Anche Anne Carson, come fa Foucault, nel suo "Dolceamaro" (Utopia, 2021) torna ai greci: è di Eros che parla, inteso come dolceamaro in questo libro che è la rielaborazione della sua tesi di dottorato che aveva discusso nel 1981. E Carson insegue questa dialettologia del sesso, del desiderio e dell'amore, e lo fa partendo dal "glukupikron" di Saffo (una parola assai difficile da tradurre, nella quale la lingua greca fonde il dolce e l'amaro). Tra le altre cose, Carson ci parla di Tolstoj e di Anna Kariênina («"E l’odio comincia laddove finisce l’amore", sussurra Anna Karenina, mentre si dirige alla stazione di Mosca e verso la soluzione al dilemma del suo desiderio.»); ma parla anche di Lacan - parla delle sue idee sul desiderio come mancanza e come figura del nulla - che scriveva: «Il desiderio evoca la mancanza a essere sotto tre figure: il nulla che costituisce il fondo della domanda d’amore, l’odio che nega perfino l’essere dell’altro, e l’indicibile di quel che si ignora nella sua richiesta». E parla anche di Socrate, e del modo in cui l'eros appare nel linguaggio del filosofo: cucito insieme all'ironia e ai giochi linguistici, dal momento che, come l'eros, anche i giochi di parole si fanno beffe dei limiti delle cose.
«All’interno di un gioco di parole si intravede la possibilità di cogliere una verità migliore, un significato più vero di quello svelato dal senso isolato di ciascuna parola. Ma lo sguardo su quel significato ampliato, che lampeggia in un gioco di parole, è doloroso. Perché non lo si può scindere dalla consapevolezza della sua impossibilità. Le parole hanno dei limiti. Anche noi.»
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