«Nessuno - con la sola eccezione di Proust, in un registro meno tragico - ha saputo evocare come Kafka il confronto di punti di vista inconciliabili, di giudizi particolari che si presentano tutti come universali, lo scontro permanente del sospetto e della smentita, della maldicenza e della lusinga, della calunnia e della riabilitazione, terribile gioco di società in cui si elabora il verdetto del mondo sociale, questo inesorabile prodotto del giudizio innumerevole degli altri. In questa sorta di gioco della verità, di cui Il processo propone il modello, Joseph K., innocente calunniato, si affanna a cercare il punto di vista dei punti di vista, il tribunale supremo, l'ultima istanza.»
A pagina 249, nell'ultimo capitolo delle sue "Meditazioni pascaliane" (Feltrinelli, 1998), Pierre Bourdieu, ricorre al "Processo" di Kafka, dicendo che egli (Kafka) non solo utilizza il tempo in maniera estremamente significativa (il gioco delle attese e delle frustrazioni, dei progetti, delle ripetizioni, delle desistenze e dei rimpianti), ma - spiega Bourdieu - si pone anche alla ricerca del «punto di vista dei punti di vista».
Va detto, però, che in queste sue "Meditazioni", la lunga e tortuosa polemica è soprattutto rivolta contro la scolastica, e il suo insistere sulla separazione della ragione, vista come ultima e definitiva istanza. Solo che, diverse decine di pagine prima di parlare di Kafka, Bourdieu propone una sua digressione su Baudelaire, sostenendo che l'enorme fortuna critica che avvolge l'autore dei Fiori del male, rende difficile rendersi conto della radicalità della sua poetica, e del modo in cui egli abbia inventato un nuovo modo di "essere artista" all'interno e a partire dalla Letteratura; ed ecco che a questo punto non trova altro di meglio da fare che riprendere alcuni momenti di un suo libro precedente - del 1992 - "Le regole dell'arte. Genesi e struttura del campo letterario" (Il Saggiatore, 2005). Solo che, così facendo, risulta curioso che, al centro di un'opera in cui viene criticata la scolastica, troviamo invece proprio un esempio della meticolosità di un simile metodo/scuola; e che l’esempio provenga proprio da quello stesso autore (Bourdieu) che poi ne diverrà critico (nel suo libro del 1992, Bourdieu ci fa vedere quanto sia necessario conoscere con precisione quali sono stati gli autori immediatamente precedenti e immediatamente contemporanei a Baudelaire; cosa questa che poi, per fortuna, in quella che sarà la sua critica successiva andrà perduta).
E così, alla fine, sembra quasi che questi due momenti diversi delle Meditazioni finiscano per convergere - a partire dall'evocazione di Proust, il quale (“sebbene con effetti meno tragici”) avrebbe condiviso la medesima ricerca kafkiana del "punto di vista" - come se quasi andassero in direzione del saggio di Walter Benjamin su Proust. Saggio nel quale veniva giustamente sostenuto che la Recherche doveva essere letta alla luce degli intrighi sociali immediatamente precedenti e immediatamente contemporanei la stesura del ciclo di romanzi (in altre parole, Benjamin difende l'importanza ermeneutica del pettegolezzo; del "chisme", se vogliamo usare il termine caro a Edgardo Cozarinsky). E così, tornando indietro nel tempo, possiamo dire lo stesso anche di Dante: Lamartine criticò la Divina Commedia per il suo lato mondano fiorentino, dal momento che nel poema appaiono molti nomi i quali possono essere identificati soltanto e unicamente negli abitanti di Firenze.
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