Pianeta in fiamme: come la crisi capitalista approfondisce il collasso ambientale
- L'evidenza è inequivocabile: il processo di crisi economica capitalista è accompagnato da una distruzione ambientale ancora più sistematica e irreversibile, da uno sfruttamento più intenso e profondo delle risorse naturali, che ora viene finanziato a credito -
- di Maurilio Botelho -
È difficile tracciare e monitorate il succedersi delle distruzioni della foresta e dell'ecosistema a causa del fuoco. Negli ultimi anni, è stato visto come un cerchio infernale di incendi, in America, Europa, Africa, Oceania, e persino nelle gelide terre dell'Artico, e anche sulla superficie della tundra, sotto lo strato ghiacciato. Foreste tropicali o temperate, paludi e savane: tutto serve da combustibile che va ad alimentare il fuoco insaziabile che devasta non solo gli ambienti "naturali", ma anche fattorie e villaggi, o addirittura residenze suburbane, resort turistici e quartieri popolari.
Questa sciagura globale, scatena immediatamente tre tipi di negazionismo. La prima, è quella che nega qualsiasi connessione tra gli incendi e il cambiamento climatico globale. Tuttavia, si rende necessario distinguere tra quella che è la negazione tout court delle alterazioni atmosferiche, da una parte, e la preoccupazione "scientifica" riguardo le "cause particolari" degli incendi, dall'altra; vale a dire, il negazionismo di coloro che accettano in linea di principio la tesi del riscaldamento globale, però ne negano i suoi effetti. Il terzo negazionismo ha un'origine "semiotica": dal momento che oramai tutto è narrazione e rappresentazione, ecco che la proliferazione di immagini di foreste in fiamme in TV, viene vista come il risultato dell'esagerazione, dell'onnipresenza dei media attuali.
È ovvio che ci sono dei Bioma, nei quali il fuoco è parte integrante della loro ecologia, così come è vero che molti incendi sono stati appiccati dolosamente e consapevolmente (il cosiddetto «giorno del fuoco» in Amazzonia, ad esempio). Così come è anche chiaro che oggi esistono molte più costruzioni che avanzano in delle aree ecologicamente infiammabili, e quindi l'accesso istantaneo a scene di palazzi suburbani che ardono in California, o di isole greche che bruciano, aggiunge una nuova dimensione alla percezione dell'«opinione pubblica» mondiale. Ma il negazionismo epistemologico, che crede che la distruzione sia esagerata dalla sua rappresentazione mediatica, e la falsa umiltà metodologica che si rifiuta di accettare gli effetti delle trasformazioni globali hanno lo stesso effetto anestetico che ha il negazionismo climatico: l'oggettività sociale, in quanto base della devastazione ambientale, non è viene in alcun modo messa in discussione
L'ultima relazione del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) non lascia dubbi sul riscaldamento globale, assumendo un tono catastrofico [*1]. Nel periodo tra il 2011-2020, rispetto al periodo 1850-1900, la temperatura della superficie terrestre è stata di 1,09 gradi superiore. In tale periodo, le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono state più alte rispetto a quanto lo sono state in qualsiasi momento in almeno 2 milioni di anni, e le concentrazioni di metano e protossido di azoto sono state le più alte in 800.000 anni (IPCC, 2021, p.9). Tra il 2011-2020, l'area media del ghiaccio marino artico ha raggiunto il punto più basso dal 1850. Dal 1900, i livelli medi del mare sono aumentati più velocemente che in qualsiasi momento dei 3.000 anni precedenti, e l'oceano si è riscaldato più velocemente nel secolo scorso, che in 11.000 anni (IPCC, 2021, p.9). Anche le stime più ottimistiche suggeriscono che l'avanzamento del riscaldamento globale ci porterà, entro il 2040, a un riscaldamento medio di 1,5 gradi rispetto al periodo 1850-1900 (IPCC, 2021, p.18); il che significa che il«livello di sicurezza» dell'Accordo di Parigi, per il 2100, sarà raggiunto e superato in meno di due decenni. Le condizioni ambientali diventeranno più instabili e distruttive, con «aumenti nella frequenza di ondate di calore e siccità simultanee, su scala globale» e con un «clima da incendio in alcune regioni di tutti i continenti abitati» (IPCC, 2021, p.11).
Ma questo importante cumulo di dati e la loro sistematica organizzazione mediante la scienza del clima, si smarrisce in un'aggregazione di «fonti differenti», «fattori» e «impatti» definiti in maniera positivista. In altre parole, mentre il negazionismo non si preoccupa di nessuna comprensione generale dei processi, la metodologia degli scienziati che dimostrano e mettono in guardia rispetto al cambiamento climatico si confonde nella contrapposizione e nella sommatoria di quelli che sono processi naturali e «antropici», che vengono accettati senza alcuna riflessione storica e sociale. La trasformazione ambientale viene interpretata come se fosse un'«attività umana» astorica - che alimenta i suoi derivati malthusiani -, oppure viene ridotta a un «problema industriale» - rispetto al quale viene proposta ogni sorta di soluzione "verde", "sostenibile", ecc. … post-industriale.
L'origine di questa distruzione profonda su scala globale, non risiede in qualche elemento «antropogenico» (o antropologico), bensì nel fine-in-sé della macchina di produzione capitalista, che ha bisogno di fare sempre più soldi dal denaro, utilizzando la materia prima naturale come parte integrante di quella che è la sua dinamica feticista. La natura distruttiva della forma sociale capitalista consiste nella sua processualità che trasforma la "natura" in mero contenuto materiale per la produzione di merci: mentre sempre più "input" naturali entrano in questo sistema, per poi uscirne come merci, nel mentre che sempre più rifiuti di questo processo di produzione vengono lasciati dietro di sé. La trasformazione di capitale in sempre più capitale, che ormai domina tutta quanta la vita sotto il sole attraverso il mercato globalizzato, ha bisogno di aumentare ancora di più, e ha sempre sempre più bisogno di trasformare la materia fisica, in modo da assicurare continuità a questa grande industria di trasformazione umana e naturale che è la «forma sociale del capitale» (Marx). Questo processo richiede sempre più energia umana astratta sotto forma di lavoro, ma anche più energia naturale nella sua forma fisica. Nella sua stragrande maggioranza - che si tratti del fuoco caldo dei motori a scoppio alimentati da combustibili fossili, o del fuoco incandescente dei motori elettrici - l'energia che aziona questa macchina ha come risultato quello di emettere gas a effetto serra (principalmente anidride carbonica proveniente dalla combustione del combustibile, metano dalla decomposizione della materia organica nelle grandi dighe idroelettriche, e ossido di azoto dall'agricoltura industrializzata e dai suoi fertilizzanti chimici). Il risultato è che l'umanità, sotto il regime di produzione incessante di beni, effettivamente riscalda il mondo a causa dell'uso sfrenato di un'energia che intrappola sempre più luce solare in un'atmosfera diventata progressivamente sempre più densa.
Ma la storia dell'ascesa della società capitalista, nel corso della quale il mercato si è espanso sottoponendo il mondo intero alla sua dinamica di dispendio di energia umana e fisica, e lasciando in questo modo sempre più rifiuti dietro di sé, ha avuto una svolta circa quarant'anni fa. Con la trasformazione tecnologica innescata dalla rivoluzione della microelettronica, l'accelerazione della produttività ha espulso e reso gradualmente irrilevante, nella lavorazione delle merci, l'energia umana e il sistema ha così iniziato a produrre attraverso lo sfruttamento del lavoro, sempre meno ricchezza sociale astratta. Si è stabilito un paradosso: tanto meno lavoro viene impiegato nei processi di produzione, tanto più basso è il valore presente in ogni singola merce, e il risultato è pertanto la bancarotta della struttura di base della stessa economia di mercato, una crisi, questa, che può essere compensata, o rimandata solo espandendo la produzione delle merci. Si rende necessaria un'espansione assoluta della produzione di merci, per poter così compensare l'utilizzo relativo sempre minore del lavoro in ciascuna merce.
E proprio perché il "fuoco" interno sociale della produzione di ricchezza sociale - il lavoro - viene sempre meno utilizzato, ecco che allora il "fuoco" esterno ambientale - l'energia - deve essere sempre più sfruttato per espandere la produzione di merci. E l'efficienza energetica così raggiunta per mezzo del minore impiego di energia da parte di ogni particolare prodotto, viene alla fine compensata dalla crescente spesa assoluta di produzione. Come ha sintetizzato Tomasz Konicz, «l'aumento di produttività, il quale è in realtà indispensabile per poter realizzare una forma di economia che conservi le risorse, nel capitalismo agisce invece come un acceleratore del fuoco, dal momento che in questo caso una cieca razionalità funzionalista deve mettersi al servizio dell'irrazionale fine in sé della valorizzazione illimitata del capitale, che invece deperisce a causa delle sue crescenti contraddizioni». Ma dal momento che l'espulsione del lavoro è identica anche alla riduzione generale del potere d'acquisto nella sua forma di salario, ecco che l'unico modo per far circolare questa montagna di merci è spingere la domanda con «mezzi artificiali», attraverso il credito, l'indebitamento, il reddito di base, o anche, indirettamente, con la famigerata «espansione monetaria».
Non è un caso che nel passaggio alla «società post-industriale», cioè proprio sotto l'influsso della rivoluzione microelettronica e la riduzione radicale della popolazione direttamente coinvolta nella produzione, sia aumentata l'emissione di gas serra. Contrariamente a quanto si immagina, non viviamo una storia millenaria di inquinamento ambientale, bensì, piuttosto, un'accelerazione intensiva della distruzione a causa dell'«ipermodernità» capitalista in crisi: più della metà dell'anidride carbonica derivante dalla combustione di combustibili fossili è stata rilasciata nell'atmosfera negli ultimi tre decenni (WALLACE-WELLS, 2019), in coincidenza con l'onnipresenza del discorso idiota dello «sviluppo sostenibile». Qui vediamo come parlare di una «attività antropica» distruttiva in generale sia una cecità che impedisce di identificare con la crisi sistemica le dinamiche sociali ambientalmente corrosive e sempre più profonde. Qualsiasi «conflitto intergenerazionale» volto a indicare una maledetta eredità secolare proveniente dall'inquinamento del passato industriale, non si rende conto che la grande devastazione è stata portata a termine negli ultimi decenni, ed è avvenuta sotto gli occhi di gran parte di quella che era una giovane popolazione mondiale (e che oggi ha in media 30 anni). È questo è il motivo per cui stiamo ora assistendo a un'accelerazione radicale dell'effetto serra globale: gli ultimi quattro decenni sono stati, in successione, più caldi di qualsiasi altro decennio che li ha preceduti dal 1850 (IPPC, 2021, p.6), e gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati.
Si può perfino arrivare a pensare che questa accelerazione abbia a che fare con il fatto che, mentre gli apologeti del nuovo ordine globale inneggiano alla «società post-industriale» - e anche la sinistra comincia a vaneggiare a proposito di progetti che associno «sviluppo economico» e «transizione energetica», senza mai mettere in discussione l'economia di mercato stessa - la macchina capitalista continua a riscaldare la caldaia globale attuando quella che è una vera e propria regressione energetica finanziata dal capitale fittizio. Sebbene, dovuto ad alcune cicliche battute d'arresto annuali, nell'ultimo mezzo secolo il consumo mondiale di carbone è aumentato: un'involuzione storica [*2]. Durante la pandemia, i maggiori consumatori mondiali di tale risorsa hanno annunciato l'espansione dell'utilizzo di questa tradizionale fonte di energia della prima rivoluzione industriale. La «rivoluzione dell'olio di scisto», che ha ribaltato la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio estero e ha riguardato diverse economie esportatrici (il Venezuela, per esempio), dipende fondamentalmente dall'emissione di denaro e da tassi di interesse di base negativi (Cfr. VERLEGER JR., 2001). E i sussidi e gli investimenti nei combustibili fossili sono ben lungi dal diminuire:
« Solamente tra il 2016 e il 2018, con l'accordo di Parigi già in vigore, 33 banche canadesi, cinesi, europee, giapponesi e statunitensi hanno convogliato 1,9mila miliardi di dollari nell'industria dei combustibili fossili, seguendo anno dopo anno una traiettoria di aumento di tali finanziamenti: 2016 - 612 miliardi di dollari; 2017 - 646 miliardi di dollari e 2018 - 654 miliardi di dollari. Per farsi un'idea del contesto, nel 2018 gli investimenti nell'energia solare sono stati di 131 miliardi di dollari [...], vale a dire, solo un quinto degli investimenti diretti nei combustibili fossili che ci sono stati in quello stesso anno, e meno di quelli che sono stati i finanziamenti ai combustibili fossili di JP Morgan Chase in quel triennio (196 miliardi di dollari). Nel 2017, i trasferimenti di risorse all'industria delle sabbie bituminose sono cresciuti del 111% rispetto al 2016, essendo questo il settore più finanziato all'interno dei combustibili fossili (Hill, 2018). In questo stesso periodo di tre anni, i tre più grandi gestori finanziari del mondo - The Vanguard Group, State Street Corporation e Blackrock - hanno convogliato 300 miliardi di dollari di investimenti nell'industria dei combustibili fossili. Blackrock, il più grande gestore di fondi al mondo, con 7.000 miliardi di dollari di patrimonio, è anche il più grande investitore in nuove miniere di carbone, uno dei più grandi investitori in petrolio e gas, e il più grande investitore americano nella distruzione della foresta pluviale. Tutti insieme, questi «Tre Grandi» gestiscono beni più grandi di quanto sia il PIL della Cina; e dal 2016 i profitti relativi al carbone, petrolio e gas che gestiscono, sono aumentati del 34,8% » (MARQUES, 2020).
A partire da questa tendenza, il risultato non può essere altro che l'accelerazione della combustione planetaria. A causa delle temperature più alte, incendi catastrofici hanno battuto i loro record in Portogallo nel 2017 e nel nord Europa nel 2018. Si sono moltiplicati sulla costa occidentale degli Stati Uniti nel 2018 e nel 2019, e poi anche in Africa centrale, così come nel Pantanal e in Amazzonia, quando la fuliggine accumulata nell'aria ha coperto il sole a San Paolo (agosto 2019). Anche in Australia, incendi storici hanno devastato parte del paese tra il 2019-2020, e il fuoco ha continuato a consumare varie regioni del pianeta, quando la NASA ha riferito che gli incendi avevano battuto ogni misurazione mai registrata: «gli incendi nel Nuovo Galles del Sud (Australia), nell'Artico siberiano, sulla costa occidentale degli Stati Uniti e nel Pantanal brasiliano sono stati i più grandi mai registrati, e questo sulla base di 18 anni di dati sugli incendi forestali globali.» Nelle ultime settimane di quest'anno, le temperature record e la siccità sono state responsabili dell'incendio delle foreste in Canada, Stati Uniti e Brasile. In questo momento, tutto il bacino del Mediterraneo sta sopportando incendi giganteschi, sia nei paesi africani (Algeria), che in quelli europei (Grecia, Turchia, Spagna, Italia, Portogallo), o mediorientali (Israele). In Siberia, secondo Greenpeace, è forse in atto il più grande incendio della storia.
A causa di questi incendi, o wildfires, solo negli ultimi cinque anni sono state sfollate milioni di persone, ma gli effetti devastanti di questa combustione mondiale vengono negati dal negazionismo radicale, sono minimizzati dal negazionismo epistemologico, oppure semplicemente ignorati dall'indifferenza dell'«opinione pubblica» internazionale, che al telegiornale mostra immagini di routine di incendi e poi, subito dopo gli spot pubblicitari, parla dell'importanza di ridurre l'utilizzo dei sacchetti di plastica e loda le nuove tecniche di energia pulita [*3].
Ma l'inventario della fine del mondo - elaborato a partire dall'indagine degli scienziati - non lascia alcun dubbio sul grado di annichilimento ambientale a partire dall'aumento delle temperature. In Australia, negli incendi del 2020, si è stimato che 2,8 miliardi di animali siano morti, o si siano stati spostati a causa del fuoco e della siccità. Recentemente, l'ondata di calore che ha colpito il Pacifico alle alte latitudini degli Stati Uniti e del Canada ha causato la morte di più di un miliardo di animali marini, molti dei quali sono stati letteralmente cotti dall'aumento della temperatura dell'acqua. Non c'è una stima precisa di quale sia stato l'impatto che hanno avuto gli ultimi incendi in Amazzonia sulla biodiversità, ma negli incendi del Pantanal dell'anno scorso, quando circa il 26% della vegetazione venne distrutta, i calcoli iniziali stimavano in 10 milioni il numero di animali colpiti; ora gli scienziati parlano di 4,65 miliardi di animali morti, feriti o sfollati. Una nuova estinzione di massa si sta dispiegando sotto i nostri occhi, anch'essa causata dal cambiamento climatico globale (WALLACE-WELLS, 2019), proprio come è avvenuto nel passato geologico, ma ora viene causata dal capitalismo in quanto «macchina di combustione globale» (Konicz).
Tutti questi eventi indicano anche come sia in atto un «feedback» della catastrofe climatica. Quanto più la foresta viene bruciata, tanto più anidride carbonica viene rilasciata nell'atmosfera: quasi la metà di tutte le emissioni di gas serra in Brasile sono una conseguenza dalla distruzione dell'Amazzonia, ma ormai la riduzione della copertura vegetale sta annullando quella che era la funzione stessa della foresta come «serbatoio di carbonio», e sta invertendo il suo equilibrio naturale a favore delle emissioni [*4]. Nell'Artico, il riscaldamento e gli incendi sul permafrost stanno rilasciando progressivamente il metano che si era accumulato per millenni, e che ora potrebbe attivare la cosiddetta «pistola a clatrati». Infine, secondo un altro esempio di «rafforzamento sistemico», a causa dell'acidificazione, gli oceani, riscaldandosi, perdono gradualmente la capacità di trattenere l'anidride carbonica (cf. CAMPOS, 2014).
Le conclusioni sono inequivocabili: il processo di crisi economica capitalista, perfino malgrado quelli che sono i suoi squallidi indici economici, la sua «deindustrializzazione» e la disoccupazione di massa, si accompagna a una distruzione ambientale ancora più drammatica e irreversibile, a uno sfruttamento ancora più intenso e massiccio delle risorse naturali, che ora viene finanziato a credito. Abbiamo pertanto una relazione di «feedback» anche tra la crisi del capitalismo e il collasso ambientale [*5], che, come parte della vita quotidiana genera «catastrofi sociali della natura» (Robert Kurz). Ma la società capitalista al collasso, anziché aprire la strada a nuove forme di relazione e di innovazione sociale, soffia sul suo fuoco distruttivo usando il capitale fittizio per restare in piedi a ogni costo, e pur di continuare a produrre merci, rade al suolo campi e foreste, riducendo la biodiversità naturale e producendo, con la sua scienza e tecnologia high-tech, veri e propri mostri biologici, nel perseguimento continuo di un profitto ormai al collasso. Quelli rimasti esclusi dal processo economico dalla microelettronica e dall'automazione, ora si aggiungono ai rifiuti industriali, di cui entrano a far parte, attivando così una spirale di devastazione sociale e ambientale. Questa fiamma capitalista deve essere spenta, e va fatto prima che la sua logica feticistica incenerisca la vita sociale, ma per fare questo bisogna assumere una critica radicale delle categorie fondamentali di questa formazione sociale. E a tal fine, è necessario combattere un quarto negazionismo: quello che rifiuta di ammettere l'incompatibilità esistente tra la logica della merce, del denaro e del capitale ed il mantenimento della vita stessa.
- Maurilio Botelho - Pubblicato il 24/8/2021 su Blog da Boitempo -
NOTE:
[*1] - La relazione del 2003, "The challenge of the slums", dell'ONUN-Habitat, è stato la prima ad assumere un tono tetro, trattando di alloggi al di sotto degli standard e del degrado delle bidonville che coinvolge quasi un miliardo di persone nel mondo. I comunicati della FAO si sono distinti anche per aver messo in guardia dalla regressione globale: l'ultimo di questi comunicati sottolinea fino a che punto la crisi sanitaria del covid-19 abbia aggravato la già tragica pandemia di fame e carenza di cibo, amplificata anche dalla crisi climatica: «nel 2020, nel mondo, tra 720 e 811 milioni di persone hanno affrontato la fame; circa a fino 161 milioni in più rispetto al 2019. Quasi 2,37 miliardi di persone, nel 2020 non hanno avuto accesso ad un'alimentazione adeguata; con un aumento, in un solo anno, di 320 milioni di persone. Non è stata risparmiata una sola regione nel mondo.» (The State of Food Security and Nutrition in the World 2021, FAO-UN, Roma, 2021, p. vi).
[*22] – « Dal 1970, alle soglie della prima crisi petrolifera, il mondo ha utilizzato il carbone come fonte del 12% dell'energia primaria: una riduzione significativa rispetto al 1880, quando rappresentava il 97% della produzione di energia primaria. Nel 2010, la base energetica fornita dal carbone è risalita e ha raggiunto il 27%, e nel 2014 il 30,1% » (VILLAR; BOTELHO, 2018).
[*3] - Dato che i media sopravvivono grazie agli scandali quotidiani che poi vengono dimenticati il giorno dopo, se guardiamo l'agenda creata dagli inserzionisti e dalla convenienza politica dell'occasione, non sorprende che i nuovi indicatori mostrino l'enorme distruzione dell'Amazzonia avvenuta nel corso di un decennio senza che essa abbia la stessa ripercussione avuta nel 2019.
[*4] – « Tra il 2010 e il 2017, la più grande foresta tropicale del pianeta ha rilasciato annualmente, in media, alcune centinaia di milioni di tonnellate di carbonio in più rispetto a quello che essa ha rimosso dall'aria e immagazzinato nella sua vegetazione e nel suolo » (PIVETTA, 2020). Si vedano anche i dati più attuali che segnalano come l'Amazzonia orientale, la più colpita dall'espansione della frontiera agricola e dall'urbanizzazione, oggi emetta più gas a effetto serra (PIVETTA, 2021).
[*5] - Per altro, la crisi ambientale approfondisce le forme distruttive assunte dal collasso capitalista, e così persino un autore che pensa ancora in termini di «crisi cicliche» riesce a vedere una nuova era di crisi economiche nelle quali i «costi crescenti delle crisi ambientali assumono [sempre più] il ruolo di protagonisti» (MARQUES, 2015).
Riferimenti Bibliografici
- Edmo J. D. Campos. "O Papel do Oceano nas Mudanças Climáticas Globais". Su "Revista USP", n. 103, p.55-66, 2014.
- Mike Davis. "A apocalíptica «segunda natureza» da Califórnia". Su "Revista Ihu On-line", 29 set. 2020.
- "Intergovernmental Panel on Climate Change" (IPCC), Climate Change 2021: The Physical Science Basis (Summary for Policymakers), 2021.
- Tomasz Konicz. "Die Weltverbrennungsmaschine: Warum ein ressourcenschonender Kapitalismus prinzipiell unmöglich ist." su "Neues Deutschland", 22 jan. 2021.
- Luiz Marques. "O colapso socioambiental não é um evento, é o processo em curso". Su "Revista Rosa", série 1, mar. 2020.
- Luiz Marques. "Capitalismo e colapso ambiental". Editora da Unicamp: Campinas, 2015.
- Philip K. Verleger. "QE and Oil Prices: Why the United States will be the new arbiter of oil inventories". Su "The International Economy", 2001, p. 56-59.
- André Gomez Villar & Maurilio Lima Botelho. "O fim do «capitalismo verde». su "Sinal de Menos", ano 10, n. 13, 2018.
- Marcos Pivetta. "Amazônia, agora, é fonte de CO2." Su "Revista Pesquisa Fapesp", ed. 287, jan. 2020.
- Marcos Pivetta. "A Amazônia perde o gás." Su "Revista Pesquisa Fapesp", ed. 306, ago. 2021.
- David Wallace-Wells. "La Terra inabitabile. Una storia del futuro." , Mondadori. 2020.
fonte: Blog da Boitempo