«Si scrive della propria vita quando si pensa di stare scrivendo intorno alle proprie letture» (R.P.)
L'ultimo lettore di Piglia
La prima volta che sono entrato in una libreria con l'intenzione di comprare un libro, mi sono trovato subito di fronte a un dilemma: il mio stipendio da impiegato mi ha posto davanti la scelta tra due libricini rossi appesi a uno scaffale di edizioni Martin Claret (una casa editrice di San Paolo famosa per i prezzi bassi e per le traduzioni plagiate): La metamorfosi di Kafka e Che Guevara, vita e pensieri. Decisi, non senza sensi di colpa, per la Metamorfosi, e da allora non ho più cercato il libro del Che. Tuttavia, però non è raro che io mi chieda se abbia fatto la scelta giusta.
Nei giorni scorsi, è successo qualcosa che mi ha messo di nuovo di fronte a quello stesso dilemma; e ciò dopo aver partecipato a un laboratorio di lettura (chiamato Don Chisciotte per scrittori), con Sergio Molina, al Centro Maria Antonia dell'USP: si trattava di una serie di quattro incontri la cui finalità è quella di esplorare le interpretazioni cervantine degli ultimi quattro secoli (!). Tra gli infiniti suggerimenti e provocazioni di Sergio, ho finito per imbattermi in un libro del suo conterraneo Ricardo Piglia, dal titolo "L'ultimo lettore". Ad attrarre la mia attenzione, è stato il titolo, in quanto ero rimasto molto colpito dalla prefazione del Don Chisciotte, circa le provocazioni di Cervantes rispetto alle regole della scrittura, la necessità delle citazioni bibliografiche e, soprattutto, l'autorità dello scrittore circa la versione della realtà che si propone di presentare.
Per i lettori brasiliani, il combattimento tra scrittore e lettore non è esattamente una novità, visto che è da tempo che essi sono in lotta con i loro scrittori; almeno da quando Machado de Assis decise di colorare le sue storie con la penna della battuta e con l'inchiostro della malinconia. Personalmente - e forse proprio a causa di quell'antico giorno in libreria - è stato in Kafka che ho finito per trovare un nuovo episodio di questa storia della battaglia tra lettura e scrittura. In "Indagini di un cane", ho incontrato un cane con attitudini scientifiche che racconta un'indagine che non è mai riuscito a portare a termine; nonostante i suoi continui e determinati sforzi, e il tutto scritto all'insegna della migliore ironia canina. L'indagine sfortunata offre al lettore l'opportunità di restare impressionato e sorpreso a causa dell'ignoranza del narratore. La scoperta, per il lettore, consiste ripercorrere il viaggio del cane. Stavo pensando a queste cose, e ad altre ancora meno importanti, nel mentre che ero alle prese con il libro di Piglia. E questo fino al momento in cui mi sono reso conto che ero di nuovo caduto nella trappola: ancora una volta intrappolato davanti a quel vecchio dilemma. Stavolta i termini erano stati estesi, e spostati. Non era quello il modo in cui ponevo io la questione, eppure sentivo un'inquietante affinità con quella tematica.
Nel libro si possono leggere dei saggi sorprendenti su Kafka e Guevara. Piglia, incuriosito dall'inattività di Napoleone durante la battaglia di Borodin, ripesca una frase dai diari di Kafka: «Restò tutto il giorno in un avvallamento camminando da una parte all’altra e soltanto per due volte salì su una collina.» (Kafka, Diari). «Potremmo immaginare un racconto di Kafka sull’esperienza delle masse militari in fuga per le pianure gelate.», conclude Piglia. Insomma, in definitiva, non abbiamo problemi a immaginare Kafka come uno scrittore in guerra, trincerato in corridoi e cunicoli sotterranei. In seguito, subito dopo Piglia ci presenta poi un Che Guevara insolito: appassionato lettore, appeso a un albero in mezzo alla guerriglia boliviana: «Il fatto che mi rifugiassi a leggere, evitando in tal modo i problemi quotidiani, tendeva ad allontanarmi dagli uomini, senza contare che ci sono aspetti del mio carattere che non facilitano la confidenza». Ed ecco che qui il Che, uomo d'azione per eccellenza, trae dalla finzione quello che è il senso della sua esperienza: «Una volta ancora sento sotto i miei talloni le costole di Ronzinante: mi rimetto in cammino col mio scudo al braccio». Ma quando è al culmine della sua esperienza vissuta, ecco che si ritrae, e si rifugia tra le cime degli alberi; ciò perché l'esperienza vissuta gli sembra d'un tratto sminuita, anche nel bel mezzo di un' azione totalizzante: «La lettura persiste come un residuo del passato, nel bel mezzo dell’esperienza dell’azione pura, di spossessamento e violenza, nella guerriglia, sulle montagne.»
Questo dislocamento, assai insolito per il mio punto di vista, mi aveva colpito abbastanza, già solo per il fatto di vedermi davanti un Kafka in armi e un Che Guevara tra le nuvole della narrativa. Ma purtroppo la mia lettura è stata bruscamente interrotta: Ricardo Piglia era morto. Avevo appena finito di leggere il suo libro, e la sua morte ha interrotto sia il paragrafo che il lettore. L'ho sentita come la perdita di un amico che non avevo avuto il tempo di conoscere. Ma per mia fortuna, essa ha lasciato dietro di sé la storia di un'amicizia possibile.
fonte: O Topógrafo de Kafka - Ensaios e outras pílulas por Jakob Busch
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