Oriente e Occidente. «Questo incontro», scrive Ernst Jünger in apertura del suo Nodo di Gordio, non soltanto occupa una posizione di primo piano fra gli avvenimenti mondiali, ma «rivendica di per sé un’importanza capitale. Fornisce il filo conduttore della Storia». Un incontro, tuttavia, che nella storia si è spesso trasformato in scontro: «Con tensione sempre rinnovata i popoli salgono sull’antico palcoscenico e recitano l’antico copione. Il nostro sguardo si fissa soprattutto sul fulgore delle armi che domina la scena ». Sono pagine apparse per la prima volta nel 1953, ma sembrano scritte oggi – mentre divampa più che mai la lotta planetaria tra l’Occidente globale liberaldemocratico e l’Oriente dello Stato totale. Ma per Jünger il nodo Oriente-Occidente è una polarità elementare, archetipica, simbolica, che contrassegna in modo costante l’umanità intera nella sua sostanza, e ogni singolo uomo nella sua anima. È l’opposizione tra mythos ed ethos, potere tellurico e luce, dispotismo e libertà, arbitrio e diritto. Una visione che non poteva trovare perfettamente concorde l’amico Carl Schmitt, che due anni dopo l’uscita del Nodo di Gordio replica con uno scritto in cui a quell’archetipica polarità sostituisce la contrapposizione fra terra e mare: da una parte il mondo continentale dell’Oriente (Russia e Asia, ovvero il nomos), dall’altra il mondo marittimo dell’Occidente (Inghilterra e America, ovvero la techne). Nel mezzo, l’Europa. E i due ritroveranno un’intesa nel prefigurarla quale «centro di gravità», capace di favorire, come Terza Forza, «l’unità del pianeta».
(dal risvolto di copertina di: Ernst Jünger, Carl Schmitt - "Il nodo di Gordio" - Adelphi, €14)
Occidente e Oriente, il nodo da tagliare
- Il dialogo tra Junger e Schmitt pone il problema dell'eterno dualismo tra mondo libera democratico e Stato totale -
di Massimo Cacciari
Il nodo di Gordio - un nodo che soltanto con un colpo di spada può essere sciolto? E dunque non scioglibile, ma "decidibile" soltanto. Oppure un legame tra due elementi dello stesso meccanismo (un carro, in questo caso) che impedisce a questo di funzionare correttamente? Dunque, una correggia che non farebbe propriamente parte dell'impero. Sciolta o tagliata la quale, ecco ricomposta la ben rotonda Sfera, il Globo. Quella Armonia tra Occidente e Oriente cui sembra anelare Alessandro. O invece la spada del Capo (o la sua abilità «tecnica» nel vedere la natura dell'impedimento e nel rimuoverlo) tronca una originaria Armonia e impone una "differenza" che prima proprio quella curreggia poteva celare? Junger e Schmitt non si soffermano sul problema, che è quello dell'ex "Oriente Lux", che è quello della Madre Terra d'Oriente (ancora così vivo nei Persiani di Eschilo). Entrambi vedono nel gesto di Alessandro l'affermarsi di una "polarità" irriducibile. Il nodo, dunque, è destinato a riannodarsi continuamente e noi destinati ogni volta a riaffrontarlo. È un nodo che soffoca? E allora sarà inevitabile cercare di reciderlo, magari pur anche consapevoli della vanità dei nostri sforzi. È un nodo che impedisce un'idea o un sogno di Pace mondiale? Se concepiamo la Pace come annullamento del conflitto e della contraddizione, non potremo considerare quel nodo altro che un ostacolo da rimuovere. O invece nel nodo che si rinnova riannodandosi riusciamo a vedere il simbolo di un possibile colloquio, di una inseparabilità tra distinti, i cui caratteri mutano di epoca in epoca, ma che affonda la propria radice in quella stessa polarità che tiene unito il nostro globo? Il nome di Gordio diviene allora il simbolo della "complessità" della relazione che abbraccia "nel loro stesso contraddirsi" Occidente e Oriente. Ciò che è per sua natura complesso non è astrattamente riducibile all'Uno, richiede di essere riconosciuto in quanto tale. Il nodo deve essere affrontato e la contraddizione sopportata, nel senso latino del "tollere", che significa portare in alto, manifestare nella sua chiarezza, innalzare.
Arduo compito - poiché la contraddizione non è una parvenza, è reale. Il distacco da ogni Auctoritas di cui il nostro pensiero non sappia rendere ragione, questa "libertà" che produce volontà di sapere, scienza e tecnica, ciò decide per Junger l'Occidente dalla grandezza dell'Oriente. Si tratta tuttavia di un distacco che muta forma e sempre revocabile in dubbio. Nei momenti di crisi lo spirito critico che fonda la stessa potenza dell'Occidente vacilla, tende ad atrofizzarsi. La stessa Tecnica può diventare un idolo al cui potere si finisce per credere superstiziosamente. D'altra parte, l'Occidente ha fornito all'Oriente proprio quelle conoscenze sulle quali aveva fondato la propria supremazia tecnico-economica e militare. Progresso tecnico-economico e libertà non presentano dunque alcun rapporto essenziale? E anzi le armi del primo possono oggi rivolgersi contro la seconda? È forse inevitabile che questo avvenga quando libertà venga intesa soltanto come libertà per "progredire", quando si ritenga che il solo fine sia quello del progresso della Tecnica. Tale è la destinazione che la storia del mondo sembra assumere nei discorsi di Junger e di Schmitt. L'Occidente ha messo sotto pressione il globo, l'ha trasformato nella figura del Lavoratore, del Lavoro produttivo sottoposto all'obbligo di indefinitamente progredire. In questo senso il nodo di Gordio potrebbe perciò sembrare risolto. La differenza, che saremmo chiamati a «sopportare», appartiene al passato? "Era" reale e non lo è più? Il nodo che si riannoda non contiene dimensioni essenzialmente distinte, ma concorrenti in quanto obbedienti a un solo Principio, a una "archè" sola? Se tale è il carattere dell'età che viviamo, è più facile che esso predisponga alla «guerra civile» globale piuttosto che all'universale Repubblica. La «concorrenza» non può essere letta se non anche come lotta tra volontà di potenza imperiali. La lotta tra chi vuole essere il rappresentante dell'unico Principe è per necessità lotta politica - è può diventare la più tremenda: quella tra Titani. Junger si aggrappa nel suo saggio a una contraddizione ideologica, che egli rappresenta con molta enfasi e tuttavia oggi, dopo la scomparsa dell'URSS, forse tramontata nella sua efficacia anche propagandistica. Schmitt è attento invece alla specificità delle situazioni storiche, delle "sfide storiche" che a Occidente e Oriente concretamente si presentano. Ma anche la polarità che egli presenta tra Terra e Mare risulta del tutto relativa. È vero che il legame tra idea di libertà e Mare permea l'intera storia dell'Occidente - e da ben prima dell'affermazione della potenza inglese e poi della grande isola americana. Già casa per gli ateniesi era la loro nave. E Roma possedeva il "suo" Mare ben più saldamente delle terre interne dei continenti che la circondano. Né il Mare contrasta in sé con la Terra. Il Mare costituisce - come Schmitt d'altra parte ricorda - il "ponte-pòntos", il cammino privilegiato, che congiunge, per quanto rischioso esso sia, terre diverse. Anzi, il Mare non può essere concepito «disabitato» da terre; come nelle antiche carte viene disegnato, esso è tutt'uno con i suoi "porti" e le sue isole.
Certo, la grande Terra d'Asia ha immagine opposta. Ma l'ha ancora? Ogni potenza ha dovuto trasformarsi anche in potenza marittima, sotto la pressione dell'Occidente. Anzi, in potenza "spaziale". Ormai Terra e Mare sono manifestazioni dello Spazio aperto, dimensioni distinte "avvolte" in esso. Ogni potenza sarebbe drasticamente "limitata" se non si rivolgesse all'illimite, al "a-peiron". Nessuna potrebbe aspirare non solo all'egemonia, ma neppure a conservare una vera autonomia, se non fosse in grado di concorrere con le altre per il dominio dello Spazio. La concreta situazione storica mostra ormai come la contraddizione tra Occidente e Oriente non possa più essere rappresentata secondo quella tra Mare e Terra. Questa rappresentazione poteva valere ancora tra i Titani usciti vincitori dalle Grandi Guerre mondiali. Oggi i confini vanno tutti ridefiniti in base alla disfatta dell'uno e alla crisi del secondo. Quella disfatta avrebbe potuto segnare la rinascita di una potenza europea suicida della prima metà del '900. Junger e Schmitt accennano soltanto a questa prospettiva, secondo una corrente politico-filosofica ben diffusa nella cultura tedesca all'inizio del secolo (la citazione conclusiva di Dostoevskij nel saggio di Junger ne è eloquente testimonianza): l'Europa deve volgersi a Oriente, includere in sé la Grande Terra Russa - ma cosciente che mai, in nessun modo, ciò potrà avvenire "manu militari". Questa possibilità appare oggi naufragata. Da una parte e dall'altra nessuno ha seriamente cercato di renderla un reale progetto politico. Rimane l'altro Titano, ma nell'evidente impotenza di reggere da solo il mondo. Il primato della Tecnica sul Politico, l'universalismo del mercato reggono il mondo. E non possono evitare che si rigenerino guerre. Lungi dall'arrestarle, anzi, ne creano sempre nuove condizioni. La geo-filosofia di cui parlano, con diversi accenti, Junger e Schmitt, appartiene al mondo di ieri. Né libertà-dominio, né Terra-Mare sono i poli oggi della contraddizione. La Cina non esisteva nell'orizzonte dei nostri autori. E la stessa catastrofe dell'URSS avrebbe avuto un significato del tutto diverso se non si fosse accompagnata alla prepotente affermazione dell'impero cinese. Lo sfondamento della porta all'Asia costituita dall'Oriente europeo (iniziatosi con l'annessione alla Nato di quei paesi e concluso con l'invasione russa dell'Ucraina - iniziativa l'una e l'altra non so quanto assunte nella coscienza delle loro conseguenze) mette l'Occidente, la sua sola grande potenza, gli Stati Uniti, faccia a faccia con l'Oriente, senza più possibili mediazioni né zone cuscinetto. La nuova sfida potrà svolgersi sul piano della concorrenza tecnica, economica, commerciale in ogni angolo del globo senza giungere alla "decisione" ultima? Il nodo sarà sciolto e riannodato ancora, o reciso come soltanto le Grandi Guerre hanno mostrato finora di poter fare? Forse questo soltanto possiamo dire: una Repubblica mondiale, e cioè l'egemonia di "Uno" solo, è certamente possibile, ma questo Uno sarà l'Impero capace di serrare nella sua élite dirigente, con vincoli capaci di resistere anche alla spada di Alessandro, volontà politica, saldezza organizzativa, competenza tecnica. Un Impero in cui rapidità del processo decisionale e strategicità a lungo periodo delle decisioni assunte vanno di pari passo. Tutte «doti» che di per sé nulla hanno a che fare con l'idea di libertà né con quel Mare "nostro" che di tale idea era stato per secoli l'immagine vittoriosa.
- Massimo Cacciari - Pubblicato su Tutto Libri del 7/1/2023 -
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