sabato 2 marzo 2024

L’orecchio utopico dell’ingenuo Marcuse…

Marcuse nel XXI secolo
di Amador Fernández-Savater

Negli anni '60 e '70, nel pieno dei movimenti contro-culturali e della cosiddetta Nuova Sinistra, Herbert Marcuse è stato forse il filosofo più popolare e influente Perché oggi la sua lettura è diminuita?
Azzardiamo: il declino dell'interesse per Marcuse è andato di pari passo con il declino della capacità utopica delle società. Vale a dire, è parallelo al trionfo di quello che oggi viene chiamato "realismo capitalista", e che continua a ripetere: «ciò che esiste è quello che esiste». E perfino nello stesso pensiero critico, quel che prevale è come una sorta di crogiolarsi nell'impotenza: ci godiamo l'infinita descrizione della nostra sottomissione ai dispositivi del potere, e ci divertiamo a come ogni tentativo di liberazione venga reindirizzato verso l'interno del sistema («lo vedi? Te l'avevo detto»). Quella che oggi è la posizione della vittima di fronte al mondo, è egemonica: in realtà, la critica vittimistica non vuole cambiare niente, ma si ritiene semplicemente soddisfatta di «dare fastidio» ai colpevoli per ciò che sta accadendo, come se tutto questo non avesse niente a che fare con noi. Leggendo Marcuse, un pensatore che per tutta la vita è stato impegnato nell'individuare delle «vie di fuga» che ci permettessero di sbloccare delle situazioni apparentemente senza speranza, non troveremo niente di tutto questo. Aveva definito questi percorsi - prendendo in prestito il termine dal suo collega Ernst Bloch - col nome di «utopie concrete». Le utopie concrete non rappresentano delle speculazioni sul futuro, e non progettano neppure dei piani o dei sistemi ideali, ma sono piuttosto delle «potenzialità» che sono già inscritte nel presente, gravide di altri futuri possibili; ma che lo stato delle cose reprime e soffoca. Per Marcuse, teorizzare significava prestare orecchio a tutte queste potenzialità, e contribuire a dispiegarle con il pensiero: accompagnandole con dei nomi e dei concetti, assicurarne il contagio con il passaparola, discuterne i problemi strategici insieme a chi è interessato. Queste potenzialità, le trovava nel regno delle pulsioni, dell'estetica e nel mondo dei movimenti politici del suo tempo.

Erotico
A cento anni dalle scoperte di Freud, è sorprendente vedere quante sociologie, presunte critiche, siano state sviluppate come se la vita degli esseri umani si svolgesse interamente solo nell'ambito di ciò che è esplicito e trasparente, del razionale e del consapevole, e della mera appartenenza alla classe sociale e ai suoi interessi. E nel pensare questo, Marcuse non si riferisce solo a Marx, ma anche a Freud. Egli riconosce che l'essere umano sia innanzitutto un animale desiderante, costituito in maniera strutturale a partire da due pulsioni: la vita e la morte, Eros e Thanatos. Pulsioni che però rimangono aperte tano alla società quanto alla storia; vale a dire che a ciascun'epoca, di volta in volta, i loro obiettivi e i loro percorsi cambiano. Solamente a partire da una tale connessione tra psichico e sociale, possiamo riuscire a svelare il segreto della «servitù volontaria»: perché l'essere umano lotti per la sua schiavitù, come se invece si trattasse della sua salvezza. Le rivoluzioni, non vengono sconfitte solo dall'esterno ma anche dall'interno. Esse conoscono - dice Marcuse - il loro «termidoro psichico». Quello che il filosofo tedesco nota, nella socializzazione sotto il sistema capitalista, è un «eccesso di repressione», che a sua volta determina una drastica mutilazione della sensualità e del principio di piacere. Il corpo e le sue pulsioni vengono viste con sospetto da quella che è la tradizione occidentale in generale, come se fossero qualcosa che dev'essere represso, in modo che così si possano produrre e esseri umani che ruotano, essenzialmente, intorno alla necessità di lavorare. Se un tempo questa «repressione di ciò che è eccedente» aveva una sua ragione d'essere, dovuta alla lotta per l'esistenza, oggi certamente non è più così. Esiste un'abbondanza materiale, la quale, non solo potrebbe essere meglio distribuita, ma anche servire come una base per il desiderio di avere una vita diversa, i cui valori fondamentali non siano la produttività, la performance e la competizione. Tra gli obiettivi principali dei movimenti politici, secondo Marcuse c'è, pertanto, la riattivazione della sensualità e del piacere, visti come modi attraverso i quali ci si relaziona con il mondo. Ma, per noi, oggi, come suona una frase del genere? Si tratta solo di un proclama edonistico, come spesso sentiamo dire da dei politici neoliberisti, come Isabel Díaz Ayuso [una figura politica della destra spagnola]? Niente affatto. Le nostre società sono assuefatte al cosiddetto piacere del consumo: una forma di dipendenza e di costrizione, soddisfazioni sostitutive e compensative di quella che è a tutti gli effetti una vita mutilata. Le grandi industrie del nostro mondo, dal turismo alla droga, alle bevande, fino al sesso o allo sport, non hanno a che fare con il piacere, ma con i tranquillanti, e con il sollievo. Per un momento, riescono a tappare il pozzo senza fondo dell'insoddisfazione. Il principio di realtà, continua a essere imposto per mezzo di veri e propri imperativi: ieri, il super-io dell'autorità, della religione, o della morale che ordinava di «non farlo!»; oggi, il super-io della performance, della produttività e della competitività che dice «fallo!». Entrambi, sono ugualmente mortificanti, come tutti gli ordini. E da qui ne deriva la necessità di avere impulsi compensatori. La liberazione della sensualità e del piacere, la forza dell'eros, non ha nulla a che vedere con l'aumento delle opportunità di consumare, o di avere incontri sessuali (che assai spesso sono la medesima cosa), quanto piuttosto ha a che fare con l'attivazione di una relazione amorosa con il mondo: un lavoro creativo e non alienante, tempo libero autonomo, un rapporto di cura con l'ambiente naturale e sociale. Solo la sconfitta politica dei progetti collettivi degli anni '60 e '70 riesce a spiegare perché mai, oggi, la liberazione dell'eros si sia ridotta a un problema di scelte personali e private: poli-amore, critica della monogamia, moltiplicazione dei partner sessuali, ecc. Per i movimenti contro-culturali, si trattava di «fare l'amore» con il lavoro, con la città e il cosmo. Reinventare il rapporto con l'intera realtà, a partire da un legame sensibile. Quella che Marcuse chiamava «sublimazione creativa», distinta dalla sublimazione repressiva o compensatoria. Ma il corpo pulsionale non è solo Eros, ma è anche Thanatos: è energia distruttiva, aggressività, e istinto di morte. Marcuse accetta questa dualità freudiana di principi istintuali, e conclude: solo Eros è in grado di assoggettare Thanatos, solo la forza di Eros può mettere Thanatos al suo servizio, come energia aggressiva di difesa, o di resistenza. Una società che reprime l'eros, è condannata a vedere la logica e la passione del sacrificio riprodotte ovunque: nella natura, nei legami sociali, e nella vita stessa. Solo la riattivazione delle energie erotiche è in grado di privare i fascismi di ieri o di oggi di quel carburante affettivo di cui hanno bisogno. Il campo di battaglia di tutto questo, è il desiderio. Pertanto, la politica diventa terapia sociale: riattivazione e riqualificazione delle capacità erotiche e desideranti dell'essere umano.

Estetico
Ma come fare a stabilire un altra relazione con il mondo? Non per mezzo di ordini o imperativi a proposito di ciò che «dev'essere fatto» - per quanto razionali o ideologici siano - e ancor meno a partire da impulsi aggressivi di dominio e di controllo. La risposta di Marcuse è "la sensibilità". La trasformazione sociale consiste nel passare da una cultura di "conquista della realtà" (con la forza, o con la ragione strumentale) a una cultura di "accettazione" del mondo (grazie alla sensibilità). Un'attivazione individuale e collettiva della capacità di "ricevere". Una recettività creativa, contro la produttività repressiva, obbligatoria, come una nuova forma di abitare. L'organo di questa ricettività, spiega Marcuse seguendo Kant e Schiller, sono i "sensi". A volte sono passivi e attivi: registrano le impressioni che il mondo ci trasmette, e conferiscono loro una forma non coercitiva. La percezione è una questione politica: e quel che vediamo è l'esperienza che si associata a quella visione. Per Marcuse, l'estetica si struttura anche come ambito relativo all'arte e alla finzione. Tale ambito dev'essere autonomo. In altre parole, l'arte e la finzione non sono, e non devono essere, un "riflesso" della realtà, ma piuttosto proporre delle "forme" che stilizzino e intensifichino tale realtà. A partire dalla la sua capacità di rompere la nostra rappresentazione stereotipata del mondo, e proporne un'altra attraverso le forme che crea, l'arte è politica. L'arte emancipa, non in quanto conferma ciò che già sentiamo o pensiamo, ma piuttosto grazie alla sua capacità di offrirci qualcosa di nuovo da vedere, e qualcosa di nuovo su cui riflettere. L'esperienza politica dell'arte costituisce l'espansione dei nostri sensi, e non la conferma delle nostre idee. La riduzione della natura politica dell'arte al suo messaggio, o al suo contenuto, rappresenta una mutilazione delle sue virtù emancipatorie. Marcuse dibatte con il marxismo del suo tempo. Ciò riduce l'opera d'arte alle sue determinazioni sociali: giudica l'autore in base alla sua origine economica e sociale, i protagonisti come se fossero espressioni di determinazioni strutturali, ecc. Tuttavia, per Marcuse, il potere dell'arte va sempre oltre il suo contesto, dà forma ad ansie e tragedie che fanno parte dell'essere umano stesso, si rivolge a chiunque. Oggi assistiamo a un tentativo di ridurre l'arte e la narrativa a significato e messaggio, sulla base di logiche identitarie che non sono solo di classe, ma anche di genere o di razza; tuttavia il problema rimane lo stesso: celebrare o condannare le finzioni a seconda che riflettano o si conformino a dei valori, o contenuti ritenuti corretti, indipendentemente dalla configurazione materiale dell'opera; dove invece risiede effettivamente il suo potere emancipatorio. In definitiva, la forma artistica - questa rappresentazione stilizzata e intensificata della realtà - si rivela sovversiva dal momento che mantiene viva la promessa di felicità: l'anelito a una vita non divisa tra piacere e realtà, tra ragione e sensibilità, tra corpo e idea. Un desiderio questo, che per Marcuse affonda le sue radici nei ricordi d'infanzia che portiamo sempre con noi, quasi come una ferita aperta. La politica è estetica sociale: rottura della percezione stereotipata, arricchimento e allargamento dei sensi.

Rivoluzione
Marcuse si è sempre occupato - come dimostra ogni suo discorso e ogni intervista - delle questioni politiche più basilari: abolizione della povertà, diritti civili e sociali, progresso materiale, ecc. Per lui, le lotte del desiderio (le rivoluzioni culturali) non negano, bensì radicalizzano e amplificano le lotte per gli interessi. E' l'abbondanza, ricercata dallo sviluppo scientifico e tecnico, a rendere possibile e a dare origine al progetto utopico. La trasformazione sociale è «uno sforzo aggiuntivo»: esso, non solo migliora la distribuzione della ricchezza, ma dà anche vita a un'altra concezione della ricchezza, o del buon vivere. Il socialismo, in quanto società qualitativamente diversa da quella capitalistica, rappresenta la creazione di una "seconda natura": un altro rapporto con il linguaggio, il corpo, il lavoro, la vita e la morte. Configura degli esseri che saranno fisiologicamente e psicologicamente differenti. Tra i movimenti della sua epoca che manifestavano un potenziale utopico, ce ne sono stati due che risuonano fortemente ancora nel presente: l'ambientalismo e il femminismo. Cosa dice Marcuse rispetto all'ambientalismo che possa ispirare ancora oggi? Sottolinea che l'ambientalismo non dovrebbe preoccuparsi solo della "natura esteriore", ma anche della natura "interiore". Se la società capitalista cerca il dominio repressivo, sia sulle pulsioni che sul mondo fisico, ecco che allora la trasformazione sociale deve invece prendersene cura e proteggerli entrambi. L'uno dipende dall'altro. L'ambientalismo costituisce anche una questione di sensibilità: la sua sfida è quella di trasformare la percezione sociale, in modo che il mondo non appaia davanti a noi come un oggetto di possesso e di conquista, ma piuttosto come «un cosmo con delle potenzialità proprie». Che cosa significa questo? In sé stesse, le cose del mondo rappresentano delle forze, posseggono una loro misura intrinseca e hanno una loro "verità". I sensi, se li raffiniamo in tal senso, possono scoprire queste possibilità immanenti e lavorare a partire da esse. Ecco che allora ci relazioneremo al mondo come fa un artigiano rispetto alla sua materia: non forzando, ma ascoltando le proprie inclinazioni. Non per conquistare, non per dominare, non per violare, ma per ascoltare e sviluppare qualità immanenti all'esistenza. Anche la natura, secondo Marcuse, attende la rivoluzione: l'attualizzazione delle possibilità che contiene, e che solo una nuova sensibilità può rilevare e risvegliare. L'essere umano e la natura possono incontrarsi di nuovo nella dimensione estetica. E in relazione al femminismo, che cosa dice Marcuse? A partire da un'attenta e affettata osservazione dei movimenti femminili del suo tempo, Marcuse pensa alla politica rivoluzionaria come a una politica in chiave femminile. Nelle immagini femminili tradizionali, trova il germe di questa nuova sensibilità basata sull'eros. La cura protettiva della vita, l'ascolto attento dei bisogni fisici e materiali, la ricettività creativa invece della produttività, della competizione, della guerra. Ma queste immagini del femminile non sono costruite a partire da uno sguardo maschile? È questa la discussione che Marcuse ha con le sue compagne femministe dell'epoca. Sì, è vero, risponde, ma «l'immagine proiettata dagli uomini si ritorce contro i creatori di immagini». Anziché rifiutare le qualità storicamente attribuite alle donne, Marcuse si impegna invece a vederle e a valorizzarle come se fossero dei poteri, a brandirle come strumenti di trasformazione, a socializzarle e a universalizzarle come valori. La politica è antropologia sociale: l'emergere di un nuovo tipo di essere umano, capace di stabilire un altro rapporto con il mondo, con gli altri e con sé stessi.

Lucidità e utopia
L'ingenuo Marcuse? Certamente sì. Ma di quella "ingenuità" che ha chi persegue proprio ciò che il suo tempo ritiene "impossibile", e che costituisce da sempre l'unica forza che fa progredire il mondo, in termini di libertà e di uguaglianza. Molte cose del suo pensiero devono essere ancora discusse, tutte devono essere aggiornate, ma possiamo certamente trarre ispirazione dal suo "orecchio utopico": la capacità di cogliere quelle tendenze in atto che sono in grado di trasformare la realtà e di interpretarla. Il cambiamento sociale non dipende da imprese titaniche ed eroiche, e neppure da cambiamenti radicali e violenti, quanto piuttosto da disposizioni più umili e semplici: ascoltare quel potenziale di liberazione che viene espresso nei minimi dettagli, e che passa spesso inosservato. L'utopia non è attiva, la concezione e l'esecuzione di ideali e di programmi sono in realtà delle attività passive: sensibilità, accettazione e attenzione a tutto ciò che sta già accadendo. Qualcosa, all'interno delle cose che ci circondano, si muove e noi dobbiamo rispondere. Ciò che smuove non è un "messaggio" – significato, ideologia, identità, contenuto – ma è piuttosto energia, potenziale, possibilità. Non ha ancora una forma. Sta a noi costruirla. In modo che la forza si trasmetta e si propaghi, accada e cambi il mondo.

- Amador Fernández-Savater - Pubblicato il 25/2/2024 su Economia e Complexidade -

Opere di Herbert Marcuse consultate: "Eros e civiltà. Contributo a Freud", Einaudi, 1964 (1955); "Controrivoluzione e rivolta", Mondadori, 1973 (1972); "Saggio sulla liberazione", Einaudi, 1969 (1969); "La dimensione estetica", Mondadori, 1978 (1978); "Psicanalisi e politica" Laterza, 1968 (1957).

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