L'aristocratismo politico di Hannah Arendt: un dibattito necessario
- di Emmanuel Faye -
Il 22 marzo 2023, Clémence Mary pubblicava su Libération un lungo articolo dal titolo "Hannah Arendt non appartiene alla destra". Nell’articolo, la giornalista aveva raccolto tutta una serie di interviste fatte a degli "Arendtiani", senza tuttavia mai intervistare nessun ricercatore critico. Per contribuire ad aprire il dibattito, ho risposto a quell'articolo con un mio articolo intitolato "Hannah Arendt, una filosofa di sinistra?", pubblicato il 7 aprile sul quotidiano L'Humanité. Tre mesi dopo, tre arendtiani pubblicavano, a loro volta, il 13 luglio, sulla rivista Philosophie, una risposta aperta da una frase polemica, per non dire diffamatoria, "'Arendt è di sinistra?’: Emmanuel Faye, ovvero il venticello della calunnia".
Di certo, gli attacchi personali non servono a far progredire il dibattito. Mentre, invece, la vera questione che vale la pena discutere, riguarda su quali principi si basa il pensiero politico di Hannah Arendt. Abbiamo a che fare con una difesa dell'uguaglianza umana? Oppure, al contrario, abbiamo si tratta di un nuova aristocraticità, sulla scia di Nietzsche, di Spengler e di tutti quegli altri fautori della cosiddetta "rivoluzione conservatrice" tedesca? Secondo le tre autrici della replica, Arendt sarebbe «una preziosa teorica dell'uguaglianza». Inoltre, esse affermano che «contrariamente alle affermazioni del signor Faye, Arendt non si è mai preoccupata per la "scomparsa di ogni aristocrazia politica e spirituale"». Ora, tuttavia, c’è da dire che quella da loro citata non è una mia interpretazione, bensì si tratta, piuttosto, di una quasi-citazione proveniente dal Prologo a "VITA ACTIVA. La condizione umana" (1958). In quel Prologo, Hannah Arendt deplora che «in questa società [la società del lavoro] che è egualitaria [...] non ci sia più alcuna aristocrazia politica o spirituale che possa portare a una restaurazione delle altre capacità dell'uomo». Pertanto, in quello che era lo spirito dei teorici della "Rivoluzione conservatrice", Arendt considera le società egualitarie - vale a dire le democrazie – come le responsabili di un livellamento che costituisce un ostacolo alla restaurazione di quelle facoltà umane che solo un'aristocrazia politica o spirituale - vale a dire, un'organizzazione politica non egualitaria e gerarchica - renderebbe possibile. Le posizioni aristocratiche di Hannah Arendt sono pertanto inequivocabili.
Inoltre, le autrici della risposta, affermano anche che Arendt considererebbe positivamente la Rivoluzione francese, in quanto portatrice di promesse. Ma lo hanno letto il suo saggio "Sulla Rivoluzione" (1963)? Quel libro è una lunga accusa contro la Rivoluzione francese, che viene definita come un «disastro». A essere magnificata, è solo la rivoluzione americana, la quale, a differenza della rivoluzione francese, non ha abolito la schiavitù. E il concetto arendtiano dell'«agire in comune», non è altro che un'esplicita rielaborazione dell'«agire di concerto»; la formula del teorico inglese della controrivoluzione, Edmund Burke (1729-1797). Arendt, proprio come Burke, contrapponeva i «diritti degli inglesi» ai diritti umani difesi dalla Rivoluzione francese. Arendt ritiene che non esista alcuna uguaglianza naturale. Per lei, la fonte del diritto non risiede nell'umanità, bensì in delle specifiche comunità politiche. Quello che è il fondamento universale dell'uguaglianza umana viene in tal modo distrutto.
Come ho dimostrato, per mezzo di ben precise citazioni, nel mio studio su Hannah Arendt e Martin Heidegger, in "Arendt e Heidegger. La destruction dans la pensée" (Albin Michel, 2020), la concezione arendtiana della società appare fondamentalmente aristocratica e inegualitaria. Secondo lei, c'è solo un piccolo numero in grado di accedere all'azione politica. Il lavoratore, l'animal laborans - secondo le parole di Arendt - è stato ridotto a un livello infraumano. Questa politica della disuguaglianza è stata analizzata con precisione in un articolo che Benoît Basse, Livia Profeti e François Lecoutre hanno pubblicato con il titolo: "Criticare non è calunniare: il pensiero di Hannah Arendt non è di sinistra" (L'Humanité del 21 luglio 2023). Va menzionato anche il libro fondamentale, recentemente tradotto, di Kathryn S. Belle, su "Hannah Arendt and the Black Question" (Kimé, 2023), il quale analizza le posizioni razziste di Hannah Arendt del 1957, contro il movimento per i diritti civili e gli sforzi dello stato federale degli Stati Uniti di abolire la segregazione razziale nelle scuole pubbliche nel sud degli Stati Uniti. Il silenzio su questo libro da parte delle tre autrici della replica ha qualcosa di scandaloso Non viene menzionato neanche il lavoro assai illuminante dello storico Michel Dreyfus, su "Hannah Arendt e la questione ebraica" (PUF, 2023). Ma oggi, né l'omertà né gli attacchi diffamatori possono impedire che si apra un dibattito fondamentale sulla visione politica della Arendt.
- Emmanuel Faye – pubblicato su Philosophie il 30 agosto 2023 -
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