La parola "feticcio" venne usata per la prima volta nel 1756 dallo scrittore francese Charles de Brosses. Il termine deriva dalla parola portoghese "fetisso", da cui deriva l'odierno "feitiço". Originariamente, il termine veniva usato per indicare i culti e i simboli religiosi dei popoli africani. Successivamente, questa parola è stata utilizzata e ridefinita da diversi pensatori. Il concetto di feticismo, troverà poi un posto centrale nella teoria critica di Karl Marx. Per Marx, feticismo non significa un semplice occultamento delle relazioni sociali dietro il rapporto tra le cose, quanto piuttosto il fatto che gli esseri umani vengono effettivamente soggiogati da delle forme sociali che essi stessi hanno creato senza volerlo e senza saperlo.
La teoria del feticismo si trova al centro della critica del mondo delle merci. Pertanto, non si tratta di una mera retorica filosofica, e non è priva di importanti implicazioni. Nella formulazione del concetto di feticismo, nel primo capitolo del Capitale (1867) - allorché Marx analizza la forma elementare della ricchezza nella società capitalistica – viene sottolineata la centralità del concetto. Il feticismo delle merci, si svilupperà, e si manifesterà in vari modi all'interno delle analisi teoriche di Marx. Si tratta di un concetto che indica chiaramente come il capitalismo sia inestricabilmente legato al mondo della religione. E questo non solo nel senso che la religione serve come strumento di dominio sociale, ma in un senso assai più fondamentale secondo il quale il capitalismo è un nuovo tipo di sistema religioso. Una religione che, tuttavia, non appare come tale agli occhi dei soggetti moderni, ma viene vista da loro, al contrario, come se fosse invece la sua più radicale negazione. Dal momento che, tuttavia, nel capitalismo gli esseri umani non si inchinano a un'entità metafisica situata in un al di là, ma a incarnare le cose sono delle vere e proprie astrazioni sociali, che a loro volta si incarnano nelle relazioni sociali e nel "metabolismo con la natura" (Marx). Quella che si impone, è una religione totalitaria, e questo indipendentemente dal fatto che le persone credano o meno nel potere di tutte queste astrazioni, dato che, finché il loro rapporti sociali rimarranno invariati, continueranno a esercitare la loro violenza.
Nelle sue "Lezioni Sulla Essenza Della Religione" (1851), Feuerbach osserva che: «Ogni oggetto, non solo può essere ma viene effettivamente venerato dall'uomo allo stesso modo di Dio, ovvero, in altre parole, in maniera religiosa. Tale stadio, in cui l'uomo trasforma tutti i possibili oggetti e cose, artificiali o naturali, prodotti della natura o dell'uomo, nei suoi dei senza alcuna critica o distinzione si chiama feticismo. In questo modo, ad esempio, i neri della Sierra Leone scelgono come loro divinità delle corna, delle chele di granchio, chiodi, ghiaia, case di lumache, teste di uccelli e radici, tutte cose che portano al collo dentro un sacchetto ornato di perline e di altri ornamenti. [...] Ma per quale motivo, l'uomo trasforma lumache, chele di granchio, bandiere e bandierine in delle divinità? Per fantasia, o immaginazione, che è tanto più forte quanto maggiore è l'ignoranza dell'uomo. I selvaggi non sanno cosa sia un orologio, una bandiera o uno strumento matematico, ragion per cui immaginano che tutte queste potrebbero essere qualcosa di diverso da ciò che realmente sono, facendole pertanto diventare delle entità fantastiche, un feticcio, un dio. Perciò, la causa, o la fonte teorica della religione e del suo oggetto, Dio, risiede nella fantasia, nell'immaginazione» [*1].
Per Marx, è la modernità a creare un rapporto feticistico di tipo nuovo. E se i moderni deridono i culti dei popoli arcaici, ciò è perché sono essi stessi a non rendersi conto della natura primitiva del proprio modo di vivere, di pensare e di produrre. E qui il problema non può essere risolto con una riforma del pensiero, ma c'è bisogno di una trasformazione radicale ed efficace di quelli che sono i loro rapporti sociali. Marx, nel Capitale, osserva: «L’arcano della forma di merce consiste, dunque, semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, e li fa apparire come caratteri oggettivi degli stessi prodotti del lavoro, come qualità naturali anziché proprietà sociali di quelle cose, e quindi restituisce a loro anche l’immagine del rapporto sociale fra i produttori da un lato e il lavoro complessivo dall’altro, per farli apparire come un rapporto sociale fra oggetti, un rapporto esistente al di fuori degli stessi produttori [...] la forma di merce, e così il rapporto di valore fra i prodotti del lavoro nel quale essa si manifesta, non ha assolutamente qualcosa a che fare con la sua natura fisica e con le relazioni fra cosa e cosa che ne derivano. Quello che per gli uomini qui assume la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose, è soltanto il rapporto sociale determinato che esiste fra gli uomini stessi. In effetti, per trovare una analogia a questo fenomeno, dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Qui, i prodotti del cervello umano si manifestano [–e non appaiono– al fedele] come figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto l’una con l’altra e tutte insieme in rapporto con gli uomini. In tal modo, nel mondo delle merci, si comportano anche i prodotti della mano umana. Questo io lo chiamo il feticismo che si appiccica ai prodotti del lavoro appena prendono la forma di merce, e che perciò è inseparabile dalla produzione delle merci [...] Il riflesso religioso del mondo reale può scomparire, in generale, soltanto quando i rapporti della vita pratica quotidiana rappresentino agli uomini giorno per giorno relazioni {perfettamente intelligibili}& e chiaramente razionali con il proprio simile e fra di loro e la natura. {I rapporti sociali possono però rappresentarsi soltanto per quello che sono}#. La figura del modo di vita sociale, cioè il processo materiale di produzione, si toglie il suo mistico velo di nebbia soltanto quando, come prodotto di uomini liberamente uniti in società, sia sottoposto al loro controllo cosciente e condotto secondo un piano. Tuttavia, affinché ciò avvenga si richiede un fondamento materiale della società, ossia una serie di condizioni materiali di esistenza, che, a loro volta, sono il prodotto naturale e spontaneo, cioè organico, di uno sviluppo lungo e tormentoso della storia» [*2].
Forse sono davvero queste le condizioni necessarie affinché gli esseri umani possano liberarsi da quel "velo mistico e nebuloso" che struttura il mondo della merce. Tuttavia, questa potrebbe non essere una condizione sufficiente. Se la religione è l'organizzazione della violenza attraverso la violenza [*3], ecco che allora il "controllo cosciente e pianificato" del "processo di produzione materiale" avrebbe potuto essere solo un momento di rottura nella storia delle strutture del feticcio e del sacrificio. Però, il fatto che a essere in grado di forgiare nuovi dei o idoli sia sempre e solo la violenza, è un aspetto che non può essere trascurato dalla critica del capitalismo. La storia del XX secolo pone dei problemi cruciali per una teoria rivoluzionaria della società.
NOTE:
[*1] - FEUERBACH, Ludwig. "Trenta Lezioni Sulla Essenza Della Religione".Milano, 1872.
[*2] - MARX, Karl. "Il Capitale, libro I". Napoli, edizione digitale.
[*3] - GIRARD, René. "La violenza e il sacro". Adelphi.
fonte: kolapsoglobal.blogspot.com
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