Nel Nagorno-Karabakh: Esecuzione, Capitolazione, Occupazione
- La resa incondizionata della regione armena del Nagorno-Karabakh, in seguito a un attacco da parte dell'Azerbaigian, sancisce anche la conclusione di una tutta una costellazione geopolitica storicamente cresciuta nel Caucaso meridionale -
di Tomasz Konicz
Con ogni probabilità, la propaganda relativa all'Azerbaigian, come modello ha preso quello della Russia. Il 19 settembre, l'esercito azero, di gran lunga superiore, ha nuovamente invaso la regione del Nagorno-Karabakh, prevalentemente abitata da armeni. Pochi giorni prima, per comunicare e simboleggiare la conquista finale delle aree di insediamento armeno, sui media e sulle reti del paese del Caucaso meridionale era apparsa una "A" rovesciata, simile a quella lettera "Z" usata dalla Russia per simboleggiare la sua guerra di aggressione contro l'Ucraina. L'esercito armeno - che non si è mai ripreso dalla sconfitta subita nell'autunno del 2020 dal modernissimo esercito dell'Azerbaigian - non è intervenuto. Subito dopo l'inizio dei combattimenti, le autorità azere hanno riferito di aver informato dell'attacco sia la Russia che la Turchia. Dopo la guerra del 2020, nella quale l'Azerbaigian - in poche settimane di cooperazione informale con la Turchia - aveva ottenuto importanti conquiste territoriali, la situazione militare delle forze armate del Nagorno-Karabakh, che da quel momento in poi si erano trovate oggettivamente circondate, era diventata insostenibile. Inoltre, l'attuale campagna dell'Azerbaigian è stata preceduta da un blocco alimentare durato nove mesi, il quale ha chiuso il corridoio di Lachin dell'Azerbaigian: l'unica via di rifornimento tra l'Armenia e la Repubblica di Artsakh (come viene chiamata l'area di insediamento armeno dai suoi abitanti). Pertanto, l'attacco azero è stato più che altro un'esecuzione, nel corso della quale, in poche ore - in quella regione che dal crollo dell'Unione Sovietica era diventata praticamente indipendente - diverse centinaia di militari e di civili sono stati uccisi. Nel volgere di un giorno, le forze in Artsakh si sono arrese. La situazione dei circa 120.000 abitanti è drammatica. Nonostante il blocco mediatico imposto dall'Azerbaigian, continuano a trapelare notizie relative ad attacchi e omicidi di civili, mentre decine di migliaia di persone fuggono per cercare rifugio nelle basi militari delle "forze di pace" russe e del quartier generale russo che si trova nel territorio dell'aeroporto della capitale della regione, Stepanakert, o per raggiungere l'Armenia. Mentre si negoziano le modalità di resa, l'esercito dell'Azerbaigian è alle porte. Secondo il governo uscente del Nagorno-Karabakh, il regime del presidente Ilham Aliyev si rifiuta di fornire garanzie di sicurezza e dare assistenza alla popolazione armena. L'Azerbaigian, fino a domenica non ha inviato alcun significativo aiuto umanitario nelle aree di insediamento armeno conquistate. Dall'Armenia, alcuni convogli umanitari della Croce Rossa, accompagnati da truppe russe, sono stati in grado di raggiungere il Nagorno-Karabakh. Nella capitale armena Yerevana, la decisione della leadership armena del primo ministro Nikol Pashinyan di non rispondere militarmente all'attacco azero, ha innescato delle violente proteste. I violenti assalti, avevano come bersaglio sia il liberale filo-occidentale Pashinyan, di cui sono state chieste le dimissioni, sia la Russia, in quanto ex "potenza protettrice" dell'Armenia. A Yerevan, fuori dall'ambasciata russa, i manifestanti denunciavano, come colonizzatori, il presidente russo Vladimir Putin e il suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov, nel mentre che il propagandista del Cremlino, Vladimir Solovyov, interveniva alla televisione russa per indignarsi a causa di queste proteste anti-russe. Nell'autunno del 2020, l'attacco azero al Nagorno-Karabakh si era concluso con un cessate il fuoco che era stato mediato dalla Russia, in base al quale le truppe russe rimanevano di stanza nella zona di conflitto, al fine di prevenire un'ulteriore escalation. A quel tempo, il governo russo era ancora in grado di posizionarsi, come potenza d'ordine, in una regione geo-strategicamente importante, e ciò nonostante gli aiuti militari turchi all'Azerbaigian, che hanno favorito in maniera decisiva la sua vittoria. Pertanto, la perdita delle enclavi di insediamento armeno, che con la conquista della Repubblica di Artsakh ora diventa evidente, con ogni probabilità comporterà l'erosione finale dell'egemonia russa nel Caucaso meridionale.
Tutto ciò segna la fine di un'era. Per secoli, la Russia è stata considerata come la protettrice degli armeni cristiani e, fino a pochi anni fa, come uno stretto alleato dell'Armenia. Questo è cambiato dopo che, nel 2018, Pashinyan è andato al potere a seguito di un'ondata di proteste liberali, quando i crescenti accordi sulle armi tra Putin e il regime autoritario di Aliyev - la cui spesa militare era superiore al bilancio statale armeno grazie ai lauti proventi provenienti dal gas naturale - hanno portato a un cauto orientamento dell'Armenia verso l'Occidente. Lubrificate per mezzo di alcuni accordi miliardari, le relazioni tra i regimi autoritari di Mosca e di Baku apparivano migliori di quanto fossero quelli tra Putin e il liberale Pashinyan. La posizione passiva, assunta durante la guerra del 2020 - quando il governo russo non ha fornito alcun aiuto sostanziale all'alleato armeno, mentre invece i droni turchi sparavano sulle forze armate armene - è stata ampiamente interpretata come una forma di punizione. Di fatto, il governo russo ha venduto l'Armenia all'Azerbaigian e alla Turchia, che grazie ad alcuni accordi sulle armi e sull'energia nuotano nei petrodollari – avendo calcolato che il paese impoverito non avrebbe comunque altra scelta di politica estera se non quella dei legami con la Russia. Tuttavia, ora in Armenia sembrano determinati a considerare la perdita del Nagorno-Karabakh come il prezzo da pagare per il proprio orientamento forzato verso ovest, usandolo per liberarsi così dalla rovinosa morsa della Russia. Nel frattempo, i funzionari governativi hanno chiesto pubblicamente che le truppe russe che si trovano nel Nagorno-Karabakh vengano ritirate, e sostituite da forze di pace delle Nazioni Unite; mentre dal Cremlino viene apertamente richiesto che in Armenia ci sia un cambio di regime. Con la conquista del Nagorno-Karabakh da parte dell'esercito azero, diventa probabile che anche nel Caucaso finisca l'egemonia russa. L'Azerbaigian non ha più bisogno delle sue buone relazioni con la Russia, dato che è stato raggiunto quello che era un obiettivo strategico prioritario del regime. La guerra contro l'Ucraina, che consuma risorse su risorse, rende improbabile un intervento militare della Russia nel Caucaso, facendo sì che gli attuali attacchi azeri alle truppe russe e ai centri logistici nella regione - che hanno causato la morte di diversi soldati e ufficiali russi - divengano solo un rischio calcolabile.
Nel frattempo, la Turchia, partner della NATO, si spinge in quella che è una regione strategicamente importante. Non appena avviata la "pulizia etnica" del Nagorno-Karabakh – nei territori conquistati nel 2020 , l'Azerbaigian ha cercato perfino di cancellare quelle che erano le tracce storiche dell'insediamento armeno – il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha rivolto ancora altre minacce alla Repubblica di Armenia. Parlando alle Nazioni Unite, ha chiesto all'Armenia di aprire il corridoio Zangezur, che collegherebbe l'exclave di Nakhchivan, che appartiene all'Azerbaigian, con il resto del territorio del paese. Dopo la conquista del Nagorno-Karabakh, l'obiettivo strategico centrale della Turchia e dell'Azerbaigian è quello di costruire un ponte terrestre tra i due stati – e questo progetto può essere realizzato solo attraverso il territorio armeno. Gli attacchi azeri al territorio armeno hanno avuto luogo sporadicamente anche dopo la guerra del 2020. Esiste pertanto una grande convergenza di interessi tra quelle che sono le aspirazioni imperiali della Turchia e gli interessi geopolitici dell'Occidente, i quali, tradizionalmente, amano guardare dall'altra parte quando i suoi alleati e i suoi fornitori di gas calpestano i diritti umani o mettono in atto "pulizie etniche"; come è avvenuto di recente ad Afrin.
Creare un collegamento terrestre con l'Azerbaigian, rappresenterebbe un ulteriore accesso ai combustibili fossili del Mar Caspio e dell'Asia centrale, e un tale corridoio correrebbe a sud di quella che è la sfera di influenza russa ancora esistente. Inoltre, l'asse nord-sud tra Russia e Iran si troverebbe a essere tagliato nel Caucaso: un importante obiettivo geopolitico dell'Occidente. Nel 21° secolo, la tragedia dell'Armenia corrisponde la fatto che essa ostacola tali piani. Ciò spiegherebbe anche le moderate reazioni da parte di UE, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti rispetto alla rinnovata aggressione dell'Azerbaigian. Inoltre, l'Armenia impoverita, semplicemente, non dispone né di risorse né di fonti energetiche, che potrebbe usare come mezzo di pressione, o come leva, similmente a come fa l'Azerbaigian. Pashinyan sembra aver risposto tutte le sue speranze in una rapida integrazione in Occidente, per salvare quanto meno l'integrità territoriale del paese. Ma anche in una costellazione del genere, l'Armenia rimane in netto svantaggio rispetto a un regime basato sul gas naturale come quello dell'Azerbaigian: il 21 settembre, mentre il suo esercito ha preso d'assalto il Nagorno-Karabakh, a New York si poteva vedere il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che posava davanti alle telecamere insieme al ministro degli Esteri azero Jeyhun Bayramov.
- Tomasz Konicz - Pubblicato il 28/9/2023 su Jungle World -
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