Tra i Feaci simili agli dei è arrivato quest’uomo...
Se solo potesse essere chiamato mio sposo,
se si fermasse qui ad abitare, se gli piacesse restare
in questo luogo.
Una principessa incontra un naufrago sulle spiagge di un regno lontano. L’uomo venuto dal mare è Odisseo, re di Itaca: ha conquistato città, guidato eserciti, sfidato mostri e tempeste, conosce parole che sanno convincere la mente degli uomini e sedurre il cuore delle donne. Nel VI canto dell’Odissea incontra Nausicaa, figura femminile diversa da tutte le altre: non una dea o una maga, come Calipso e Circe; non sposa e madre, come la paziente Penelope. Ma un’adolescente nel cui carattere si alternano innocenza e desiderio, ingenuità e malizia. Nausicaa abita la terra dei Feaci, un reame misterioso e felice, dove l’utopia confina con il sogno. Tra lei e Odisseo nasce un dialogo intessuto di ambiguità, da cui traspare la promessa di un futuro destinato a non realizzarsi. Così queste pagine, tra le più lievi e indecifrabili di tutto il poema, sono anche il racconto di un idillio mancato.
(dal risvolto di copertina di: Giorgio Ieranò, "Omero, Nausicaa e l'idillio mancato". Il Mulino)
L'ultima tentazione di Odisseo
- di Federico Condello -
Perché non ci scordiamo di Nausicaa? Perché la giovane principessa, figlia di re Alcinoo, che nella grande epopea di Odisseo è poco più che una comparsa, rimane un personaggio fra i più memorabili del poema? La vita di Nausicaa dura sì e no quattrocento versi sugli oltre dodicimila dell'Odissea. E la sua storia è mestamente semplice. Una ragazza che gioca a palla con le compagne, sulla riva del mare. Un naufrago che approda, duro e derelitto, impudico e pudicissimo. Una scena di supplica, consumata tra la confidenza crescente di lei e la galanteria sorniona di lui. La promessa dell'aiuto, in nome dei sacri diritti del mare: «Avrai quanto spetta a chi ha molto sofferto e domanda un rifugio». E poi un caritatevole passaggio fino alle soglie della città, dove Nausicaa si dilegua, perché teme i pettegolezzi. Odisseo entrerà senza di lei nella reggia di Alcinoo: lì sarà ospitato, e per ore narrerà, beneficio di presenti e posteri, le sue fantastiche avventure. Lì sarà riconosciuto per l'illustre eroe che è, e otterrà i mezzi per tornare dalla sua Penelope. E Nausicaa? Nausicaa, da tempo sparita, farà ancora capolino per un congedo a cui bastano die versi: «Addio, caro straniero, sii felice. E cos', quando un giorno sarai a casa, potrai ricordarti di me: perché a me per prima tu devi la vita».
Fine della storia: exit Nausicaa. Odisseo ripartirà. E di lei non sentiremo più parlare. Nemmeno quando l'eroe, che pure le ha promesso memoria eterna, confiderà le sue peripezie alla ritrovata Penelope. In quel racconto Calipso è menzionata, Circe anche, Nausicaa invece no. Ingrata dimenticanza? O sintomatica rimozione? Forse Nausicaa fu l'ultima tentazione di Odisseo? L'ultima e la più vera? In effetti, nel canonico folktale di cui l'episodio rimastica il modello, l'affascinante straniero e la timida principessa ovviamente si sposano. In Omero il motivo sembra evocato soltanto per deludere le attese. Di matrimonio parlano tutti, al matrimonio tutti pensano: Nausicaa lo sogna nella notte che precede l'incontro, Odisseo vi allude durante la sua studiata supplica. Alcinoo lo chiede esplicitamente allo straniero di cui ancora ignora il nome. Ma niente accade: il matrimonio non s'ha da fare. È come un coup de foudre che balena ma non deflagra.
Evidentemente esiste anche in letteratura ciò che in psicologia si chiama "effetto Zeigamik": ci ricordiamo specialmente dei compiti falliti e delle azioni lasciate a metà. Forse proprio per questo Nausicaa è indimenticabile: perché le cose non vanno come vorremmo, e come tutto parrebbe annunciarle. Ci si è chiesti molte volte se questo effetto sia il frutto di un'arte sopraffina, che indusse Omero - o chi per lui - a variare in maniera inattesa la storia stereotipata della principessa e dello straniero; o se sia piuttosto l'esito casuale di un copia-e-incolla tipico dei "rapsodi", dei "cucitori di canti" che riadattarono alla meno peggio le storie di un repertorio millenario. Poco importa: l'effetto è lo stesso. E palesemente funziona.
A questi e altri interrogativi è dedicato il bel libro di Giorgio Ieranò, "Omero, Nausicaa e l'idillio mancato", appena uscito per Il Mulino. La sua lettura attenta, distaccata e insieme partecipe, percorre passo passo la storia e le parole di Nausicaa, ne esplora i silenzi, ne indaga i sottintesi. Ieranò pone tutte le domande giuste e sa evitare le risposte scontate: l'enigma di Nausicaa è qui felicemente riproposto in tutta la sua irrisolta ambiguità. Di norma, riscritture e riletture dell'episodio producono infelici banalizzazioni. Già in alcune versioni antiche si riparò al mancato idillio immaginando un matrimonio fra Nausicaa e Telemaco. Nella modernità, Goethe progettò un dramma in cui la principessa, partito l'eroe, si suicidava come una Didone qualsiasi: il dramma, forse non per caso, non fu mai portato a termine. Pascoli, per contro, fece di Nausicaa l'emblema della donna-massaia, della «reginella di casa» remissiva e servizievole. Decisamente migliori, nella loro irriverenza, le letture erotiche o pornografiche dell'episodio: in età antica, i cosiddetti Carmi priapei - dotte e sboccatissime poesie dedicate a Priapo, il dio dal fallo eretto - ritraggono una Nausicaa estasiata di fronte a un Odisseo big dick, che a stento riesce a celare il suo portentoso membro. E Joyce ritrasse Leopold Bloom impegnato a contemplare le belle gambe della sua Nausicaa, desideroso voyeur perduto in inconcludenti fantasie sessuali. Un omerista insigne ha definito questo episodio dell'Ulysses «una bestemmia letteraria» contro Omero. A torto. Perché in Omero, almeno in germe, tutto questo c'è già:il prorompente erotismo e la frustante castità, l'annunciato happy ending e la potenziale tragedia. Ma in Omero niente si risolve, niente si conclude. Per questo, a differenza di Odisseo, non riusciamo a scordarci di Nausicaa.
- Federico Condello - Pubblicato su Robinson del 3/6/2023 -
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