Nascita del Bio-traduttore
di Sandrine Aumercier
Nella vita è tutta una questione di definizione. Da sempre, la traduzione ha costituito una delicata attività che consisteva nella trasposizione di un testo da una lingua all'altra; è sempre stata un'attività creativa, nella misura in cui le interpretazioni possibili di tale testo potevano essere tante quante erano le sensibilità e le scuole; le quali scuole, oltretutto litigavano, allo stesso modo in cui lo facevano i teologi medievali, a proposito delle loro scelte traduttive. Ma ecco che tutt'a un tratto con l'arrivo sul mercato dei traduttori automatici - i cui risultati hanno di colpo superato tutto ciò che si sapeva fino ad allora - ecco che questa attività ancestrale scompare, e viene ribattezzata «bio-traduzione», e questo anche quando viene ancora praticata da esseri umani [*1]. Da più parti, si sono affannati ad assicurarci che il mestiere del traduttore non scompariva, ma stava solo diventando un lavoro di «post-editing» (definito dalla norma ISO 18587-2017). Tranquilli, ci sarà sempre bisogno di essere umani preparati ed esperti per controllare i risultati forniti dalla macchina, anche per «focalizzare quelle che sono le note carenze» [*2] della suddetta macchina. Dato che tale competenza costituirebbe un apporto di creatività umana a quelli che sono i processi di automazione, e (secondo alcuni) potrebbe essere monetizzata sul mercato del lavoro in quanto «plusvalore».
In ogni caso, da parte dell'uomo, dicono che non si tratterebbe più di interpretare il testo originale, ma di interpretare piuttosto i risultati generati da una rete neurale artificiale, vale a dire, da un algoritmo basato su un trattamento statistico del linguaggio. Il cosiddetto "Deep Learning" [Apprendimento Profondo] considera il linguaggio come se fosse un codice: i processi automatici sono una sorta di scatola nera di cui l'uomo non può ricostruire i passaggi (per quanto siano in corso delle ricerche volte a trasformare i cosiddetti sistemi opachi in sistemi trasparenti). Il codice si nutre dei dati forniti dagli utenti, in modo che così possa migliorare continuamente la sua somiglianza alle prestazioni umane. Le versioni più elaborate vengono appositamente addestrate tramite un dizionario che, utilizzando un lessico specifico, rende quasi perfetta la traduzione automatica. Ad esempio, il software eTranslation, utilizzato dalla Commissione Europea per tradurre i testi ufficiali non era adeguato a un testo letterario, bensì al linguaggio tecnocratico che le sue reti neurali artificiali macinavano continuamente. Ma dato che gli sviluppatori si erano ben presto resi conto che, da sé sola, la quantità di dati non era sufficiente a garantire dei risultati del tutto affidabili - soprattutto rispetto a degli eventi insoliti - è stata allora sviluppata una branca dell'IA chiamata Human-in-the-Loop, che consiste nel fornire alla macchina un feedback di quel genere, in modo da addestrarla così a riconoscere con precisione gli eventi eccezionali.
Oramai, le intelligenze umane - sia quelle dei progettisti che quelle degli utenti - sono già state tutte messe al servizio del miglioramento della macchina, in modo da poter restringere, fino al limite della scomparsa, il campo che può essere definito come quello della specificità umana (ovvero, della sua differenza ontologica), nel quale gli esseri umani lavorano attivamente alla loro stessa obsolescenza, non facendo altro che seguire la propria libido di sviluppatore o di utente. Alla fine di questo processo, all'essere umano non rimane altro che lottare per definire sé stesso rispetto a una macchina che gli starebbe contendendo tale definizione. Alcuni - coloro i quali sono stati ribattezzati bio-traduttori - hanno però cominciato a preoccuparsi, non solo per il futuro del loro «mestiere», quanto piuttosto per ogni genere di rischi e di pregiudizi che derivano da questa pratica. Nel rivendicare, ad esempio, «trasparenza riguardo le pratiche di traduzione», non si sono resi conto che stavano recitando una farsa, dal momento che era già diventato impossibile riuscire a distinguere tra bio-traduzione e traduzione automatica; e non era possibile spiare il computer di ogni traduttore per vedere se avesse usato il generatore di traduzione automatica DeepL. Ragion per cui, si sono allora aggrappati all'attività che conoscevano da sempre, cercando di resistere all'onda automatica e contrapponendole la nostalgia per le cosiddette capacità «superiori» della mente umana, che sono tuttavia altrettanto "usa e getta". Infatti, fin dall'inizio del capitalismo, non appena si rendeva disponibile un processo di sostituzione, ecco che, sostanzialmente, tutte le mansioni diventavano sostituibili da una macchina. Avevano creduto che queste attività intellettuali potessero rimanere un bastione inespugnabile, e invece ancora una volta si sono dovuti rendere conto che, nella progressione inarrestabile dei suoi nuovi standard di produttività, il Capitale non conosce bastioni del genere. Il capitale, si appropria della «vostra creatività» con la stessa facilità con cui si appropria della vostra «energia» oppure dell'atomo, così come della cellula e del bit informatico. Pertanto, la venerabile attività del tradurre, è stata in questo modo ricodificata, così come era già avvenuto per tutto il resto, nei termini della moderna epopea del Capitale. Tutto ciò che esiste, continua a essere diviso in due funzioni, il bio-lavoro e il lavoro automatizzato. Il primo, alla fine viene sempre naturalizzato dal secondo, artificiale, che ha sempre rappresentato il futuro. Il bio-lavoro è stato sempre e continuamente ricacciato nel passato, e ridotto alla sua forma più elementare. Più ci si volge indietro, a guardare il passato, al limbo della «natura», più tutto questo diventa una sorta di sfida finale, con l'obiettivo di realizzare una rete neurale artificiale che possa essere «creativa» quanto lo siete voi, ma milioni di volte più veloce nel calcolare. Karl Marx chiamava «lavoro vivo» e «lavoro morto» ciò che ora si chiama bio-lavoro e lavoro automatico. Ma visto che il marxismo è passato di moda, noi usiamo volentieri il linguaggio attuale. Non siamo poi così legati a un vocabolario marxiano, e non vogliamo offendere nessuno!
Questa storia, ne ricorda molte altre che si sono verificate a partire dalla prima rivoluzione industriale. Per esempio, dopo la Seconda guerra mondiale, l'arrivo sul mercato dei fertilizzanti sintetici, e di pesticidi che erano in grado di uccidere un cavallo, ha trasformato il coltivatore di ortaggi senza pesticidi in un «coltivatore biologico», e questo nel mentre che l'agricoltura, sotto il peso della «rivoluzione verde», si trasformava in sempre più aziende agricole intensive e di dimensioni sempre più eccessive. Le economie di scala, ottenute grazie all'aumento dei volumi di produzione, hanno portato a una riduzione dei costi unitari di produzione, cosa che a sua volta ha portato a ciò che, nel settore alimentare, viene spesso definito come «democratizzazione» del consumo di massa (resta da capire cosa abbia a che fare la suddetta democratizzazione del consumo con la nozione di democrazia, ma questo è un argomento che non può essere approfondito in questa sede). Da quel momento in poi, il «produttore bio» si trasforma in una sorta di "Asterix" irriducibile che si confronta sistematicamente con la concorrenza sleale degli standard di produttività industriale. Costretto ad adottare i medesimi standard, o a morire, ecco che anch'egli inonda, a sua volta, il mercato con una «produzione industriale biologica» che così ha smesso di avere a che fare con la sua idea originale. Ma quando è arrivata la crisi successiva, perfino questo compromesso non è riuscito a garantire la sua sopravvivenza. Il «piccolo produttore locale» che si ostinava a vendere sul mercato una cassa di striminzite carote biologiche al prezzo di un prodotto di lusso, messo al confronto con il suo trionfante rivale, il venditore di carote industriali, non aveva alcuna possibilità di sopravvivere. La carota rigonfia, scintillante, lavorata, calibrata e a buon mercato, ha sempre incontrato il favore del cliente, i cui gusti e le cui scelte sono stati in ogni caso educati a seguire la direzione della storia. La lotta metafisica tra la carota industriale e la carota biologica, si è sempre risolta in un fallimento per quest'ultima e in una cocente delusione per il suo produttore. Ma perché? Perché non era una lotta ad armi pari. Il capitale ha determinato quale doveva essere il senso in cui la Storia avrebbe proceduto. E in linea di principio la direzione della Storia è sempre giusta, e la direzione opposta è sempre sbagliata. Lo scenario è già scritto.
L'importante è dire che il «produttore bio» è nato contemporaneamente al «coltivatore industriale». L'uno è stato il duplicato dell'altro, come se fossero le due facce di una sola medaglia, simili alla lotta tra il Bene e il Male nella cultura popolare. A ogni nuova tappa della sua storia di espansione, il Capitale ha creato tali duplicati, i quali hanno combattuto una lotta impari e spietata, sistematicamente (e provvisoriamente) vinta dai nuovi standard a spese di quelli precedenti, fino a quando poi essi stessi non sono stati a loro volta sostituiti da dei nuovi standard. È per questo che le profezie che parlano del ritorno di un paradiso terrestre, e dell'apocalisse, hanno passato il loro tempo a litigare per il nostro futuro. Il problema è che i produttori biologici non erano nemmeno consapevoli di essere delle creazioni del Capitale; erano convinti di difendere una pratica naturale e innocente. Non c'era alcun dubbio che l'esito di tutto ciò non avrebbe potuto essere altro che la vittoria del Capitale, giacché esso stava minando le sue stesse fondamenta. Quando si arriverà al momento in cui non ci sarà più nessuno a lavorare se non, ad esempio, poche attività umane, l'economia non potrà fare altro che crollare sotto il peso della de-sostanzializzazione del valore. Ma era altrettanto certo che una simile evoluzione non avrebbe potuto portare alla vittoria dei suoi oppositori precari, minoritari e repressi.
Ma torniamo alla traduzione. Il paesaggio ha cominciato ad assomigliare a una specie di marcia parallela di bio-traduttori e di traduttori automatici, con i post-editori che svolgevano il ruolo di mediatori e pacieri, perché per tutti loro non si poteva certo perdere l'opportunità di adattarsi: «L'evoluzione tecnologica è ineluttabile ed è consigliabile coltivare una certa apertura (sostenuta da una postura critica riflessiva)» [*3]. Va detto che però nessuno sapeva ancora se fosse possibile automatizzare una «postura critica riflessiva». Sebbene, tuttavia, un simile progresso tecnico costituirebbe senza dubbio il coronamento di tutti gli sforzi. Ovviamente, lo sviluppo logico dell'IA prevedeva già che un giorno la macchina sarebbe stata supervisionata, non da un povero umano fallibile (e magari malato), ma piuttosto da un'altra macchina, la quale a sua volta sarebbe stata supervisionata da un'altra macchina ancora, e così via. Questa tendenza, potrebbe essere rappresentata con una funzione matematica, il cui limite all'infinito tende a ridursi a un singolo intervento umano. Ma poiché era chiaro che quest'ultimo essere umano non era infallibile, e la società democratica era riluttante ad affidarsi agli autocrati, allora ciò che sarebbe davvero servito era una «intelligenza artificiale generale», la quale avrebbe ingerito tutti i dati disponibili e sarebbe stata in grado di elaborarli automaticamente; compito non da poco. Naturalmente, l'albero decisionale (quello dell'algoritmo) sarebbe stato soggetto all'implementazione artificiale di valori «incentrati sull'essere umano e degni di fiducia». Malgrado tutto, alcuni erano spaventati dal carattere ottusamente teleologico della macchina (la quintessenza della razionalità strumentale): il programma della macchina consiste nel fare fino in fondo ciò per cui è programmata, e nient'altro, e il che può avere conseguenze spiacevoli anche quando si hanno le migliori intenzioni. Questo fattore di rischio è stato uno dei temi preferiti dal filosofo transumanista Nick Bostrom. Ma come mai tutto questo? Così voleva il senso della direzione della Storia, ed era lo stesso che ha ricodificato qualsiasi opposizione trasformandola in bio-conservatorismo (è questo il modo in cui i transumanisti chiamavano i loro avversari [*4]). Il bio-conservatorismo, la bio-traduzione e la bio-carota costituivano la linea di difesa di una lotta che continuava a retrocedere e ad accumulare sconfitte, dal momento che era sempre una causa persa.
Pertanto, ai lavoratori di ogni tipo non rimaneva altro che adattarsi alla direzione della Storia, facendo di necessità virtù. I lavoratori della mente - un tempo "traduttori" o "autori" - sono diventati i fornitori del "plusvalore" etico, intellettuale e artistico. Hanno accettato di farsi carico di quel che rimaneva del bio-lavoro, e che il lavoro automatizzato aveva voluto lasciare loro solo come briciole (in attesa di perfezionarlo grazie al continuo apporto di dati che loro stessi gli fornivano). Si sono messi a difenderlo e a valorizzarlo con le unghie e con denti, a partire dal fatto che erano così ben tarati per servire la società del lavoro, al punto che dovevano assolutamente difenderne per forza un pezzo, sebbene questo pezzo fosse già stato meccanicamente promesso alla medesima obsolescenza cui era stato destinato insieme al resto dal Capitale. Li avevano assicurati che avrebbero potuto fare un uso intelligente della tecnologia, dal momento che erano più intelligenti di essa, e che avrebbero potuto controllare la situazione. Il loro argomento principale è stato quello che non avevano scelta, considerato che la miserabile lotta dei bio-lavoratori non costituisce un'opzione seria. Non si sono neppure vergognati di affermare che, grazie alla produzione di carote industriali biologiche, e attraverso una scrupolosa e coscienziosa revisione delle traduzioni automatiche fatte da App addestrate alla bio-traduzione avrebbero salvato il mondo! Più protestavano per la loro creatività individuale, più servivano involontariamente all'impoverimento generale della lingua [*5].
Eppure avrebbero dovuto sapere che questa logica era altrettanto ineluttabile di quella che, nel contesto dell'agricoltura industriale, aveva già distrutto il suolo, le falde acquifere, il clima e la «bio-diversità» (questo termine tecnico era stato usato per ribattezzare ciò che gli esseri umani di ogni tempo avevano semplicemente considerato come la ricchezza del mondo, e che la scienza aveva ritenuto che fosse solo il complesso prodotto dell'evoluzione). Sicuramente, la bio-creatività e la bio-intelligenza erano destinate a impoverirsi, allo stesso modo della biodiversità. Avrebbero trasformato gli esseri umani in dei gestori di processi automatizzati. Ma dal momento che gli esseri umani erano talmente imbevuti della superiorità delle loro menti, essi non avrebbero nemmeno visto il modo in cui la loro stessa creazione li stesse menando per il naso. E per quanto, ad accadere fosse sempre la stessa storia, poteva sembrare che non avessero imparato nulla dalle precedenti esperienze; e il riproporsi del medesimo era talmente uguale che alla fine risultava essere stancante. Si aggrappavano, con tutte le illusioni della soggettività borghese, alle loro sopravvalutate capacità individuali, dimenticando la direzione globale e inesorabile del «soggetto automatico» (Karl Marx) che stavano inconsapevolmente seguendo e assecondando. Convinti di sovvertire la macchina grazie a un suo uso intelligente e a una certa accortezza - e simpatizzando spesso con gli hacker - in realtà stavano assecondando le astuzie della ragione capitalista, la quale li stava mandando a sbattere, insieme alla loro bio-intelligenza, alla loro bio-creatività e ai loro bio-cervelli, contro lo stesso muro contro il quale si stava dirigendo tutta la civiltà capitalista.
E in tutta questa storia, cosa stavano facendo i pensatori critici? Generalmente, di solito erano costernati dallo situazione in cui versava la difesa. Si rendevano conto che la lotta per difendere il bio-lavoro non era praticabile. Però allo stesso tempo si rendevano ben conto che anche il progresso di avanzamento dell'automazione stava finendo per ridurre sempre più gli esseri umani, a un residuo ontologico di quella loro stessa mostruosa creazione, che ora stava rosicchiando persino l'attività del pensare. Ovviamente, non l'attività individuale del pensare (vale a dire, quella stessa attività che veniva costantemente sopravvalutata), bensì quel che era lo statuto che, nella civiltà, era stato conferito all'attività di pensare; a cui Freud aveva attribuito, molto alla leggera, delle capacità di sublimazione collettiva (e questo perché anche lui a volte cedeva alla sopravvalutazione delle capacità intellettuali della specie, vedendole come un progresso). I teorici critici avrebbero fatto la fine - così come gli accademici e gli scienziati - di supervisori di processi automatizzati, mentre coloro che non sarebbero stati disposti ad acconsentire, sarebbero finiti in qualche ambito sotterraneo o «autonomo», tollerato dal sistema come una delle forme legittime di svago, accanto ai sostenitori della spremuta di ortica.
Diventava perciò evidente che se, da un lato, adattarsi alla direzione della Storia non era emancipatorio, non lo era nemmeno aggrapparsi a quello che della Storia era il suo polo più arretrato. I bei vecchi tempi andati, non ci avrebbero di certo salvato dai brutti tempi a venire. Qualsiasi presa di posizione rispetto alla scelta sarebbe stato alla fine, in ultima analisi, un compromesso con questa dinamica.
Una simile scandalosa situazione ha portato sempre più persone a dichiarare che, nelle condizioni del Capitale, è tutto uguale e che non c'è nulla da fare; da un certo momento in poi, non era più possibile distinguere tra affermazione e negazione, tra sì e no, tra sinistra e destra... Sono diventati tutti postmoderni per forza e, nel migliore dei casi, hanno sostenuto quelle eccezioni, quelle crepe di sovversione che credevano potessero forse diffondersi. Così facendo, dimenticavano che le posizioni in gioco non sono affatto simmetriche; esse sono determinate dal senso in cui marcia la Storia, in modo che difendere una parte o l'altra significa comunque cercare di far pendere, o meno, la bilancia dalla parte storicamente predeterminata dallo sviluppo del Capitale. Ci sono sempre state solo due possibilità: nella direzione della corrente, o contro la corrente. Ma si tratta sempre di una sola e stessa corrente. Come ha detto un tizio: «Siamo tutti sulla stessa barca». Non se ne esce.
Naturalmente, una volta colonizzata dal Capitale, la vita quotidiana ha imposto una scelta pratica: il produttore ha sempre finito per produrre, o una carota trattata o una non trattata, e lo ha fatto in nome della sua piccola convinzione personale, e ha finito per subirne le conseguenze che da questa scelta ne derivavano, e che non erano molto diverse; allo stesso modo, il traduttore sceglieva tra una traduzione umana e una traduzione automatica assistita; e il consumatore tornava sempre a casa con una carota o con l'altra, spesso orgoglioso della sua «scelta» tra i due beni. Scegliere tra una carota lavorata, venduta in offerta speciale a un prezzo inferiore a quello del supermercato accanto, e una carota biologica non confezionata e a «zero emissioni di carbonio» era diventato il culmine del senso morale dell'homo œconomicus. E alla fine ciascuno doveva sempre guadagnarsi da vivere difendendo il bio-lavoro che l'automazione gli consentiva di fargli fare. Non sembra ci fosse nessun'altra terza via. Che fare, dunque, in pratica? Tutta questa dimostrazione, dovrebbe portare alla conclusione che, dal momento che il «no» è maledetto, allora ci rimane solamente il «sì» alla relazione sociale capitalista? In questo modo, la «critica radicale» è stata ribaltata come una frittella, o quanto meno sbattuta in un'adesione di fatto a tutto ciò che criticava con la testa; un bell'esempio di divisione capitalistica del lavoro. Non c'è alternativa, vi era stato detto. Tuttavia, c'era un dettaglio che continuava a sfuggire a un approccio che rimane limitato all'opposizione immaginaria di termini prestabiliti; e la dialettica ci ha insegnato che la negazione della negazione non equivale a un'affermazione. Il rifiuto di prendere la carota organica e innalzarla a divinità dell'emancipazione sociale, non significa di certo che dobbiamo per forza essere obbligati ad assolvere la sua controparte chimica, quella che troneggia sugli scaffali delle merci capitaliste. Perciò, come fare a dare forma alla negazione della negazione, o alla negazione della «sintesi sociale negativa» (Robert Kurz) che, man mano che l'automazione di tutte le funzioni umane progrediva, stava spingendo sempre più la critica contro il muro ? Quale forma poteva assumere la critica, se essa non veniva limitata a una retorica che ben presto qualsiasi macchina ben addestrata sarebbe stata in grado di emettere, come una segreteria telefonica?
La conseguenza della scelta impossibile, era forse che non c'era alcuna scelta tra essere l'idiota di ieri che faceva una traduzione «vecchio stile», che richiedeva mesi, fatta per uno stipendio ancora più ridotto, e l'idiota di domani che salta sulla nuova macchina la quale fornisce lo stesso risultato in cinque minuti. Il fatto che oggi la traduzione sia entrata nella zona morta, può essere confermato dal rifiuto di scegliere tra queste due opzioni ugualmente idiote. Rifiutarsi di scegliere - in tutti i campi in cui l'astensione poteva ancora essere esercitata - costituiva l'unico modo per esprimere un rifiuto rispetto a quelle che erano le false scelte prefabbricate dalle condizioni del Capitale. Tale rifiuto poteva essere solo imperfetto e limitato dall'obbligo di sopravvivenza nelle condizioni date. Ma, visto in una prospettiva emancipatrice, in linea di principio questo rifiuto non era negoziabile. Se avessero perseguito un orizzonte emancipatorio, i bio-traduttori, in massa, avrebbero dovuto rendere noto che non avrebbero più tradotto, e che non avrebbero mai acconsentito a una simile proletarizzazione ontologica. La costrizione non è mai talmente totale da non lasciare alcun margine di rifiuto rispetto alla trappola della falsa alternativa. Se l'intera strada è fascista, questo non costituisce comunque un argomento per unirsi ad essa. Essere sbattuti in prigione, non spiegherà mai l'amore per la galera. Quando una tecnologia si diffonde, questo non è un argomento a favore dello zelo nell'adottarla. In assenza di tale diversificazione, la negazione della negazione diventa identica all'affermazione e in pratica dà ragione a quarant'anni di livellamento postmoderno e, alla fine, anche alla politica del fatto compiuto. Il rafforzarsi di questa piccola differenza non può che essere oggetto di una «rottura ontologica» (Robert Kurz) degna di questo nome.
- Sandrine Aumercier, marzo 2023 Pubblicato il 30/3/2023 su GRUNDRISSE. Psychanalyse et capitalisme -
NOTE:
[1] https://journals.openedition.org/traduire/2350 ; https://journals.openedition.org/traduire/1848
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4] https://www.cairn.info/revue-les-tribunes-de-la-sante1-2012-2-page-75.htm
[5] https://aclanthology.org/W19-6622.pdf
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