Hannah Arendt, una pensatrice di sinistra
- in risposta a un articolo su Libération di Clémence Mary -
di Emmanuel Faye
È legittimo affermare che «Hannah Arendt non appartiene alla destra» come sostiene Clémence Mary (su Libération, 23 marzo 2023)? Voler dimostrare che un'icona del nostro tempo, rivendicata dai conservatori e da alcuni liberali, possa ispirare la sinistra francese, sembra seducente. Ma a partire da quale coerenza, e a che costo? Non bisognerebbe prima cominciare a prestare attenzione a ciò che la stessa Arendt diceva di sé e delle tesi che propugnava?
L'argomento principale che viene usato per collocare Arendt a sinistra, si basa sul suo elogio dei consigli rivoluzionari. Però la cosa parte da un malinteso. Procede dal fatto che non si presta attenzione alla distinzione che lei fa tra consigli rivoluzionari e consigli operai. E si dimentica che il principale teorico della rivoluzione conservatrice tedesca - Arthur Moeller van den Bruck, autore nel 1923 de "Il Terzo Reich" - aveva pronunciato elogi del tutto simili. Si trattava allora di saper cogliere il potenziale rivoluzionario della sinistra europea in modo da poterlo neutralizzare meglio. Bisogna chiedersi se Rosa Luxemburg avrebbe apprezzato un autore che si fosse richiamato a lei, pur rifiutando in toto il pensiero marxista?
Nel 1946, Hannah Arendt scriveva a Gershom Scholem: «Per quel che mi riguarda, non sono mai stata marxista». Nel 1963 conferma: «Non sono una degli intellettuali della sinistra tedesca». E nel 1958, in "Vita Activa. La condizione umana", deplora il fatto che nelle «società egualitarie» venga cancellata ogni «aristocrazia politica e spirituale». Per la Arendt, «l'uguaglianza non è affatto un principio universalmente valido» ("Sulla Rivoluzione"). La politica si basa, secondo lei, su una discriminazione radicale: gli schiavi, gli operai, i lavoratori, gli impiegati - sostiene l'autrice - ne sono esclusi. Essi appartengono alla sfera sociale ed economica, nella quale il dominio e la violenza hanno libero corso. Soddisfare i propri bisogni naturali, costringerebbe la maggior parte degli esseri umani a una irrimediabile servitù. A partire da questa visione, possono accedere alla libertà politica solo quelli che sono stati in grado di imporre agli altri il giogo della necessità. Un fatalismo questo, che stigmatizza ogni politica emancipatrice.
Possiamo davvero considerare seriamente di sinistra un pensiero politico, nel quale hanno accesso all'agire comune solo coloro che si sono dimostrati dei dominatori in campo socio-economico? Una concezione che esalta la Rivoluzione americana, la quale ha mantenuto la schiavitù, e rifiuta invece la Rivoluzione francese, che ha cercato di abolirla? Arendt ha voluto non solo liquidare il marxismo, ma anche prendere le distanze dalle società egualitarie, rifiutando però tuttavia di venire considerata di destra, in modo da sfuggire così alle critiche della sinistra. Nondimeno, difende una nozione aristocratica di politica, la quale dà libero sfogo al dominio economico e sociale, come se la politica non avesse niente a che fare con le questioni sociali.
Arendt arrivò a perfino scrivere che «La distinzione tra l'uomo e l'animale si manifesta nella stessa specie umana: soltanto i migliori (aristoi) (...) sono realmente umani» (“Vita Activa. La condizione umana”, 1983, p. 55). La separazione radicale tra il politico e il sociale, porta alla disumanizzazione di colui che che lei chiama «animal laborans». Del resto sappiamo, a partire dalla pubblicazione del loro carteggio, che "Le origini del totalitarismo" - in cui scagiona gli intellettuali nazisti da ogni responsabilità - venne accolto con entusiasmo dal giurista nazista Carl Schmitt e dal suo discepolo Ernst Forsthoff, autore nel 1933 de "Lo Stato totale". Inoltre, nel 1962, Hannah Arendt coedita i "Mélanges", dei testi in onore di Eric Voegelin, un teorico conservatore che considerava tutti gli autori di sinistra come se fossero degli ideologi gnostici. In questo volume pubblicò un contributo di Armin Mohler, il quale nel 1942 era andato in Germania per cercare di arruolarsi nelle Waffen-SS. Dopo il 1945, Mohler divenne il mentore della Nuova Destra in Europa. In un appassionato articolo del 1932, elogiativo di Friedrich von Gentz - il quale aveva introdotto in Germania l'opera del teorico controrivoluzionario Edmund Burke ed era stato consigliere della politica reazionaria di Metternich - Hannah Arendt osserva che Gentz aveva una doppia personalità: liberale nella morale, conservatore nelle idee politiche. Questa dualità la si può ritrovare anche nella stessa Arendt. La sua personalità energica e beffarda sfidò e contestò alcuni conformismi. Ma il suo pensiero politico rimase fondamentalmente aristocratico e discriminatorio, ancorato alla convinzione secondo cui gli esseri umani fossero per nascita intrinsecamente diseguali.
Tutto ciò è stato confermato dal suo aver rifiutato la politica di de-segregazione razziale, che alla fine degli anni Cinquanta aprì le scuole pubbliche statunitensi ai bambini delle famiglie afroamericane. Nelle sue "Riflessioni su Little Rock" [in "Responsabilità e Giudizio"], la Arendt sostiene che «la questione non è quella di come abolire la discriminazione, ma piuttosto di come mantenerla nella sfera sociale, laddove è legittima». Tuttavia, la sua difesa della disuguaglianza sociale, anche quando si confonde con la discriminazione etnica e razziale, continua a essere essa stessa una posizione politica; e tra le meno accettabili. In " Hannah Arendt and the Negro Question" (KIME, pubblicato il 21 aprile 2023), Kathryn S. Belle mostra come, per quanto riguarda la questione nera, la "Blackness" di Arendt rimane una questione politica. Belle dimostra che per quanto riguarda la questione della segregazione razziale nelle scuole, Hannah Arendt sostiene le «medesime posizioni» dei suprematisti bianchi.
L'articolo di Clémence Mary su Hanna Arendt, non dà voce a nessuno di quegli autori che hanno saputo criticare le posizioni aristocratiche della Arendt. Non è forse giunto il momento di aprire il dibattito? Non è forse questa la condizione perché la sinistra ritrovi la sua coerenza, smettendo pertanto di ispirarsi ad autori la cui concezione della politica è simile a quella della rivoluzione conservatrice?
- Emmanuel Faye -
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