Leggere "Capitalismo carnivoro" cambierà il vostro modo di pensare e mangiare la carne. Non vi convincerà a smettere di acquistarla al supermercato. Non vi spingerà a stravolgere le vostre abitudini alimentari e diventare vegetariani o vegani. Tra queste pagine non troverete un manifesto animalista, ma un viaggio nelle zone più oscure del «continente della carne». Dopo anni trascorsi in giro per il mondo per studiare l'industria alimentare, Francesca Grazioli ha deciso di raccontare come il sistema che utilizza il 70% delle terre agricole coltivabili del pianeta esclusivamente per lo sfruttamento animale abbia reso la carne una delle principali cause di conflitto internazionale; e come sia sorto il regime di lobby che ogni anno consuma 55 miliardi di polli e ogni giorno permette al più grande mattatoio del mondo di macellare 36 000 maiali. Numeri che continuano a sostenere e accrescere i profitti alla base di un «capitalismo carnivoro» che non teme di essere causa delle crisi finanziarie ed ecologiche che stiamo attraversando. L'unica rivoluzione possibile comincia, allora, dai piatti che arrivano sulle nostre tavole: mangiare carne non è più una scelta innocente né tantomeno innocua. Smascherare i processi economici che si nascondono dietro al gesto più abituale e quotidiano dei nostri pasti significa ridefinire chi siamo e in quale società scegliamo di abitare.
(dal risvolto di copertina di: FRANCESCA GRAZIOLI, "Capitalismo carnivoro. Allevamenti intensivi, carni sintetiche e il futuro del mondo". IL SAGGIATORE, Pagine 208, €17)
Le multinazionali della bistecca
- di Danilo Zagaria -
Nel 1905 il giornale socialista americano «Appeal to Reason» pubblicò un romanzo a puntate scritto da un arrembante giornalista di Baltimora, Upton Sinclair, specializzato in quello che oggi chiameremmo giornalismo d’inchiesta. Il libro, uscito poi l’anno successivo per l’editore Doubleday, si intitolava "La giungla" ed era dedicato ai lavoratori d’America. L’iniziale incertezza dell’editore fu ampiamente ripagata, dal momento che il libro vendette in poco più di un mese oltre 25 mila copie. Il successo di quel romanzo continua tuttora, a distanza di oltre cent’anni dalla sua prima pubblicazione, complici il tema che tratta e il momento storico che l’autore riuscì a fotografare con nitidezza. La giungla fu infatti il primo libro che raccontò al mondo quanto avveniva all’interno dei macelli di Chicago e negli stabilimenti che trasformavano animali vivi, soprattutto maiali, in prodotti pronti da vendere al pubblico. Una straordinaria testimonianza del processo che portò la lavorazione del cibo al livello industriale, per migliorarne efficienza, rapidità e guadagno, i capisaldi del fare capitalistico. Fra i tanti eredi del lavoro di Sinclair vi è anche "Capitalismo carnivoro. Allevamenti intensivi, carni sintetiche e il futuro del mondo", in libreria per il Saggiatore. Volume dotato di un certo lirismo e di un ritmo coinvolgente, riflette fra le pagine gli interessi e l’esperienza della sua autrice, Francesca Grazioli, nel campo della sicurezza alimentare e delle relazioni fra cibo, economia e crisi ambientale. Il risultato è uno sguardo d’insieme che tratteggia tutti quei flussi — di mangimi, di corpi, di prodotti e di denaro — che animano il mercato globale della carne, capace di produrre cibo a poco prezzo per miliardi di esseri umani (che, nel frattempo, sono diventati otto) a costi ambientali da capogiro. Così come il romanzo di Sinclair mette al centro del racconto i lavoratori e i loro corpi sfruttati dalla nascente industria americana, Capitalismo carnivoro parte dagli animali e dalla loro corporeità negata, modificata per ottimizzare i profitti. Profitti che finiscono per diventare un premio soltanto per alcuni, mentre gli altri, presi in una corsa competitiva che coinvolge anche allevatori, contadini e manodopera impiegata in prima linea, restano stritolati.
È qui che il libro di Grazioli fa centro, descrivendo i due movimenti, orizzontale e verticale, compiuti dall’industria della carne nell’ultimo secolo. Il primo è in realtà una concentrazione, quella che permette alle aziende migliori di «mangiarsi» i competitor che non ce l’hanno fatta o sono rimasti piccoli. L’attuale scenario statunitense la dice lunga sul livello di voracità del settore, capace di estendersi anche al di là dei confini nazionali: tre aziende — Tyson Food, Cargill e JBS — controllano l’80% dei bovini del mondo. Ma non è finita qui, dato che il movimento è anche di tipo verticale, e si muove lungo l’intera filiera, da «un maialino a un prosciutto crudo stagionato». La verticalizzazione porta le aziende della carne a inglobare realtà che si muovono in altri settori, dalla logistica alla distribuzione, dall’allevamento al packaging, dai laboratori di ricerca alle startup dedite all’innovazione dei processi. Il risultato è la presenza sul mercato globale di moloch, gigantesche aziende alle quali viene deputata la produzione (e non solo) di gran parte della carne consumata a livello mondiale. "Capitalismo carnivoro" è un libro che genera una lunga lista di dubbi, preoccupazioni, domande. In testa all’elenco c’è la sensazione che le multinazionali siano ormai difficilmente controllabili e che il loro strapotere economico non possa essere addomesticato da leggi nazionali, regolamenti e norme di vario tipo. Come sarà possibile, dunque, far sì che questo comparto metta in pratica l’ennesima transizione e alleggerisca il peso ambientale di una mandria globale che conta, secondo le stime, circa 80 miliardi di animali allevati? Secondo uno studio pubblicato da Greenpeace a inizio novembre, siamo ancora lontani dall’ottenere risultati concreti. L’associazione ambientalista ha incrociato i dati sugli allevamenti italiani che rilasciano più ammoniaca, un composto che concorre alla formazione delle polveri sottili che peggiorano la qualità dell’aria (l’ormai noto particolato PM 2,5), e quelli sui fondi pubblici che tali allevamenti ricevono tramite la Politica agricola comune (Pac) dell’Unione Europea.
Il risultato, espresso in forma di mappa, mette in luce come in alcune zone del Paese, Lombardia e Pianura Padana soprattutto, si respiri aria inquinata non solo dal settore dei trasporti ma anche dai numerosi allevamenti presenti, in particolare di maiali e polli, che hanno ricevuto nel solo 2020 con una cifra complessiva di 32 milioni di euro. L’auspicio, sottolineato anche da Greenpeace, è che le aziende si impegnino per rendere concreti tutti gli obiettivi strategici della Pac, dalla quale ottengono fondi, previsti per il periodo 2023- 2027, soprattutto quelli riguardanti gli impatti ambientali. A fronte di una domanda di carne che, fra alti e bassi, non accenna a calare, sarebbe quindi opportuno allevare meno e meglio, come propone la politica slow meat di Slow Food. Senza dimenticare che agricoltura e zootecnia sono settori, intimamente connessi, che in Italia danno lavoro a centinaia di migliaia di persone. E che, dunque, la sorte di animali, lavoratori e ambiente, così come già aveva intuito Upton Sinclair nella Chicago di inizio Novecento, è intimamente connessa.
- Danilo Zagaria - Pubblicato su La Lettura del 20/11/2022 -
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