Traccia luminosa di molte situazioni quotidiane, il grigio è il simbolo di una sana indifferenza che esorta a deporre le armi della lotta continua, a scegliere una «medietà attiva, al servizio di un evento più grande». Seguendo il filo di questo «non colore» dalla Genesi alla fotografia, dai fenomeni atmosferici alle avanguardie di Piero Manzoni e Marcel Duchamp, Peter Sloterdijk, autore di opere controverse e divisive, ripercorre la storia dell’umanità alla luce dei significati allegorici di questa tinta fluida e ambigua. Si afferma così una nuova teoria estetica e filosofica del compromesso fra chiaro e scuro, che abbraccia letteratura, arte, religione e politica, dal mito platonico della caverna, dove i prigionieri non vedono altro che le ombre grigie delle cose, a Hegel, secondo il quale la filosofia dipinge il suo grigio su grigio. Da Heidegger, convinto che sia la tonalità emotiva quotidiana del nostro essere-nel-mondo, a Nietzsche, che celebra il grigio argenteo come la chiave del passaggio tra umano e oltreumano, tra idilliaco e terrificante. Dal Purgatorio dantesco ai corridoi kafkiani, da Cézanne, per il quale non è un pittore chi non ha dipinto il grigio, a Andy Warhol, il pioniere dell’indifferenziazione. Dal tramonto del rosso del Terrore giacobino, della Rivoluzione d’ottobre, del nazifascismo e delle dittature del proletariato alle «eminenze grigie» della Ddr e al grigiore dell’era di Angela Merkel.
«Una volta risvegliata dalla latenza, la parola “grigio” perseguita il pensiero del sé e del mondo fino alle cose ultime e meglio nascoste. Non c’è essere umano che non sia immerso nel crepuscolo della propria situazione, circondato dagli altri, i pochi vicini e gli innumerevoli lontani, ciascuno nel proprio campo crepuscolare.»
(dal risvolto di copertina di: Peter Sloterdijk, "Grigio. Il colore della contemporaneità" (traduzione di Matteo Caparrini). Marsilio, pp.304, €20)
Grigio è il colore del nostro tempo, un chiaro scuro tra mistero e banalità
- Peter Sloterdijk traccia una storia della tinta opaca per eccellenza, dalla Bibbia a Platone, da Hegel a oggi -
di Federico Vercellone
La teoria del colori ha una storia filosofica che ha un punto di svolta fondamentale con la disputa di Goethe con Newton nella quale ne andava della qualità atmosferica, fenomenica della luce e del colore per il primo, mentre, per l'altro, di ciò che veniva analiticamente restituito dalle rifrazioni del prisma. Oggi la considerazione filosofica del colore ha una declinazione ben differente a testimoniare che anch'esso vive un'intensa e mutevole storia culturale. Lo testimonia "Grigio. Il colore della contemporaneità", uscito ora da Marsilio, il libro che Peter Sloterdijk dedica al colore opaco per eccellenza, quello apparentemente più anodino e triste. Quella di Sloterdijk è una vera e propria maratona nel grigio che attraversa la filosofia da Platone a Hegel e a Martin Heidegger, per venire alla tradizione religiosa, a partire dalla Bibbia e dal libro della Genesi e abbracciare uno spettro di pensatori e artisti molto variegato, da Nietzsche, a Cézanne, per lambire la grande letteratura moderna e contemporanea, da Kafka a Thomas Mann a Cormac McCarthy senza dimenticare naturalmente la figura monumentale di Goethe. Il panorama offerto da Sloterdijk è dunque davvero insigne e maestoso, mentre il suo procedere ha un passo analogico, rinvia a un'intelligenza laterale che non è solo quella del soggetto ma anche quella delle cose. Il grigio è un colore misterioso e opaco che le anime più geniali sono tuttavia capaci di ravvisare fino a farne il cuore pulsante della vita. Non è solo un colore ma anche una nuance interiore, una tonalità emotiva neutra e anodina che inclina al malinconico in sintonia con il nostro tempo. È questo il presupposto dal quale Sloterdijk muove, riprendendo, a suo modo, l'insegnamento di Martin Heidegger, per il quale siamo sempre e fin dall'inizio consegnati a una situazione emotiva. Programmaticamente Sloterdijk scrive: «Ogni esistenza capace di vedere è immersa nelle coloriture del mondo». Tutta la nostra esperienza dunque è, a suo modo, «immersiva». Il grigio - ci ricorda Sloterdijk - è il colore della medietà, della monotonia, di ciò che è così consueto da risultare greve. Non spicca certo come la balena bianca del Moby Dick di Melville o come la bandiera rossa sulle macerie del Reichstag.
Sloterdijk richiama in questo contesto un autore tedesco molto eccentrico, quasi sommerso dallo stream principale della filosofia del Novecento. Si tratta di Hermann Schmitz, il teorico di una teoria delle atmosfere, oggi originalmente proseguita in Italia da Tonino Griffero. Viviamo immersi in una tonalità emotiva nella quale i soggetti tendono a prendere le distanza anche da sé stessi, quasi avvolti dal timore di essere travolti da passioni o movimenti troppo violenti. Il grigio - rivela Sloterdijk - è sinonimo di indifferenza, di sfocatura dei campi, è un sentimento flou che supera la distinzione tra interno ed esterno. Ma non è solo questo. È spesso anche una tonalità rilevatrice: non a caso uno dei più grandi maestri tedeschi della pittura del nostro tempo, Gerhard Richter, lo ha adottato nei propri quadri connettendolo al riemergere del rimosso, come esemplarmente avviene nelle tele dedicate alla vicenda della banda terroristica Baader-Meinhof. Chi aveva ragione in questo terribile conflitto? I figli che avevano espresso, sia pure criminalmente, il loro disgusto nei confronti della generazione dei padri che aveva taciuto sui crimini di guerra, o lo Stato che aveva represso, forse anch'esso criminalmente, questa protesta? La verità si trova in una zona grigia che non appartiene a nessuno ed è per questo tanto più tragica.
Il grigio svolge un ruolo fondamentale anche nell'ambito della teoria della conoscenza. Si pensi, tornando alle origini, alla teoria della caverna di Platone, in cui il mondo luminoso delle idee è reso accessibile dalle ombre chiaroscurali della caverna.E come non citare la civetta hegeliana che viene sul fare del tramonto a cogliere il senso profondo degli accadimenti diurni? Il grigio attraversa così come una dimensione atmosferica necessaria (non solo negativa) le nostre vite e le nostre culture, le une embricate alle altre, e può assumere nella tradizione una valenza religiosa e metafisica, come testimonia anche il primo libro della Bibbia, quello della Genesi, dove non si delinea una contrapposizione netta tra luce e tenebra, bensì è presupposta la necessità dell'una e dell'altra affinché si pervenga a quel miracolo chiaroscurale che è la creazione nella miriade infinita delle sue forme. Il conflitto tra la luce e le tenebre perdura nella tradizione religiosa: è quasi superfluo rammentare l'incipit del Vangelo di Giovanni dove a contrapporsi in una sfida cosmica sono un'altra volta la luce e le tenebre che non l'accolgono. Si può supporre, andando forse oltre Sloterdijk, che esse si miscelino nel grigiore del mondo meno irruente e ben più caduco della luce assoluta della verità. La realtà, probabilmente, adotta sempre tonalità intermedie, diciamolo pure: è un po' grigia. È quanto ricordava Victor Hugo, difendendo il chiaroscuro, a ben vedere molto tendente al grigio, nella sua Prefazione al dramma Cromwell, Ciò che chiamiamo reale è infine uno snodo in cui il mistero e la banalità fatalmente si incrociano.
- Federico Vercellone - Pubblicato su Tutto Libri del 1° luglio 2023 -
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