venerdì 28 aprile 2023

Teoria della Rivoluzione …

Jacques Ellul e la rivoluzione necessaria
- di José Ardillo -

Nel quadro di quella che rimane un'opera ampia e variegata, appartenente, a seconda dei casi, alla sociologia critica, alla teologia, alla storia del diritto o alla propaganda, senza però sottrarsi alla polemica intellettuale, all'inizio degli anni Settanta, Jacques Ellul si dedica a uno studio esaustivo del concetto di "rivoluzione", attraverso i due libri "Autopsia della rivoluzione" (1969) e "De la révolution aux révoltes" (1972). A questi due libri, nel 1982 se ne aggiunse un terzo, "Changer de révolution", che rispetto alle precedenti posizioni, che aveva sviluppato a partire dagli anni Cinquanta, costituisce un punto di riflessione e di rottura sulla questione della tecnologia. Negli anni Trenta, Ellul, insieme all'amico Bernard Charbonneau, aveva fatto parte del piccolo Movimento Personalista; una corrente intellettuale che all'epoca si opponeva tanto al fascismo e al comunismo quanto alla società liberale. Tuttavia, questi due autori si allontanarono ben presto dal movimento, in parte a causa di disaccordi con Emmanuel Mounier, che ne era il leader (*1). Durante la guerra, Ellul venne escluso dall'insegnamento dal governo Pétain, e per un certo periodo si dedicò all'agricoltura, partecipando alla Resistenza senza però prendere le armi. Dopo la guerra, tornò all'insegnamento e partecipò nuovamente a gruppi di riflessione insieme all'amico Charbonneau. Nel 1962, dopo aver inviato a Guy Debord il suo libro "Propaganda. Come si formano i comportamenti degli uomini", e aver constatato di essere molto apprezzato dai situazionisti, egli propose loro di collaborare. Tuttavia, questa proposta fu rifiutata dal gruppo a causa della sua fede cristiana. Qui, una parentesi è d'obbligo. Qualche anno fa, Jean-Claude Michéa ha accennato a quelli che definiva come i due grandi contributi alla critica sociale, che erano stati apportati negli anni Sessanta dai concetti di "società dello spettacolo" (Debord e i situazionisti) e di "società tecnicista" (Ellul) (*2). È stato un peccato che,  per un motivo così irrisorio, non abbia potuto aver luogo la collaborazione tra Ellul e i situazionisti, dal momento che l'unione di queste due correnti critiche avrebbe potuto produrre un'analisi profonda ed efficace dei processi sociali in atto in quel periodo (*3). I situazionisti svilupparono, molto abilmente, una teoria che denunciava il funzionamento ideologico della società dei consumi ma, riguardo quel che era la comprensione delle basi materiali e tecniche di questa società, non andarono oltre. È quest'ultimo punto a costituire il principale contributo di Ellul e Charbonneau. Questi due autori sono stati in grado di vedere le implicazioni potenzialmente rivoluzionarie di una critica del modo tecnico di organizzazione della società, e della comprensione delle conseguenze che ciò avrebbe nell'elaborazione di un discorso emancipatorio. Il settarismo dei situazionisti e, in generale, quella che era la loro fiducia nell'apparato industriale della società - al cui apparato, secondo loro, sarebbe bastato adattare la gestione dei consigli operai - rese impossibile che in Francia si formasse un fronte di pensiero critico, il quale avrebbe potuto superare sia le insidie dell'avanguardismo che quelle dell'operaismo, e che avrebbe portato in primo piano la questione ecologica. Non pretendiamo che questo sia stato l'unico ostacolo alla formazione di una tale coscienza critica, ma ci sembra sintomatico di un'epoca in cui l'estremismo di sinistra è rimasto cieco di fronte al problema ecologico. In questo senso, il contributo di Murray Bookchin, con tutte le carenze e le contraddizioni che abbiamo sottolineato, ha invece aperto una prospettiva necessaria a un'evoluzione del pensiero emancipatore. (*4) Tra il 1972 e il 1982, Ellul aveva partecipato, insieme a Charbonneau, alla formazione del Comitato per la difesa del litorale aquitano, il cui obiettivo era quello di bloccare il programma statale di sviluppo turistico di quella regione costiera. Nel frattempo, nel 1977, Ellul pubblicò Le Système technicien, forse la sua opera più compiuta riguardo al fenomeno tecnico, nella quale rispondeva a molte delle critiche mosse - risalenti alla pubblicazione del suo primo libro - sull'argomento e dove l'autore delineava la società informatizzata che sarebbe poi, trent'anni dopo, diventata la nostra. A ciò si aggiunga che Ellul e Charbonneau sono diventati dei punti di riferimento per l'ecologia radicale in Francia e, pur non essendo autori "popolari", il loro lavoro e i loro contributi trovano sempre più eco. Ora, ci si potrebbe chiedere il perché di un simile rinnovato interesse per Ellul. Senza dubbio, molti sentono il bisogno di attingere ai suoi scritti perché oggi sembra mancare una riflessione su un certo numero di questioni, rispetto alle quali tali testi forniscono argomenti rilevanti che permetto di portare avanti una critica della società odierna focalizzata sugli stili di vita, sulle credenze, sui pregiudizi e sull'ideologia progressista. Il lavoro di Ellul, insieme a quello di Charbonneau, di Ivan Illich, di Günther Anders, di Karl Polanyi, di Lewis Mumford, di Theodore Roszak, di Paul Goodman e altri potrebbe servire come fonte di ispirazione per un futuro movimento rivoluzionario volto alla trasformazione, che avrebbe come obiettivo primario lo sviluppo della libertà umana vista nel rispetto delle altre specie e della vita del pianeta nel suo complesso. Si può non essere d'accordo con tutto ciò che Ellul pensa, né con il modo in cui lo esprime; questo non impedisce di vedere che egli è grosso modo in grado di identificare, all'interno delle lotte politiche della modernità, le questioni principali e quelle secondarie. La questione della rivoluzione potrebbe sembrare obsoleta, eppure continua a ossessionare tutti coloro che sono impegnati nel dibattito politico, nell'analisi dei sistemi di dominio, nelle lotte concrete, nell'azione diretta, ecc. L'analisi di Ellul sul concetto di rivoluzione arriva proprio in un momento cruciale: la fine degli anni Settanta, una sequenza storica in cui il mondo occidentale viene a essere agitato da una sorta di effervescenza rivoluzionaria.

Autopsia della rivoluzione
In Autopsia della rivoluzione, pubblicato nel 1969 (*5), Ellul tenta di ripercorrere in modo esaustivo lo sviluppo del concetto di "rivoluzione", e lo fa individuando cinque momenti chiave, corrispondenti alle cinque sezioni del libro. Innanzitutto, vengono studiate le differenze tra le rivolte scoppiate prima della Rivoluzione francese: le cosiddette rivolte popolari, le rivolte contadine e le rivolte illuministe. Per lui, si tratta soprattutto di fenomeni sociali che si oppongono al corso della storia e che chiedono un ritorno alle origini, un nuovo inizio. Queste rivolte hanno obiettivi chiari e talvolta anche programmi, ma mai un vero e proprio progetto rivoluzionario. Non esiste una dottrina della rivoluzione in quanto tale. Nella seconda sezione, mostra che il mito della rivoluzione è nato con la Rivoluzione del 1789. Viene pertanto creata, a partire da quella, un'intera religione rivoluzionaria, una dottrina, un modello. La rivoluzione diventa universale e si trasforma in un modello che può essere applicato ad altri momenti storici. Un dettaglio importante: la rivoluzione si colloca all'interno della storia, e non in opposizione ad essa. In questo momento si forma una visione progressiva della storia, nella quale la rivoluzione appare come l'apoteosi della libertà. Ma il trionfo della Rivoluzione francese divenne anche sinonimo del trionfo dello Stato, dell'emergere di una vera e propria religione dello Stato. Mentre in precedenza le rivolte erano sempre state tutte dirette contro il potere, e in generale contro lo Stato, la rivoluzione, da quel momento in poi, perfezionò ed estese all'infinito i poteri dello Stato. Lo Stato divenne così inaspettatamente il garante della libertà. I rivoluzionari si affidarono alle classi popolari e ai gruppi radicali per stabilire, una volta giunti al potere, l'onnipotenza dello Stato razionale. Nella terza sezione, tutto va al suo posto: la razionalizzazione del processo rivoluzionario, e il suo ingresso nella storia come modello, lo trasformano rapidamente in un fenomeno che coincide con la direzione della storia, e che a sua volta è addirittura in grado di creare la storia. La teoria marxista si appropria del concetto di rivoluzione e lo trasforma in un meccanismo automatico della storia, in uno schema scientifico e oggettivo: sarebbe sufficiente prendere in considerazione la combinazione di alcuni fattori oggettivi di una determinata realtà storica, per determinare quando e in che modo essa sfocerà in un processo rivoluzionario. Il marxismo, tuttavia, non è riuscito a inquadrare chiaramente questi fattori. Ad esempio, perché la rivoluzione avvenne in Russia nel 1917, quando era un Paese debolmente industrializzato e con una struttura sociale che conservava le caratteristiche dell'Ancien Régime, e non nei Paesi avanzati, come l'Inghilterra o la Germania? Pertanto, a Lenin e ai suoi compagni parve necessario modificare un po' la teoria in modo che essa potesse continuare a essere uno strumento scientifico di analisi rivoluzionaria. Del resto, Ellul insiste anche sul fatto che la rivoluzione, nel senso della storia, non può che portare al rafforzamento dello Stato, come è avvenuto nel 1917. Allo stesso modo in cui, in Francia, lo Stato divenne il garante delle nuove libertà borghesi, nella Russia bolscevica lo Stato, il partito e il Comitato Centrale divennero i custodi della verità della rivoluzione proletaria, con i risultati che conosciamo. Ellul affronta la quarta sezione parlando della rivoluzione "banalizzata", vale a dire, della rivoluzione nella misura in cui essa è diventata un fenomeno di moda. Alla fine degli anni Sessanta, doveva essere tutto rivoluzionario. Per Ellul, la parola "rivoluzione" si trasforma così in un nuovo idolo delle masse, in un feticcio, e ci propone una succinta analisi di alcuni presunti fenomeni rivoluzionari: l'underground e il cinema di Godard, Castro e la teologia della liberazione, i movimenti sindacali e la contestazione giovanile. Arriva persino a ironizzare sul reale contenuto rivoluzionario del maggio '68. È alla fine, nella quinta parte del libro, che sviluppa il concetto di «rivoluzione necessaria», quello che appare come il contributo più importante del libro, e che a nostro avviso contiene gli elementi di analisi che possono essere utili per noi oggi. Ellul considera il fatto che ci si deve ribellare come se fosse un imperativo morale. Bisogna innanzitutto ribellarsi e opporsi, si deve negare la società attuale nel suo complesso. In sé, la ribellione sembra essere un fatto assurdo, dal momento che essa non ha alcuna garanzia di successo, ma è esattamente proprio questo che la trasforma in un atto di valore. E soprattutto - cosa più importante - la rivoluzione deve agire contro quelle che sono le strutture reali della società, cioè contro la Tecnologia e contro lo Stato, che formano i due pilastri del dominio. La rivoluzione non può basarsi sul concetto di giustizia distributiva, né sul desiderio di porre fine alla povertà, o alla fame o alla guerra - cose queste che, pur essendo tutte questioni serie, non possono essere ricondotte alla radice del problema. Il problema principale risiede nella struttura stessa della società in cui viviamo, nella sua struttura tecnica, nel suo modo di produrre e di consumare, e nell'ideologia dello spettacolo che la protegge. Fare una rivoluzione contro questa società, richiede allora uno sforzo notevole, in quanto combattere anche l'ideologia che essa promuove, e che domina i nostri pensieri: l'edonismo consumistico, l'autonomia intesa nel suo senso individualistico, la ricerca della felicità e del benessere a ogni costo. Ellul sottolinea giustamente come la società moderna sia caratterizzata dalla tendenza a integrarsi sempre più, trasformandosi così in una società globale: grazie alle sue tecniche di informazione, pubblicità, indottrinamento di massa, occupa sempre più spazio nella vita quotidiana e nella coscienza degli individui. Egli sottolinea inoltre che questa è una società in cui la crescita economica costituisca l'unico dogma. Per lui, i rivoluzionari del maggio '68 hanno attaccato soprattutto quelli che erano solo i miraggi del potere, che erano già stati screditati dalla modernità stessa: le strutture reali del sistema sono rimaste intatte. Il tipo di rivolta che Ellul auspica, richiede di conseguenza una messa in discussione radicale dei modi di vita delle società sviluppate. E su questo punto non si fa illusioni, perché sa che in molti casi ciò significherà rinunciare a molte delle cose che i rivoluzionari del suo tempo consideravano invece come delle conquiste inalienabili. Propone pertanto un rafforzamento della coscienza individuale, un'ascesi indispensabile per superare la disciplina imposta alle masse. La rivoluzione necessaria esige la creazione di nuovi valori, poiché tutta la morale è stata spazzata via dall'avanzata della società tecnologica. Secondo Ellul, è indispensabile rompere con la maggior parte di tutto il passato rivoluzionario che abbiamo ereditato, in modo da poter così tornare a un nuovo punto di partenza, dal quale dovrà ricominciare tutto. Nell'affermare che una vera rivoluzione dovrebbe essere diretta contro le strutture centralizzate dello Stato e contro la tecnicizzazione, non nasconde la vera portata della sfida. Tre anni dopo, in "De la révolution aux révoltes" (*6), Ellul completa e approfondisce il suo studio dei fenomeni rivoluzionari del suo tempo, arrivando a delle conclusioni terribilmente cupe, sul futuro e sulla possibilità di una vera rivoluzione:
«Nella misura in cui la rivoluzione necessaria va contro le comodità che sono state concesse all'uomo dal progresso tecnico, nella misura in cui mette in discussione il soddisfacimento di alcuni bisogni che sembrano essere divenuti vitali a causa dell'abitudine e della persuasione, nella misura in cui rifiuta la marcia fin troppo ovvia verso un simile paradiso, essa non ha alcuna possibilità. Il mito del progresso ha ucciso lo spirito rivoluzionario, e la possibilità di prendere coscienza dell'attuale necessità rivoluzionaria. Il peso da sollevare è troppo grande. L'uomo tranquillo, così sicuro che la tecnologia gli fornirà tutto ciò che può desiderare, non vede alcun motivo per cui dovrebbe fare uno sforzo diverso da quello di facilitare questo sviluppo tecnico, e non vede perché mai dovrebbe imbarcarsi in un'avventura incerta e dubbiosa.»
Nel 1982, Ellul pubblica il suo ultimo libro sull'argomento, "Changer de révolution", il cui sottotitolo è "L'inéluctable prolétariat". Questo libro sorprenderà i lettori che hanno familiarità con l'opera di Ellul, poiché il pensatore afferma di vedere la possibilità di utilizzare l'informatizzazione e l'automazione per poter costruire un socialismo decentralizzato e libertario. È vero che le condizioni sociali che questo ri-orientamento sembra richiedere sono fuori dalla portata della nostra società, a meno che non ci sia una trasformazione radicale di tutte le sue strutture. A posteriori, questa proposta rimane un elemento incongruo nella sua opera. Nel suo ultimo libro, " Le Bluff technologique" (1988), è egli stesso ad assumersi il compito di smentire queste fugaci speranze nella tecnologia. Tuttavia, "Changer de révolution" contiene alcune riflessioni e analisi molto interessanti sul futuro del socialismo nella società industriale.

Una valutazione
Un'opera così ampia e ambiziosa, come lo è quella di Ellul, non può non cadere in alcuni eccessi, ingiustizie e contraddizioni. Il suo obiettivo era quello di individuare i principali ostacoli alla libertà umana nella società moderna, e a volte sembra essere caduto in semplificazioni eccessive, o in giudizi troppo categorici. In genere, i suoi ideali cristiani non interferiscono con le opere di sociologia critica che abbiamo citato, ma a volte, come in "Changer de révolution", la loro presenza non aiuta certo a chiarire alcuni punti della sua argomentazione. Nelle ultime pagine di "Autopsie de la révolution", Ellul dà una valutazione elogiativa dell'ultima corrente che egli considerava autenticamente rivoluzionaria: il situazionismo. Tuttavia, questo elogio appare problematico. Era logico che simpatizzasse con l'analisi radicale e intransigente dei situazionisti sull'ideologia alienante della società dei consumi, sul conformismo intellettuale e accademico, sullo stalinismo, sulle pseudo-avanguardie artistiche, ecc. Tutto questo era già presente nelle sue opere degli anni Cinquanta e Sessanta, e in tal senso possiamo riferirci in particolare a "Propagandes" (1962),oppure a "L’Illusion politique" (1965) (*7). In tal senso, "Autopsie de la révolution" contiene tutti gli elementi necessari per criticare molti aspetti della filosofia rivoluzionaria progressista presente nel situazionismo. Infatti, una parte molto importante della teoria situazionista si basava sulla filosofia marxista della storia, e quindi ne condivideva molti errori. Tutta la retorica situazionista sui consigli operai, sulla consapevolezza dell'alienazione da parte della classe operaia, sul «movimento reale che abolisce le condizioni esistenti», ecc. oggi non può che farci ridere. I situazionisti hanno messo le rivolte del maggio-giugno 1968 su un piedistallo perché volevano vederci una nuova epoca di protesta sociale, che può essere accettata solo se si relativizza il quadro e la portata di una simile protesta. Se Ellul mostra un certo disprezzo per la protesta del maggio '68 - nonostante la stima che può avere per la critica situazionista - è proprio perché ne riconosce il carattere banale e limitato. Pur facendo attenzione a non cadere in una visione revisionista della storia contemporanea, è chiaro che le analisi di Ellul, pur facendo parte di una produzione intellettuale scritta, registrata e pubblicata, erano più vicine alla verità di tutte le teorie radicali o sovversive che si potevano sentire all'epoca. La rivoluzione della vita quotidiana annunciata dai situazionisti non teneva conto dei limiti materiali ed ecologici, all'interno dei quali si deve stabilire qualsiasi forma di vita collettiva. E il tempo ha generalmente dato ragione ad autori come Ellul, Illich, Charbonneau e Mumford. Dal maggio '68, la società ha continuato la sua tecnicizzazione, il suo sviluppo produttivista, e si spinge sempre più verso l'alienazione industriale e la distruzione della natura. Ellul riteneva che la rivoluzione - nel senso in cui la intendono molti cosiddetti rivoluzionari - fosse diventata impossibile nell'epoca attuale. Ma questo però non significa che tutte le vie della trasformazione sociale siano bloccate. Si tratta solo di prendere in considerazione ciò che non si può più fare, ciò che non ha più senso, ciò che non è più essenziale (e che non lo era nemmeno quarant'anni fa!). Ellul ha ragione quando dice che la nostra società moderna è una società di integrazione, molto più della società di esclusione che alcuni esponenti della sinistra amano dipingere. Non è nemmeno una società di repressione, ma è soprattutto di adattamento e di consenso. Infine, non è una società della precarietà, ma dell'abbondanza. Certo, nelle società industriali avanzate esistono fenomeni di esclusione, repressione e precarietà obbligatoria; ma non sono problemi centrali, perché derivano da un sistema in cui la Tecnica, lo Stato e la crescita giocano un ruolo fondamentale, e il cui dominio sociale è imposto con strategie molto diverse. In generale, si può dire che l'intera società vive in accordo con il suo sistema politico, e quando molte persone si lamentano e parlano di precarietà ed esclusione, stanno solo chiedendo che il sistema corregga i suoi errori, che migliori, che vada a beneficio di tutti, che tutti possano avere un reddito decente, una buona rete stradale, una buona assistenza sanitaria, spazi verdi per camminare e fare jogging, ecc. La sinistra, sia parlamentare che extraparlamentare, si batte costantemente e intensamente affinché questo sistema diventi meno precario ed escludente, e affinché tutti abbiano accesso all'istruzione e a contratti di lavoro dignitosi. Da un certo punto di vista, ciò è comprensibile, poiché tutti cercano un minimo di sicurezza materiale per poter vivere. Ma d'altra parte è assurdo, perché questa cosiddetta sicurezza materiale non è più pensata in alcun altro modo se non nella forma in cui viene offerta dalla società industriale statalista; vale a dire, senza tener conto del fatto che questa società nasconde e falsifica gli effetti catastrofici che essa produce sulla libertà umana e sulla natura. È per questo motivo, che la consapevolezza critica dei mali della società odierna oggi non può che essere un fenomeno del tutto astratto: deve necessariamente partire da una messa in discussione della totalità di ciò che ci circonda, compito estremamente difficile. Bisogna ammettere che oggi solo dei gruppi molto piccoli osano intraprendere azioni che mettono in discussione la totalità del sistema. I collettivi impegnati nella lotta contro le grandi infrastrutture (treni ad alta velocità, aeroporti, linee ad alta tensione, ecc.), i gruppi che cercano di mettere in pratica l'autogestione contadina o che cercano di vivere in comunità autonome, quelli che si impegnano in reti di mutuo soccorso, scambi di servizi o di conoscenze... dove tutte queste esperienze possono servire come punti di appoggio per un futuro movimento che, man mano che si rafforza, sarà poi in grado di costituire una vera e propria opposizione. Cercando di recuperare il tempo perduto... Perché resta il fatto che se dei libri come "Autopsia della rivoluzione" fossero stati presi in considerazione quarant'anni fa, i movimenti radicali di allora avrebbero evitato molti falsi dibattiti, e avrebbero guadagnato tempo prezioso nella lotta contro il sistema che stiamo affrontando.

- José Ardillo - da "La liberté dans un monde fragile", L’Échappée, 2018 -

NOTE:

(*1) -  Un'antologia dei loro testi: Bernard Charbonneau et Jacques Ellul, "Nous sommes des révolutionnaires malgré nous. Textes pionniers de l’écologie politique", Paris, Seuil, coll. « Anthropocène », 2014.

(*2) -  Jean-Claude Michéa, La Double Pensée. Retour sur la question libérale, Paris, Flammarion, 2008.

(*3) - Tuttavia, il trattamento che i situazionisti riservarono a Murray Bookchin, dimostra che difficilmente potevano aprirsi a qualcosa che non coincidesse con le loro posizioni estremiste (a tal proposito si legga: Miguel Amorós, "Les Situationnistes et l’anarchie", trad. Henri Mora, Villasavary, La Roue, 2012).

(*4) - Infatti, al di là degli aspetti formali, era difficile per i situazionisti riconoscere la serietà delle questioni poste da Ellul e Charbonneau fin dagli anni Trenta (sulla natura, la tecnica, le illusioni politiche, il progressismo, ecc.) A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, la teoria situazionista era entrata in una fase di agitazione politica assai più intensa, e le sue idee assomigliavano a un misto di Marx visto da Lukacs, di consiliarismo e di blanquismo insurrezionale, il tutto condito da un pizzico di ribellione surrealista. Nel 1968, il situazionismo aveva più a che fare con Marcuse - al di là di tutto ciò che poteva separarli - che con Ellul e Charbonneau. E il paradosso è che è proprio a causa della sua vicinanza alle idee di Marcuse, che un testo come "Post Scarcity Anarchism" di Bookchin rimanga più vicino al situazionismo di quanto lo siano i libri che Ellul e Charbonneau pubblicavano all'epoca. Opere come "Le Jardin de Babylone" o "Le Système et le chaos" di Charbonneau, o anche il libro di Ellul qui discusso, sono estranee all'ondata di entusiasmo rivoluzionario progressista che agitava, in modi diversi, ma con innegabili analogie, le menti di Debord, Vaneigem, Marcuse o Bookchin.

(*5) -  Ripubblicato nel 2008 dalle edizioni de la Table ronde.

(*6) -  Ripubblicato nel 2011 dalle edizioni de la Table ronde.

(*7) - Il primo è stato ripubblicato nel 1990 da Economica, e il secondo nel 2004 dalle edizioni de la Table ronde.


FONTE: Les Amis de Bartleby

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