martedì 25 aprile 2023

«La Mitragliatrice QWERTY»

Il demone di Maxwell è un mistero, la cui soluzione è accessibile solo rompendo le pareti della logica, ma è anche un visionario romanzo-mondo che racconta il potere della scrittura di costruire ponti tra le persone. Il protagonista di questa storia, Thomas Quinn, è uno scrittore fallito, figlio di un affermato romanziere con il quale ha avuto per tutta la vita un rapporto di rancore e distanza. I suoi libri non hanno mai trovato fortuna e a lui è rimasta solo l’invidia per Andrew Black, il protetto del padre, che anni prima aveva esordito con un’opera sconvolgente divenuta subito un best seller, per poi scomparire misteriosamente nel nulla. Ora, a distanza di tempo, il defunto padre e il suo ex pupillo sembrano essere tornati a infestare la vita di Thomas attraverso inquietanti lettere e messaggi in segreteria. Una serie di avvenimenti apparentemente inspiegabili, che costringeranno Thomas a mettersi sulle tracce di Black e del suo leggendario secondo romanzo, recuperando il quale spera di riscattare i propri fallimenti. Sarà l’inizio di una indagine surreale tra piani temporali che si intersecano ed enigmi che ne contengono altri: un inseguimento all’interno di un labirinto in cui tutto sembra sfuggire al senso.

(dal risvolto di copertina di: STEVEN HALL. "Il demone di Maxwell". Traduzione di Luca Fusari. IL SAGGIATORE Pagine 340, €23)

Cos’è più demoniaca: la prosa o la fisica?
- L’intreccio di Steven Hall mette insieme le frustrazioni di uno scrittore fallito, l’ombra di un padre autore di bestseller, ulteriori inquietudini, la teoria estrema del matematico James Clerk Maxwell, uno stile dall’esattezza scientifica. Funziona. -
di ORAZIO LABBATE

"Il demone di Maxwell" di Steven Hall è una sorta di thriller metafisico scritto con una lingua svelta e fulminante che alimenta, una specie di spaesamento spirituale. Sembra scritto da Donnie Darko, il protagonista del film cult di Richard Kelly. È come se il ragazzino della pellicola avesse finalmente deciso di pubblicare le teorie sui viaggi del tempo ricavate dal saggio di finzione "La filosofia dei viaggi nel tempo" di Roberta Sparrow. Tutto ciò solo dopo aver preventivamente studiato altri notevoli volumi, stavolta reali, come "La quarta dimensione" di Rudy Rucker e "Flatlandia" di Edwin Abbott Abbott.

Il personaggio principale del romanzo di Hall è Thomas Quinn, scrittore fallito di 33 anni. Il suo esordio, La mitragliatrice qwerty, è l’unico, tra le poche pubblicazioni, ad aver avuto un irrisorio successo. Così, ormai arreso, si guadagna da vivere scrivendo sceneggiature e racconti. Ha perso da giovanissimo i genitori ed è figlio di un grande autore, Stanley Quinn, «un fantasma analogico dentro un cavo analogico», scomparso da sette anni. L’unica rimembranza sensibile sui genitori è un volume, L’enciclopedia Broten delle piante e degli alberi britannici, che ancora accoglie, tra le pagine, petali di rosa. Sono ormai i fantasmi rinsecchiti di un fiore che Thomas ha dal giorno della morte della madre. Il libro, però, che alimenta in Thomas l’invidia e i segreti sulla figura del padre, è Il motore di Cupido, il primo romanzo di Andrew Black, best seller di mille pagine. Un marchingegno narrativo strepitoso e perfetto. Black era stato l’assistente del padre di Thomas ed è uno scrittore enigmatico su cui si raccontano le più assurde e misteriose teorie. È stato infinitamente adorato da Stanley, ricambiato, fino al suggellarsi, tra di due titani della scrittura, un’autentica stima. Senonché, d’un tratto, sulla segreteria del giovane Quinn — mentre si rifugia a casa, a Londra, per rileggere l’esordio di Black e la moglie Imogen è fuori per lavoro — viene lasciato un messaggio dal padre. Che, dunque, sembra essere ancora vivo. A tutta prima la logica suggerisce a Thomas l’ipotesi dell’accavallamento tra le linee e i cavi analogici.

Le cosiddette pseudo-telefonate in cui si sentono parlare sconosciuti durante una comune conversazione giornaliera con un parente. Si aggiunge però, a quest’assurdità quasi paranormale, una busta proprio di Andrew Black, di recente arrivata all’indirizzo di Thomas. Contiene una Polaroid e un bigliettino. La foto è quella di una non catalogabile sfera e il bigliettino stimola il figlio di Stanley a un indovinello, come se l’immagine fosse un’esca. Un tranello della stessa natura del romanzo di Black, che non si può abbandonare dopo averlo letto. Allo stesso modo, Thomas non riesce a dimenticare la persona tenebrosa che Black da sempre incarna, nonché una teoria la quale, forse, spiega la sfera. Si tratta della teoria formulata dal fisico e matematico scozzese James Clerk Maxwell, conosciuta come «Demone ordinatore di Maxwell». Indica la possibilità dell’inversione degli effetti dell’entropia; può cioè invertirsi, a tutti gli effetti, la direzione del tempo.

Sulla scorta di quest’intreccio tra i principi della fisica e la pura narratività, sul Demone di Maxwell si è espresso — e non è un caso — lo scrittore di Casa di foglie, Mark Z. Danielewski: ne evidenzia la forza attrattiva, l’insopprimibile collante, la capacità di ingabbiare la mente del lettore. E in effetti il romanzo di Hall, con frasi che funzionano come impeccabili equazioni matematiche in successione, riesce a mischiare i piani della finzione letteraria con gli studi sul tempo, facendo anche ricorso a grafici che accompagnano la trama. «La parola è l’atomo della mente», dice lo stesso Black, dunque le lettere di un romanzo, va da sé, possiedono un peso non sottovalutabile quando sono vicine, fino ad attrarre o respingere inevitabilmente il lettore, fino a incoronarlo attribuendogli un ruolo più nobile rispetto a quello di un semplice spettatore da divertire. La posizione, in conclusione, di un giocatore di scacchi, di un ermeneuta filosofico, di un professore di matematica narrativa. Per il piacere, ma soprattutto per il dolore della mente:

«In un romanzo pochissime cose sono esattamente come appaiono, e se ci pensate, in realtà non appare quasi niente. Chi legge Il signore degli Anelli non vede Frodo, non sente Gandalf parlare. Ne è convinto, ma è un trucco. In realtà non vede altro che file di simboli scuri su una superficie chiara, in realtà non sente nulla. In un romanzo si ha anche la sensazione dello scorrere del tempo. Questo è un altro trucco».

- di Orazio Labbate - Pubblicato su La Lettura del 2/1/2023 -

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