venerdì 20 ottobre 2023

Piccolo mondo cinico…

C’è una trappola pronta a scattare per Giovà, guardia giurata di Partanna Mondello. La sorella Mariella ha dato in affitto il «villino» di sua proprietà. Purtroppo i due affittuari trovano scuse e pretesti (non del tutto infondati) per non pagare il canone e ciò scatena in famiglia la consueta tragedia farsesca. La madre Antonietta, la zia Mariola, la vicina Mariangela e persino il padre infermo spingono Giovà a fare qualcosa, qualsiasi cosa, quando un fatto ben più grave si aggiunge al danno morale e a quello economico. Gli affittuari, i sedicenti fratelli Mormile, sono caduti in un agguato e Mariella è stata fermata dalla polizia scatenando oltretutto una ridda di maldicenze. Lo stile del duplice omicidio è quello classico mafioso, eppure è proprio lo Zzu, il boss della borgata, a dare ordine a Giovà di fare chiarezza. Solo sullo sfondo si muovono le forze dell’ordine, che tutti i protagonisti della vicenda considerano un potere ostile, incapace di penetrare gli arcani del quartiere. A spalleggiare Giovà in questa nuova indagine sarà il figlio del padrino, l’infido Giampaolo. Inspiegabili indizi e ulteriori cadaveri arrivano a complicare la situazione, mentre Giovà sempre più si rende conto di essere su un piano inclinato che porta al disastro. «Mi stanno scaricando pure i miei parenti», riesce a capire un attimo prima di finire in trappola.

La «boffa allo scecco» è lo schiaffo che si dà all’asino, utilizzandolo come capro espiatorio finale di una lunga catena di soprusi. Al termine della quale, anche questa volta, si trova Giovà Di Dio – investigatore riluttante ed esca umana –, un Giufà immerso nel contesto della mafia di piccolo cabotaggio, onnipresente nelle zone dove lo Stato sembrerebbe aver fatto un passo indietro. Un romanzo ricco di dialoghi da commedia brillante che portano il lettore a sorridere, salvo poi accorgersi che c’è poco da sorridere, in questo «piccolo mondo cinico», come lo ha definito con perfetta diagnosi Goffredo Fofi.

(Dal risvolto di copertina di: ROBERTO ALAJMO, La boffa allo scecco. SELLERIO, Pagine 264, €15)

Lo schiaffo all’asino, senza scampo
- di Simone Innocenti -

Dipende tutto dal lettore. Il nuovo romanzo di Roberto Alajmo, La boffa allo scecco può essere letto infatti come un giallo atipico, che punta dritto sul grottesco. Ma può anche essere affrontato come una sorta di saggio sociologico su certe situazioni che solo apparentemente possono essere considerate siciliane. Eppure, tra le molte chiavi possibili, quella che sembra emergere è la ferocia. Quella usata dall’autore per raccontare le ultime gesta di Giovà, metronotte per caso nelle vie di Partana Mondello, che finisce, sempre per caso, dentro una storia più grande di lui. Talmente grande da ricordare al protagonista, di fatto un investigatore non investigatore, che «la boffa allo scecco» — lo schiaffo che si molla all’asino per disperazione e per prendersi, stupidamente, una rivincita sulla vita che con la sua violenza costringe ai margini — è destinata a lui.

Con questo romanzo Alajmo — che nei suoi precedenti Io non ci volevo venire e La strategia dell’opossum aveva messo al centro delle storie Giovà e la sua famiglia — sembra spingere ancora di più sul pedale dell’«uomo senza qualità» per appiattirlo sulle volontà altrui all’interno di una vicenda che chiama in causa il microcosmo familiare, declinato in ogni sua accezione. La sensazione, nettissima, è che Alajmo porti questa vicenda di ammazzamenti e rapporti tra famiglie prima di tutto mettendola in scena su un terreno letterario che pare evocare L’uomo senza qualità di Robert Musil e I Buddenbrook di Thomas Mann, abbandonandola ai marosi di una quotidianità che è sì grottesca e surreale ma che poggia sul concetto di umorismo elaborato da Luigi Pirandello. Ecco perché tutto dipende dal lettore: si possono apprezzare queste pagine per l’ironia dello stile ma Alajmo, scrittore pluripremiato, fa ricorso ai toni dell’umorismo, che è «il sentimento del contrario» (com’ebbe a definirlo il drammaturgo siciliano nel 1908).

La storia, a sommi capi, ruota attorno a un duplice omicidio in puro stile mafioso: qualcuno ha fatto fuori Antonio Mormile e Cacioppo Manfredi — formalmente accettati dalla società come fratelli ma in realtà due amanti — nella borgata che è dominio di Zzu, boss che ordina a Giovà di capirci qualcosa, visto che lui non ne sa nulla e rischia che gli «intestino le ammazzatine». E soprattutto deve saldare un debito che dura da 30 anni: è stato Zzu a trovare il lavoro a Giovà, che a sua volta accetta anche perché sua madre Antonietta, sua sorella Mariella e pure suo padre infermo lo catapultano con calcolato cinismo a fare tutto ciò che non va fatto, compreso immolarsi come esca. Tutto questo non perché la sorella Mariella aveva affittato a nero un villino mezzo scassato nella zona di Valdesi proprio alle due vittime ma perché la donna rischia di essere al centro di una serie di maldicenze dopo che è stata sentita dai poliziotti, che sono «sbirri che sentono quello che vogliono sentire». E che rimarranno sempre fuori da questa vicenda perché «lo Stato non esiste, ma comunque, se specialmente ci mette il bollo, è sempre meglio tenersi alla larga».

Ogni volta che lo Stato interviene in questa storia è per mollare «la boffa allo scecco», che è appunto Giovà. Schiaffi che questo metronotte la cui unica preoccupazione pare essere quella di dormire e di mangiare in realtà prende da tutti. Li prende dai suoi familiari e anche da Giampaolo, che è il figlio del padrino Zzu, cioè un altro tipo famiglia che si atteggia sì a mafiosa ma che in realtà pesa sulla vita degli altri con favori di piccolo cabotaggio ma con una violenza che invece è realissima. Alajmo ha, fra gli altri, un grande pregio. Non prende mai una posizione, non si erge a censore: lascia che sia il lettore a farsi un’idea della società e delle miserie umane. E lo fa anche attraverso una serie di dialoghi che risultano efficaci, dal ritmo e dai tempi teatrali. Lo fa soprattutto usando un sapiente meccanismo di gioco degli specchi e rovesciando continuamente il punto di vista e la realtà che finiscono, inesorabilmente, per andare a sbattere su Giovà, che si lascia modellare da tutti e da tutte. Meno che dal buonsenso.

In questo meccanismo Alajmo non trascura di raccontare i contesti. Il mare e la bellezza della Sicilia, che sono evocate dallo scrittore, non vengono mai vissuti da alcun personaggio che invece punta solo ed esclusivamente a far quadrare una vita che è a volte piatta e che a volte è invece solo apparentemente normale (dato che ha da nascondere traffici e mire di puro egoismo). Questo doppio registro viene calato nello stile di Alajmo, che ha la felicità di inventare storie dove le biografie dei suoi personaggi, nel trittico narrativo con protagonista Giovà, sono materia viva. La cattiveria, la bassezza, l’assoluta mancanza di rispetto, i falsi discorsi, l’assenza di empatia sono alcuni tra i comportamenti umani che lo scrittore siciliano usa come inneschi per allestire il doppiofondo di buona parte dell’umanità. Ci si diverte, e ci si diverte moltissimo, a leggere La boffa allo scecco anche perché alla fine si ha la sensazione che tutto quanto c’è di grottesco non sia poi così grottesco e che, sì, «le male persone fanno le male cose» ma anche le persone comuni non sono così distanti dalle «male persone». C’è una crudeltà enorme nella scrittura di Alajmo, un ghigno di ferocia che denuncia, per paradosso, l’animo di un intellettuale che si stupisce — probabilmente lui per primo, che queste storie inventa — della banalità e della stupidità del male. C’è, insomma, nello stile di Alajmo un sotto-testo di pudore e la certezza che la realtà sia un eterno sottinteso.

- Simone Innocenti - Pubblicato su La lettura del 25/6/2023 -

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