Ciechi nella crisi
- di Claus Peter Ortlieb -
Dopo il fallimento del keynesismo, avvenuto in pratica a causa della cosiddetta stagflazione degli anni '70, a dominare il mercato del lavoro, e il mercato librario dell'economia politica accademica, è il dogma neoclassico. Si tratta della dottrina dell'armonia del mercato, secondo la quale la cosa migliore sarebbe quella di lasciarlo a sé stesso; cosa che stabilirebbe, a beneficio di tutti, un equilibrio tra domanda e offerta. I libri di testo sull'argomento non riflettono la realtà dell'economia capitalista: per esempio, è del tutto inutile affannarsi a cercare la parola "crisi". Piuttosto, invece, ogni pregiudizio ideologico viene trasposto in un qualche modello matematico che poi viene semplicemente sovrapposto a questa realtà. In seguito al predominio della dottrina neoclassica, la scienza economica ha definitivamente rinunciato a trattare la propria materia, e gli argomenti che le competevano, per posizionarsi esclusivamente in quello che è a tutti gli effetti uno spazio di ideologia mascherata da scienza.
Tutto ciò, si è reso evidente a partire quanto meno dall'autunno del 2008, allorché la crisi ebbe raggiunto il suo culmine. Tuttavia, nel momento in cui si constata che un'ideologia non può essere adattata alla realtà, non è certo per questo che essa scompare dalla mente delle persone. E in questo la dottrina neoclassica non fa certo eccezione, nonostante nel frattempo sia stata completamente ridicolizzata a partire dai fenomeni della crisi capitalistica. Tuttavia, nemmeno questo impedisce ai suoi affermati rappresentanti di continuare a elargire, nello spazio pubblico della politica, quegli stessi consigli che dispensano da decenni. Di modo che, così facendo, gli pseudo-argomenti della dottrina neoclassica possano continuare a riempire le pagine economiche di molti quotidiani e settimanali, e a definire il pensiero della classe politica. Come componente essenziale di una tale costruzione didattica, oggi si è imposta una visione esclusivamente microeconomica, e questo è avvenuto in una duplice maniera.
Innanzitutto, e come punto di partenza, si ritiene che debba essere considerato, come se fosse l'unico punto di vista, la prospettiva della ditta individuale, in base alla quale "l'economia" deve essere valutata in modo sensato. Dopodiché, in secondo luogo, anche le unità macroeconomiche vengono trattate di conseguenza, metaforicamente, come se anch'esse fossero degli individui; ed ecco che così lo Stato, per esempio, non dovrebbe fare altro che risparmiare, nel modo più drastico possibile, quasi fosse un "buon padre di famiglia", oppure come una "brava casalinga". E questo, ovviamente, a causa del fatto che finora i membri della famiglia avrebbero vissuto al di sopra delle loro possibilità.
Fino a che punto, una simile mentalità possa essere ingannevole e fuorviante, lo dimostrano chiaramente le attuali distorsioni nell'area della zona euro, e le misure per potervi porre rimedio. Così, alla Grecia è stato prescritto il farmaco dell'austerità, come vuole la ricetta della "brava casalinga", e la sua somministrazione è stata rigorosamente monitorata dalla troika della Commissione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea. Ovviamente, per un po' – con un bilancio familiare pieno di debiti – apparirebbe quasi ovvio che sarebbe assai più utile sforzarsi di lavorare di più e consumare di meno, per sbarazzarsi dei debiti. Solo che questo modello non può essere applicato a un'economia nazionale. E questo perché una riduzione dei consumi pubblici e privati si traduce sempre in una riduzione della produzione, portando così direttamente alla recessione. Ed è esattamente questo ciò che è successo in Grecia: nel 2010, il prodotto interno lordo - il PIL - è sceso di oltre il 5%, e di conseguenza le entrate fiscali sono diminuite anch'esse, facendo sì che così il debito pubblico finisse per crescere ancora più di prima. In questo modo, la bancarotta dello Stato greco è solo una questione di tempo. Si dice in giro che ora questa ricetta per il successo verrà prescritta anche alla Spagna e all'Italia!
Così, anche per quanto riguarda il banale consiglio che i paesi indebitati dell'eurozona non dovrebbero fare altro che seguire il modello tedesco, è basato anch'esso su una prospettiva di economia aziendale a cui sfugge completamente la situazione reale. Il negativo della bilancia commerciale e il correlato maggiore indebitamento dei paesi del Sud dell'Europa, è in definitiva nient'altro che il rovescio - e la conseguenza diretta - del surplus delle esportazioni della Germania; surplus dovuto principalmente al commercio all'interno dell'UE. Un consiglio del genere, somiglia a quello che viene dato alle squadre di minor successo della Lega calcio tedesca: fate esattamente come fa il Bayern Monaco, e vedrete che la prossima stagione vinceremo tutti quanti il campionato!
Ma l'idea che sia stata la dottrina neoclassica ad aver causato la profonda crisi del sistema capitalista, non deve prevalere. Significherebbe darle un'eccessiva importanza. Il problema sta nel fatto che questa dottrina non ha in sé alcun concetto di crisi; sostiene che semplicemente non esiste alcuna crisi. E chiunque ora, nel pieno della crisi, agisca in base a visioni e a ricette neoclassiche, non fa altro che mettersi dei paraocchi, con cui diventa impossibile anche il pragmatico "navigare a vista" (Wolfgang Schäuble). Se siamo già diretti verso l'abisso, allora per favore aprite bene gli occhi!
- Claus Peter Ortlieb - Pubblicato il 26/11/2011 su OSSIETZKY 24/2011 -
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