portare a termine la missione con la maggiore prontezza, precisione, energia e lungimiranza possibili, fermandomi solo di fronte a quanto mi appare veramente come un ostacolo insormontabile. Da questo istante subordino tutte le mie attività, pubbliche e private, letterarie, politiche, ufficiali, professionali e sociali alle supreme direttive ricevute dai comitati di questa organizzazione …». Inoltre, nel giuramento finale, il candidato si dichiarava d’accordo nell’accettare su di sé "la vendetta della società", qualora tradisse il suo giuramento o anche solo lo dimenticasse (Mendel, “Bakunin”). Vedere un simile “giuramento” venir fuori dalla penna del gran paladino della libertà individuale, dovrebbe causare, quanto meno, il sollevamento di almeno un sopracciglio. E non è di certo l'unico appello di Bakunin per una organizzazione rivoluzionaria spiccatamente autoritaria. Di uno di questi "progetti organizzativi" erano a conoscenza Marx ed Engels, i quali lo criticano nell'opuscolo su “l’Alleanza della democrazia socialista e l’Associazione internazionale dei lavoratori". Nell’abbozzo del progetto, Bakunin descriveva abbastanza in dettaglio i diversi livelli internazionali e nazionali della sua organizzazione, oltre a quelli dei vari sottogruppi. Ciò che colpisce è soprattutto il modo in cui l'organizzazione viene descritta, vale a dire, come una sorta di struttura manipolativa dei singoli membri individuali. Bakunin scrive: «Le Fratellanze Nazionali di ciascun paese sono organizzate in modo tale da non poter mai revocare dalla direzione i fratelli internazionalisti che fanno parte del Comitato Centrale … » (Michel Bakounine, “Œuvres Complètes”). E nello scrivere delle sezioni nazionali dell’organizzazione, Bakunin identifica i due gruppi esistenti all’interno di un “Comitato Nazionale”: «Comunque sia, per nessun motivo i due gruppi devono essere informati dell’esistenza di un'organizzazione internazionale o della sede e della composizione del Comitato centrale internazionale» (ivi). Un’idea interessante, è quella secondo cui: «le sezioni dell’organizzazione non devono essere al corrente nemmeno dell’esistenza dei loro organi esecutivi». La stessa idea riappare anche nello schema di organizzazione che Bakunin stese per Nechayev nel 1870: «Tutti i membri della Fraternità Regionale si conoscono fra di loro, ma non sanno dell’esistenza di una "Fraternità del Popolo" . Sanno soltanto che esiste un Comitato Centrale, il quale trasmette loro quali sono gli ordini da eseguire, e lo fa tramite [un] Comitato Regionale che essi stessi hanno istituito mediante questo (cioè per mezzo dello stesso Comitato Centrale» ( Bakunin, “Bakunin to Nechayev”). A toccare questo problema organizzativo, è la relazione di Engels al congresso di Hague, nella quale, dopo aver menzionato le prove del mancato scioglimento dell’Alleanza, come si era convenuto, afferma: «l’organizzazione di una società segreta di questo tipo, costituisce una palese violazione, non solo degli obblighi statutari verso l’Internazionale ma anche, di quella che è la lettera e lo spirito delle nostre Regole Generali. Il nostro Regolamento ammette solo un unico genere di membri dell’Internazionale, con uguaglianza di diritti e di doveri per tutti. L’Alleanza invece li divide in due caste: gli iniziati e i non iniziati, l’aristocrazia e la plebe, quest’ultima destinata a essere guidata per mezzo di una organizzazione la cui reale esistenza è sconosciuta ad essi» ( Engels, “Report on the Alliance”)

Persino Paul Avrich, uno studioso simpatizzante di Bakunin, ammette che Bakunin voleva creare una società segreta i cui membri «sarebbero stati soggetti "alla più rigida disciplina" e subordinati ad un ristretto direttorio rivoluzionario» (Avrich, “The Russian Anarchists”). Un’ altra discussione, assai istruttiva circa i principi organizzativi di Bakunin, si trova nel suo testo, scritto in russo, rivolto "Agli ufficiali dell’esercito russo". Nel suo libro "Stato ed Anarchia", Bakunin scrive che nel mondo degli ufficiali russi, al contrario di quello degli ufficiali tedeschi «vi si può ancora trovare un cuore umano, un'istintiva capacità di amare e di comprendere l’umanità e, nelle giuste condizioni, sotto una buona influenza, anche la possibilità di diventare un amico del popolo pienamente cosciente». Nel suo testo in russo, che cosa offre Bakunin a questi potenziali amici del popolo? Raccomanda loro di aderire a una potente organizzazione pronta a dirigere una sollevazione di massa in Russia: l’organizzazione di Nechayev. Questa organizzazione, assicura loro, è «forte grazie alla disciplina, appassionata per la sua dedizione e pronta all’autosacrificio dei suoi membri, oltre che incondizionatamente obbediente agli ordini e alle direttive di un Comitato Unico che sa tutto ma che non è conosciuto da nessuno». Bakunin spiega che «Ciascun nuovo affiliato aderisce volontariamente alla nostra organizzazione, sapendo in anticipo che una volta entrato a farne parte egli non appartiene più a sé stesso e da allora in poi apparterà solo all’organizzazione». Bakunin descrive qual è il ruolo che ciascun membro individuale svolge nell’organizzazione: «Egli parla della causa solamente con coloro ai quali è autorizzato a parlarne, e si attiene strettamente a quanto deve dire; in generale si conforma assolutamente e rigorosamente a tutti gli ordini e a tutte le istruzioni che riceve dall’alto, senza chiedere né tentare di comprendere a quale livello egli è stato collocato nell’organizzazione; semplicemente, e del tutto naturalmente, desidera essere incaricato di quanti più compiti sia possibile, ma nello stesso tempo aspetta pazientemente di essere assegnato a nuovi incarichi». Qualche esempio concreto di questo modo di vedere: ad un certo punto Bakunin e Nechayev tentarono di indurre Natalie Herzen ad aderire alla loro misteriosa organizzazione. Natalie Herzen racconta della sua frustrazione per non ricevere mai alcuna vera spiegazione riguardo a cosa lei sarebbe diventata al suo interno: «Sempre mi si replicava la stessa cosa: "E’ necessario che avere prima una idea chiara dei fini e dei mezzi!"» (Mendel, “Bakunin”). E. H. Carr scrive di una discussione, che ebbe luogo nel 1869, riguardo l’autorità di Bakunin in seno alla Fratellanza Internazionale, fondata in Italia. I membri erano scontenti e protestavano per il fatto che, in sua assenza, non disponevano «né di indirizzi, né di informazioni, né di documenti» di pertinenza dell’organizzazione, essendo stati tutti questi presumibilmente monopolizzati da Bakunin (Carr, “Bakunin”).  In tal modo, è stato appena descritto come ciò che Bakunin cerca in un membro si riduce essenzialmente all’obbedienza. Esprime la sua opposizione alla “chiacchera parlamentare”, la quale potrebbe condurre, nell'organizzazione, alla formazione di «partiti d’opposizione» (Mendel, “Bakunin”). Marx e Engels, i quali erano perfettamente a conoscenza di questo saggio di Bakunin, erano pertanto restii a prendere troppo sul serio la sua retorica riguardo la libertà e l’autonomia. L’attitudine cospirativa di Bakunin sembra essere fortemente influenzata dalle tradizioni del socialismo francese,in  particolare dalla prassi rivoluzionaria di Filippo Buonarroti. Così scrive Arthur Lehning - studioso di Bakunin – a proposito di Buonarroti: «Anche lui,aveva costruito su scala internazionale - benché nel corso di un periodo di tempo molto più lungo - una complessa rete clandestina, sul modello massone, e anche utilizzando talvolta le istituzioni massoniche, al fine di operare a favore di quella che nel 196 era la sua dottrina egualitaria, per una rivoluzione sociale e per la diffusione in Europa delle idee repubblicane. Per quarant’anni i principi rimasero sempre gli stessi: il gruppo dirigente era segreto; l’esistenza dei livelli superiori era sconosciuta a quelli inferiori; di carattere proteiforme, questa rete sfruttava e utilizzava altre società». Come abbiamo potuto vedere, questi principi sono chiaramente evidenti negli scritti di Bakunin. «Non per nulla [Bakunin] elogiò Buonarroti, visto come "il più grande cospiratore del suo tempo"», ha osservato Paul Avrich. D’altra parte, Marx invece criticava fortemente la tradizione cospirativa del socialismo francese. In una recensione del 1850, sui "cospiratori" Marx scrive quanto segue: «Era esattamente quello il loro lavoro: anticipare il processo dello sviluppo rivoluzionario, portarlo artificialmente al punto di crisi, in modo da scatenare una rivoluzione su due piedi, senza che ce ne fossero le condizioni. Per loro, l'unica condizione per la rivoluzione era che fosse adeguatamente preparazione a partire da un loro complotto. Sono gli alchimisti della rivoluzione, e sono caratterizzati esattamente da quello stesso pensiero caotico e da quelle stesse ossessioni ottuse che avevano gli alchimisti di un tempo. Si tuffano in delle invenzioni che dovrebbero compiere dei miracoli rivoluzionari: bombe incendiarie, dispositivi distruttivi dall'effetto magico, rivolte che dovrebbero essere tanto più miracolose e stupefacenti quanto più irrazionale sia la loro base. Occupati in simili intrighi, essi non hanno altro scopo se non quello più immediato di rovesciare il governo esistente, e nutrono il più profondo disprezzo per ogni e qualsiasi più teorico approfondimento che riguardi il proletariato e i suoi interessi di classe.» (Karl Marx, “Review: Les Cospirateurs, par A. Chenu).

In tal modo, Bakunin appare anche come una figura affascinante. Ad esempio, nell’agosto del 1862 Bakunin si presentò ad un generale polacco, tal Mieroslawski, manifestando il suo sostegno a una sollevazione polacca. Secondo il generale, Bakunin si presentò come se egli fosse il «delegato plenipotenziario di una potente organizzazione cospiratoria segreta russa, la quale avrebbe potuto rafforzare e dare sostegno alla nostra insurrezione sulla Vistola, grazie a qualcosa come 70.000 combattenti russi, e costringere Modlin ad arrendersi nelle nostre mani, ecc. Sembrava quasi che [Bakunin] si stesse chiedendo, proprio in quel momento, come avrebbe potuto usare quei 70.000 soldati zaristi. Pertanto, promise di costituire con essi una legione russa, allo scopo di avviare una rivoluzione in Ucraina, e poi in Russia.» (Mendel, “Bakunin”).

La critica a Marx
E’ abbastanza noto che Bakunin condividesse alcune credenze razziste, e che nella sua polemica contro Marx, le sue idee antisemite e antitedesche siano emerse. Ovviamente, in lui questo non rappresentava di per sé un qualche nefasto difetto dell'anarchismo, ma dare un'occhiata alle polemiche razziali di Bakunin può aiutarci a comprendere meglio il modo particolare in cui Bakunin mescolava razzismo e politica. Mentre si può essere facilmente d'accordo con la “politica” di Bakunin, e rifiutare in maniera chiara il “razzismo”, era Bakunin stesso che aveva una comprensione profondamente razziale delle tendenze politiche. Ma la cosa ancora più importante è che i suoi commenti razziali riguardo Marx rivelano fino a che punto Bakunin fosse un incorreggibile complottista. I punti chiave della sua critica di Marx sono basati sulla pura fantasia. Bakunin riteneva di essere impegnato in un’epica battaglia razziale contro il pan-germanesimo, del quale Marx sarebbe stato un esponente. In "Stato e Anarchia", Bakunin ammonisce, «Non crediate che Bismarck sia quel nemico così feroce di questo partito [quello socialdemocratico], come pretende di essere. E’ troppo intelligente per non capire fino a che punto possa essergli utile, come uno strumento apripista per promuovere e diffondere in Austria, Svezia, Danimarca, Belgio, Olanda e Svizzera il concetto tedesco di Stato.Propagandare questa idea germanica ,è ora la principale aspirazione di Marx, il quale, come abbiamo già sottolineato, cerca di sfruttare a proprio vantaggio, all’interno dell’Internazionale, i successi e le vittorie del principe Bismarck.» Nel momento in cui nell'Internazionale cominciò a divampare la discussione, Bakunin identificò Marx con i piani di Bismarck per la dominazione tedesca dell'Europa: «È questo piano per distruggere la libertà, un piano che per la razza latina e per la razza slava ha costituito un pericolo mortale, e che ora sta cercando di assumere il controllo assoluto dell'Internazionale. A questa mostruosa pretesa pangermanista, bisogna opporre un'alleanza tra la razza latina e la slava. ... »(Mendel, “Bakunin”). In quella che era la campagna di Bakunin contro Marx - che precedette il Congresso dell'Aia del 1872 - l'agitazione e la propaganda razziale giocò un ruolo assai importante. In questo periodo, Bakunin scrisse tutta una serie di lettere circolari indirizzate ai suoi sostenitori, a volte incoraggiando in maniera specifica, attraverso la retorica antisemita, l'opposizione ai "marxisti". Un esempio di una di queste lettere circolari è rappresentato dalla Lettera di Bakunin, del dicembre 1871, ai membri bolognesi dell'Internazionale. Eccone un estratto:
«Ebbene, è tutto questo mondo ebraico nel suo insieme a costituire un'unica setta di sfruttatrice, una sorta di succhiatori di sangue, un parassita collettivo, vorace, organizzatosi in sé non solo oltrepassando le frontiere degli Stati, ma superando addirittura le differenze delle opinioni politiche; attualmente, questo mondo, almeno in gran parte, è a disposizione, di Marx da un lato e dei Rothschild dall’altro. Io so che i Rothschild, per quanto reazionari siano e devono essere, apprezzano altamente i meriti del comunista Marx, e so che, a sua volta, il comunista Marx si sente irresistibilmente attratto - di un'attrazione istintiva e di una rispettosa ammirazione - dal genio finanziario di Rothschild. La solidarietà ebraica - quella potente solidarietà che si è protratta e perpetuata attraverso tutta la storia - ora li unisce.».
E così - visto che Marx poteva essere “associato” alla dinastia bancaria dei Rothschild - ecco che Bakunin non aveva alcuna difficoltà a identificare Marx con uno come Lassalle, il quale portava avanti una linea politica assai diversa da quella di Marx. Per cui, ad esempio, scrive Bakunin: «Conformandosi rigorosamente al programma politico che era stato esposto da Marx ed Engels nel Manifesto Comunista, Lassalle chiedeva a Bismarck soltanto una cosa: che il credito di Stato venisse messo a disposizione delle associazioni operaie di produttori.» (Bakunin, “Statism”). Ma come ne risulta, nella mente di Marx c'era una chiara e netta distinzione tra quello che Bismarck avrebbe potuto fare per i lavoratori e ciò che i lavoratori potevano fare per loro stessi. Marx era piuttosto ostile al socialismo dall’alto di Lassalle. Come scrisse nella "Critica del programma di Gotha", criticandone l’influenza lassalliana: «Invece che da un processo di trasformazione rivoluzionaria della società l'"organizzazione socialista del lavoro complessivo" - "sorge" dall'"aiuto dello Stato," che lo Stato dà a cooperative di produzione, che esso, e non l'operaio, "crea." Che si possa costruire con l'aiuto dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia, è degno dell'immaginazione di Lassalle. … Il fatto che gli operai vogliono instaurare le condizioni della produzione cooperativa su una scala sociale, e per cominciare nel loro paese, su una scala nazionale, significa soltanto che essi lavorano al rivolgimento delle attuali condizioni di produzione, e non ha niente di comune con la fondazione di società cooperative con l'aiuto dello Stato. Ma, per ciò che riguarda le odierne società cooperative, esse hanno un valore soltanto in quanto sono creazioni operaie indipendenti, non protette né dai governi né dai borghesi.»
Mentre la critica di Marx all’autoritarismo di Bakunin viene assai spesso ignorata, la critica di Bakunin a Marx viene altrettanto spesso lodata per la sua preveggenza, e ciò nonostante la sua completa distorsione delle idee di Marx. Alcune delle critiche fatte da Bakunin a Marx sono decisamente bizzarre. Bakunin era convinto che i «rivoluzionari dottrinari», come Marx ed Engels, pensassero «che il pensiero precede la vita, che l’astratta teoria precede la pratica sociale, e che pertanto il punto di partenza per i rivolgimenti sociali e per le ricostruzioni debba essere la sociologia», ragion per cui giungeva alla conclusione «che visto che il pensiero, la teoria e la scienza sono, almeno per il momento, proprietà di pochissimi individui, devono essere questi pochi ad assumere il ruolo di dirigenti della vita sociale.» (Bakunin, “Statism”). Come Marx spiega più volte, «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.».
Daniel Guerin, ad esempio, dopo aver citato a lungo le accuse mosse da Bakunin, secondo le quali Marx stava usando la Prima Internazionale per imporre al mondo «un governo dotato di poteri dittatoriali», così commenta: «Non c'è alcun dubbio che Bakunin deformava pesantemente il pensiero di Marx, attribuendogli un simile progetto così universalmente autoritario, ma l’esperienza della Terza Internazionale ha da tempo dimostrato come il pericolo dal quale egli metteva in guardia, alla fine si sia materializzato» (Guerin, “Anarchism”). Si tratta invero di una ben strana giustificazione della critica di Bakunin: poiché c'è stata della gente che ha fatto cose autoritarie in nome di Marx, ecco che la complicata argomentazione svolta dall’uomo di paglia di Bakunin diventa retrospettivamente giustificata. Un altro commentatore scrive che «La concezione che ha Bakunin, di uno Stato marxista, che egli vedeva come se fosse in attesa dietro le quinte della storia, era inquietante ma corretta … la storia sembra che sia stata dalla parte di Bakunin, non da quella di Marx … » (Alvin W. Gouldner, “Marx Last Battle: Bakunin and the First International,” Theory and Society, n. 6 – 1982 ). L’elogio alle doti profetiche di Bakunin, serve in tal modo a sorvolare proprio sulle imprecisioni del quadro che Bakunin aveva delle idee di Marx.

Conclusione
Marx aveva caratterizzato l'Internazionale come fosse «un vincolo di unione, piuttosto che una forza di controllo» (Karl Marx, “The Curtain Raised: Interview with Karl Marx, the Head of Internationale,” New Politics, n. 1, 1962), e ritenuto come un «compito dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori. quello di combinare e generalizzare tutti i movimenti spontanei delle classi lavoratrici, ma non dettare, o imporre, alcun sistema dottrinale» (Karl Marx, “ Instructions for Delegates to the Geneva Congress,” in Political Writings, Volume III). Sulla base di una tale visione, Marx, nell'Internazionale, si oppose ai vari raggruppamenti segreti, ritenendo che questo genere di organizzazione «si oppone allo sviluppo del movimento proletario poiché, anziché istruire gli operai, queste associazioni li sottomettono a delle leggi autoritarie e mistiche, le quali limitano la loro indipendenza e distorcono le loro capacità di ragionamento» (Karl Marx, ”Record of Marx’s Speech on Secret Societies,” in Marx, Engels, Works). Tale prospettiva ha ben poco in comune con quella caricatura dell'autoritarismo marxiano, che è diventata così diffusa. In una sua lettera a Blos, nel 1877, Marx asserisce che quando lui ed Engels si unirono per la prima volta alla Lega dei Comunisti, «lo fecero solo a condizione che venisse eliminato dal regolamento tutto quello che potesse contribuire a una fede superstiziosa nell'autorità.» (Marx, “Marx to Blos“). L'opposizione di Marx ai metodi autoritari di organizzazione, riflette quella che è la sua convinzione di lunga data circa l'importanza della democrazia operaia, la quale era pertanto ciò che stava alla base del suo rifiuto dell'avanguardismo di Bakunin. Come abbiamo visto, Marx considerava erronea e fuorviante l'enfasi che Bakunin poneva su quello che avrebbe dovuto essere uno Stato Maggiore rivoluzionario ben affiatato. Lungi dall'essere un critico coerente dell'autoritarismo, Bakunin mescolava e confondeva con una visione organizzativa autoritaria il suo elogio della libertà astratta.

- David Adam – 12 settembre 2010 -

fonte: Marx, Bakunin, and the question of authoritarianism - David Adam.pdf

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