Per Anne Carson, una delle questioni centrali consiste nell'analisi delle "relazioni profonde" che alcuni artisti intrattengono con altri artisti. Ad esempio, quando parla di Francis Bacon, sottolinea come egli abbia un rapporto profondo con Rembrandt: in diverse sue interviste, Bacon parla di quanto egli ami uno dei suoi autoritratti (ci troviamo nel suo saggio "Variations on the right to remain silent" del 2013, nel quale Anne Carson esplora i diversi momenti del libro di interviste a Bacon curato da David Sylvester). Ciò che Francis Bacon apprezza di più, dell'autoritratto di Rembrandt, sta nel fatto che gli occhi non hanno orbite (si tratta di un'opera tarda di Rembrandt, dai contorni sfumati e assai scura). Carson sottolinea che in quel dipinto lo sguardo non è organizzato nel modo consueto, in modo che la visione sembra emanare "silenzio".E quando arriva a questo punto del saggio, Carson tocca quello che per lei è il problema generale, il cuore della sua argomentazione: le diverse declinazioni del diritto a rimanere in silenzio, e il modo in cui questa assenza, questa "mancanza di voce", nel corso dei secoli abbia avuto delle ripercussioni sull'arte. E qui, compiendo un salto inaspettato - un salto tipico di un saggio, e ancor di più in un saggio di Anne Carson - si passa dal silenzio di Rembrandt al silenzio di Paul Celan, per mezzo di una poesia in lode di Hölderlin, che termina con una parola intraducibile e ripetuta: "Pallaksch, Pallaksch". Ecco che, pertanto, il silenzio si intreccia e si coniuga con la traduzione e con l'intraducibile, e viene scandito da quello che è l'omaggio di Celan a Hölderlin; il quale non era solo un poeta ma anche, e soprattutto, un traduttore; secondo le persone che lo andavano a visitare nella sua torre, era stato Hölderlin ad aver inventato il termine "Pallaksch", e a volte lo usava per dire Sì, e a volte per dire No.
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