L'escalation della guerra d'ordine mondiale in Ucraina
- di Herbert Böttcher -
1. Contesti strutturali
Ai fini della valutazione della guerra contro l'Ucraina, appaiono decisivi quei contesti strutturali in cui si inseriscono le azioni degli attori: soprattutto il collasso dell'ordine mondiale dominante (*1) e dei suoi imperi (*2) visto nella crisi del capitalismo. Un collasso che non può essere limitato solo agli "Stati in dissoluzione" della periferia. Questi processi di disintegrazione interessano anche quelli che sono stati i vecchi imperi bipolari, orientale e occidentale, i quali hanno dovuto anche fare i conti con la concorrenza della Cina. Sembra che si stiano cristallizzando due nuovi blocchi: la Cina e la Russia da un lato, e gli Stati Uniti, con i loro alleati in Europa occidentale e nella regione del Pacifico, dall'altro (*3). In questa costellazione, la competizione per la sopravvivenza nella crisi del sistema mondiale capitalista si svolge, per esempio, sotto forma di lotta per l'accesso alle materie prime, per quella che è la valuta di riferimento a livello mondiale, o per le zone di influenza. In tal senso, la guerra per l'Ucraina è una lotta per la sua adesione ai blocchi che si sono formati recentemente. A differenza del precedente conflitto Est-Ovest, combattuto essenzialmente nella fase di prosperità fordista, ora si tratta dei tentativi di superare le crisi associate alla disintegrazione del sistema mondiale. Nel 1989, l'Occidente capitalista riteneva di aver vinto sull'Est collassato. Non si era capito che non si trattava di un concorrente sistemico, ma piuttosto del «fratello gemello» dell'Occidente capitalista che era arrivato al capolinea: la variante statalista della produzione di merci che non era più competitiva con l'Occidente e che non era più in grado di competere con la rivoluzione microelettronica. Non ci si rese conto che un simile fallimento preannunciava l'aggravarsi della crisi del capitalismo, nella quale il limite logico interno della produzione di merci marcava in maniera sempre più chiara anche quali fossero i limiti dello sviluppo in Occidente. L'errore, di fronte a cui l'Occidente ha finito per soccombere non è stato - come più volte sostenuto – illudersi sulla pace perpetua, che ha portato a sottostimare il desiderio imperiale della Russia, quanto piuttosto illudersi di aver vinto sul presunto concorrente sistemico; cosa che ha consentito che ci si vaneggiasse per la «fine della storia» (Francis Fukuyama), che si sarebbe conclusa nel mercato e nella democrazia, ignorando quelli che sono i suoi processi di crisi e disintegrazione.
2. Fenomeni di crisi nell'Occidente "vittorioso"
La crisi si manifesta per mezzo di fenomeni familiari: processi di divisione sociale, indebitamento, distruzione delle basi ecologiche della vita, disintegrazione degli Stati, guerre (civili), migrazioni e fughe, insomma «strategie di rielaborazione» ideologiche e violente... Inizialmente, i paesi dei centri occidentali sono riusciti ad ammortizzare i processi di crisi dislocandoli all'estero: gli Stati Uniti attraverso i circuiti del deficit, dove - grazie al dollaro come valuta globale - è stato possibile, nel quadro di una vera e propria economia della bolla finanziaria, mantenere per decenni un indebitamento esorbitante. Tuttavia, ciò nonostante la crisi negli Stati Uniti non ha potuto essere ignorata. Inoltre, la situazione degli Stati Uniti è stata caratterizzata anche dalla deindustrializzazione e dall'elevato indebitamento. Ragion per cui, lo status del dollaro USA, in quanto valuta di riserva mondiale, non era più espressione di una forza economica. Alla base del dollaro come valuta di riserva mondiale, e alla base della ragione degli investimenti sicuri negli Stati Uniti c'era e continua a esserci la sua forza militare. La Germania, con il "modello di successo" dell’ Hartz IV e la conseguente riduzione del costo del lavoro, che godendo di vantaggi competitivi e aumentando la produttività, è riuscita a diventare (vice)campione mondiale delle esportazioni, e finanziando le sue eccedenze di esportazione per mezzo dell'indebitamento dei Paesi importatori della periferia europea e mondiale. Questo "successo" non era l'espressione di un'accumulazione riuscita, ma solo il risultato di una migliore gestione dell'amministrazione della crisi. A livello globale, la crisi si è rivelata soprattutto con il fallimento di ogni tentativo di creare un ordine politico-economico per mezzo dell'intervento militare nei processi di disintegrazione. Per gli Stati Uniti - e per gli Stati ad essi legati nella NATO come coalizione dei «disponibili» - non era più possibile continuare a mantenere il ruolo di gendarme del mondo, e quindi di garante dell'ordine capitalistico, come si era reso evidente, al più tardi, dopo la crisi in Siria e il fallimento in Afghanistan. A partire dagli anni Settanta, i processi interni di disintegrazione si sono sovrapposti all'apparente vittoria superiorità sull'«Est». Dal 1990, il territorio della NATO si è esteso per circa 1.000 chilometri in direzione della frontiera russa. Da allora in poi, 14 Paesi sono entrati a far parte della Nato (*4); e altri due potrebbero presto seguirli. Questo ha infranto le promesse verbali, di non espandere la NATO verso est, che erano state fatte dal governo tedesco nel 1989/90. In tal modo, la Russia "sconfitta" è diventata un fattore insignificante nei calcoli di potere. Le garanzie di sicurezza richieste dalla Russia sono state rifiutate, mentre, allo stesso tempo, sotto i presidenti Bush e Trump, venivano annullati importanti trattati di controllo degli armamenti, nel momento in cui, simultaneamente, quegli stessi armamenti hanno continuato ad aumentare.
3. La crisi in Ucraina e la crisi in Russia
Ora vediamo che c’è grande allarme, perché la Russia vuole affermarsi come grande potenza, e assicurarsi le proprie sfere di influenza in modo simile agli Stati Uniti e all'Europa. Non a caso, tutto ciò è incentrato sulla guerra contro l'Ucraina, la quale, con il sostegno dell'Europa e degli Stati Uniti, è stata spinta su un binario filo-occidentale. L'orientamento filo-occidentale non è una semplice espressione di libera autodeterminazione, ma si integra nella crisi globale. In quanto Stato in erosione, l'Ucraina era diventata un centro servizi per oligarchi di vario colore. Alcuni di quegli oligarchi, e con loro il cosiddetto movimento democratico, hanno visto nel legame con l'Occidente una via d'uscita dalla «lotta degli oligarchi e dalla disintegrazione». Un simile percorso prometteva democrazia e diritti umani, mentre sottoponeva l'Ucraina a un regime di aggiustamento strutturale nel solito modo che impoveriva ulteriormente la popolazione impoverita, e allo stesso tempo cercava di spingere gli ucraini alla ricerca di posti di lavoro al di fuori dei mercati del lavoro europei; con l'eccezione della manodopera a basso costo impiegata nelle coltivazioni, nell'assistenza e nella prostituzione. Grazie alla penetrazione economica e politica dell'Occidente, l'Ucraina è diventata così un luogo di produzione a basso costo - oltre a essere un consumatore indebitato di beni occidentali - allo stesso modo in cui lo sono gli altri Paesi dell'Europa orientale e meridionale. Mentre l'Occidente limitava sempre più la sfera d'influenza della Russia per mezzo dell'espansione verso est dell'UE e della NATO, la Russia deindustrializzata veniva sempre più spinta nel ruolo di fornitore di energia e di materie prime. Ovviamente, con la guerra contro l'Ucraina, la Russia intende, attraverso la forza militare e la megalomania ideologica, porre un limite - seppur illusorio - a tutto ciò, affermando il suo status di grande potenza nella sua storica sfera di influenza.
4. Autocrazia russa contro democrazia occidentale?
4.1. L'autocrazia russa
In sostanza, la deindustrializzazione della Russia è stata il risultato delle riforme neoliberali attuate da Eltsin con il sostegno dell'Occidente, e i cui gli effetti di massiccio impoverimento di una gran parte della popolazione sono ben noti. Il rovescio della medaglia dell'impoverimento, è stata la crescente ricchezza dei cosiddetti oligarchi, i quali allo stesso tempo hanno acquisito influenza politica. Putin viene associato a quella che è stata la riorganizzazione autoritaria del capitalismo russo. Alcuni consolidamenti economici non avrebbero potuto comunque cambiare il fatto che la Russia avrebbe dovuto assumere sempre più il ruolo di fornitore di energia e di materie prime. Al di là di questo, inoltre, negli Stati confinanti della Bielorussia e del Kazakistan sono in corso delle proteste sociali esplose a causa dell'erosione economica. In Kazakistan, l'aumento dei prezzi del gas e dei beni di prima necessità, nonché il crescente impoverimento della popolazione, hanno scatenato rivolte sociali. I sogni che aveva fatto la Russia, di un blocco eurasiatico indipendente tra l'UE e la Cina, sono stati frustrati dai processi sociali e geopolitici di disintegrazione. La vendita di materie prime ed energia, così come l'espansionismo militare, come lo si è visto ai confini della Russia (Cecenia, Georgia, Kazakistan...), ma anche in Siria, Libia e nel Sahe (*5), avevano lo scopo di consolidare lo statuto della Russia in quanto potenza centrale.
Si presti attenzione alla «musica di accompagnamento» ideologica, intesa a legittimare un Grande Impero Russo in termini di fondamentalismo religioso. La conquista della Crimea è stata giustificata a partire dal significato sacro e religioso, che la penisola avrebbe per la Russia, dal momento che avvenne in Crimea, nel 988, che il Gran Principe Vladimir di Kiev accettò il cristianesimo. Il filosofo reazionario Ivan Ilyin (1883-1954) intende lo Stato come comunità organica, governata e tenuta insieme da un monarca comprensivo e solidale. In piena epoca postmoderna, Aleksander Dugin sostiene che la verità è una questione di fede, e che esiste una peculiare verità russa. Questo pensiero (*6) si muove in stretta relazione con le idee di identità etnica, che nelle guerre di ordine mondiale combattute nei Balcani degli anni Novanta sono sempre andate di pari passo con il genocidio. Nell'ambito di idee del genere, il confronto con l'Occidente viene a essere culturalmente e religiosamente caricato in maniera fondamentalista. La Russia difende la propria identità religiosa e culturale contro il declino religioso e morale dell'Occidente. In questo modo, si delineano i contorni di una «guerra di civiltà» (Samuel P. Huntington), per la quale nutriva simpatie anche George Bush. In ogni caso, le strutture familiari tradizionali, i "valori" e la religione vanno posizionati come se fossero dei baluardi di un ordine stabile - accompagnati dalla demonizzazione dell'omosessualità e del femminismo, così come dall'esaltazione del patriarcato. Sono queste probabilmente le ragioni per cui il patriarca di Mosca, Cirillo, appoggia la guerra di Putin, vista come lotta contro l'arbitrio occidentale, e come protezione dei «fratelli e sorelle ucraini contro le forze del male» (*7). Anche la simpatia e il sostegno proveniente dalla scena del pensiero trasversale e dei circoli di estrema destra (*8) vanno compresi visti sullo sfondo della lotta contro i valori e gli orientamenti decadenti. secondo Jürgen Elsässer, Putin sta combattendo contro il «neocomunismo di Bruxelles; una "UE delle RSS" dotata di una "economia pianificata eco-socialista", di correzione politica, e distruzione dei valori tradizionali del cristianesimo e della famiglia» (*9). L'Ucraina, che viene vista come appartenente alla Russia a causa della sua identità, deve essere riportata nell'«impero» cui «originariamente» apparteneva. Tutti i Paesi che potrebbero trovarsi a essere annoverati tra le brume di un Grande Impero Russo hanno davvero seri motivi per preoccuparsi. Questo vale anche per la Polonia, che nella sua storia è stata più volte vittima degli interessi della (Grande) Russia e della Germania.
4.2 Valori occidentali e democrazia
Se paragonate a queste grandi fantasie russe, le "narrazioni" occidentali di libertà, democrazia e diritti umani non sono per niente e in alcun modo razionali, ma hanno anch'esse un carattere identitario. Sono indissolubilmente legati alle relazioni capitaliste di dominio in quella che è la loro forma liberale. Sono esse che segnano le condizioni della loro validità. Quanto più la crisi avanza, tanto più il liberalismo capitalista si basa anche su strutture e ideologie autoritarie e repressive, in analogia con la storia dell'imposizione del capitalismo; quasi si trattasse di un film della stessa storia che ora va all'indietro, solo più velocemente. Il sistema di produzione delle merci - che è andato a sbattere contro i propri limiti logici interni, e con quelli ecologici esterni, del quale facevano parte anche tutte le presunte alternative socialiste - sta andando ora sempre più fuori controllo; come possiamo vedere dal modo in cui tratta coloro che, in quanto materiale umano superfluo, non possono più essere valorizzati, e vengono perciò trattati come se fossero scarti e rifiuti, oltre che dal modo in cui affronta la catastrofe climatica. Il livello politico sta perdendo il suo margine di manovra. Le istituzioni statali si trovano ad affrontare i propri limiti funzionali insieme a delle possibilità di finanziamento sempre più ridotte. L'anomia si diffonde sempre più, in quelli che sono i conglomerati dei contesti statali, oligarchici e mafiosi di difficile comprensione, fino ai «signori della guerra» (10); cosa evidente anche nella guerra contro l'Ucraina, con l'entrata in gioco, da entrambe le parti, di brutali eserciti mercenari e bande. In ultima analisi, i processi di disgregazione non possono più essere superati per mezzo di escalation autoritarie-repressive, le quali in questi processi finiscono per perdere la propria base. Pertanto, l'autoritarismo non è l'opposto del liberalismo, bensì il suo indispensabile rovescio (*11). A somiglianza di quelle che, dopo il 1989, sono state le allucinazioni della vittoria dell'Occidente sul comunismo, ecco che ora una delle "illusioni" dell'Occidente diventa quella di dover difendere l'Ucraina da un dittatore fuori controllo, oltre che difendere l'Occidente libero e democratico da un Oriente autoritario dominato dalla Russia.
Secondo il giudizio di Augusto Pinochet, l'Est e l'Ovest si incontrano in modo distorto. Putin viene considerato un ammiratore di Pinochet. Le democrazie occidentali si sono opposte al suo colpo di Stato contro un governo eletto, altrettanto poco di quanto si sono opposte al suo annientamento del popolo; dal momento che si trattava di difendere l'economia di mercato contro il socialismo e il comunismo, nell'attuazione del primo progetto neoliberista attuato con l'aiuto degli "economisti" della Scuola di Chicago riuniti attorno a Milton Friedman. Con lo slogan «Lo stato sociale rende schiavi. Lo Stato di polizia rende liberi», Franz Hinkelammert aveva riassunto la sua critica a questo progetto. Nel 1993, in qualità di secondo sindaco di San Pietroburgo, Putin spiegò ai rappresentanti dell'economia tedesca che egli considerava una dittatura militare sul modello cileno come una soluzione auspicabile per quelli che erano i problemi della Russia di allora. Secondo la logica dell'auto-immagine neoliberale, utilizzata per giustificare la dittatura di Pinochet, egli distingueva tra violenza "criminale" e violenza "necessaria". La "violenza criminale" mirava a eliminare le condizioni dell'economia di mercato, mentre la "violenza necessaria" serviva a proteggere gli investimenti del capitale privato. Di conseguenza, vennero accolti espressamente i preparativi di Eltsin, e dei militari, per una dittatura sul modello di Pinochet. I verbali riportano gli applausi dei rappresentanti delle aziende tedesche presenti e del vice console generale tedesco (*12). Le varianti liberali e autoritarie nel quadro della produzione di merci convergono riguardo alla disponibilità a una repressione violenta che «cammina sui cadaveri». L'aspetto autoritario-repressivo è insito nel carattere liberale della produzione di merci.
5. Dinamiche di escalation e follia
Il cancelliere Scholz - applaudito dalla coalizione e dalla CDU - ha proclamato «l'inizio di una nuova era», e di conseguenza ha lanciato un gigantesco programma di armamenti, già di per sé espressione della militarizzazione della politica. Tuttavia, si era astenuto recisamente alla fornitura di armi, soprattutto le cosiddette armi pesanti, giustificando questa restrizione con il pericolo di un'escalation nell'uso di armi nucleari. Il Cancelliere, reticente all'inizio, è stato tuttavia sottoposto a crescenti pressioni, prima attraverso un dibattito alimentato dai circoli dei Verdi e dell'FDP, e infine attraverso le pressioni degli Stati Uniti e di altri Paesi della NATO, come è emerso in occasione dell'incontro a Ramstein organizzato dal Segretario alla Difesa statunitense.
5.1 - L'escalation di un dibattito confuso e insensato
Il dibattito sull'effimera limitazione della fornitura di armi da parte del cancelliere tedesco, dimostra che a quanto pare non può esserci alcuna limitazione, ma è ammissibile solo «di più» e «ancora di più», persino quando questo può portare a un'ulteriore escalation della guerra. Si ha come l'impressione che solo un numero sempre maggiore di forniture di armi possa aiutare l'Ucraina. Vengono presentate come se si trattasse di un metro di giudizio morale dell'assunzione di responsabilità, e vengono connotate come un'espressione di solidarietà con l'Ucraina. I pericoli di un'escalation verso una guerra nucleare vengono ignorati, e si banalizza l'uso delle armi nucleari. Strack-Zimmermann dell'FDP afferma di non voler essere «costantemente influenzato dagli scenari militari». Chi non fornisce immediatamente delle armi pesanti, rischia di fatto una «terza guerra mondiale», come ha affermato Anton Hofreiter dei Verdi. Michael Theurer (FDP), alla radio pubblica Deutschlandfunk (*13) ha parlato di «confronto nucleare» e ha dato l'impressione che una guerra nucleare può essere combattuta in quanto può essere controllata. Tutto ciò ricorda un'«operazione speciale», ha commentato Katharina Körting (*14).
La questione di sapere quando la Germania potrebbe essere considerata coinvolta nella guerra, è diventato un punto cruciale del dibattito sulla fornitura di armi. Il ministro federale liberale della Giustizia, Buschmann, che ha consultato il Manuale di diritto internazionale, ha qualche consiglio da dare. Secondo lui, le consegne di armi non dovrebbero essere considerate come una partecipazione alla guerra. Questa dovrebbe essere considerata solo a partire dall'addestramento all'uso. «Solo se, oltre alla fornitura di armi, fosse messa in questione anche l'istruzione della parte in conflitto o l'addestramento all'uso di tali armi, si uscirebbe allora dall'area sicura della non guerra», questo secondo una perizia del servizio scientifico del Bundestag »(*15). E quindi: «Via libera alle armi pesanti dalla Germania». In ogni caso, siamo già un passo avanti: da metà maggio, a Idar-Oberstein, in Renania-Palatinato, dei soldati ucraini sono stati addestrati all'uso di queste armi. Ma anche questo non sarebbe sufficiente. Marie-Luise Beck dei Verdi chiede addirittura una no-fly zone. Ovviamente ora non ci possiamo fermare. Putin viene giustamente accusato di violare il diritto internazionale, ma d'altra parte finge di rispettare le definizioni del diritto internazionale quando si tratta di una nuova entrata in guerra. Putin viene dichiarato malvagio, imprevedibile e folle, mentre allo stesso tempo i giocatori del rischio nella disputa bellica, a partire da calcoli razionali, si fidano del fatto che non egli non dia inizio a un «confronto nucleare». E se dovesse farlo, ci sono opzioni alternative a un'ulteriore escalation. In tempi di dibattiti sul disarmo, il movimento per la pace è stato accusato di «etica delle buone intenzioni». Non senza ragione, se ciò significa che le esigenze morali derivano, senza ulteriori indugi, da dei principi generali. Ma ora avviene il contrario. I bellicisti basano la richiesta morale di consegnare armi pesanti direttamente sulla sofferenza degli ucraini. Non c'è limite a ciò che si può aggiungere. In un tale slancio di buone intenzioni, il sentimento radicato, fomentato dalla rabbia e dall'indignazione, finisce per regnare sovrano. In questa dinamica, la questione della fornitura di armi pesanti diventa una questione di compromesso. L'attuale "domanda chiave" è: Cosa ne pensa delle armi pesanti? E questa, allo stesso tempo, diventa anche una prova di lealtà e umanità.
È scoppiata una tempesta di indignazione morale, nel momento in cui è stata pubblicata una lettera a Scholz firmata da un gruppo di pubblicisti e artisti. In essa si metteva in guardia da un'escalation della guerra, e rispetto alle sofferenze che la cosa avrebbe causato al popolo ucraino. Gli autori avevano fallito la prova di lealtà. Ora dovevano sopportare di essere chiamati «intellettuali con un'inclinazione al paternalismo» e «combattenti in casa» (probabilmente dalla parte di Putin?). La protesta di Habermas circa l'«impetuoso impulso moralizzatore della leadership ucraina determinata a vincere» e le richieste di un «compromesso» sono viste dagli intellettuali tedeschi - che «non fanno una bella figura quando si tratta della guerra di aggressione della Russia» - come una «dichiarazione di giuramento di libertà e umanità» (*16). Il verdetto anticipato del tribunale mondiale è stato emesso da Jan Böhmermann: «La lettera aperta a Olaf Scholz manda un segnale rassicurante: se Putin attacca la Germania con armi nucleari, i danni intellettuali saranno comunque limitati» (*17).
6 - «America locuta, causa finita» ?
Probabilmente, i dubbi e le esitazioni del Cancelliere sono cessati alla vigilia dell'incontro, a Ramstein, del Segretario alla Difesa statunitense con i colleghi degli altri Paesi NATO e di 14 Paesi non NATO. A dover essere fornite, ora non sono solo le armi pesanti «di fabbricazione tedesca». È stato anche deciso - nonostante le indicazioni del diritto internazionale - di addestrare i soldati ucraini in Germania, in collaborazione coi Paesi Bassi e gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, nel contesto dell'incontro è emerso chiaramente che la strategia statunitense non mira semplicemente al diritto di difesa dell'Ucraina, ma - come ha chiarito il Segretario di Stato alla Difesa Austin durante la sua visita congiunta in Ucraina insieme al Segretario di Stato Blinken - «a indebolire la Russia, fino al punto in cui essa non sarà più in condizione di fare ciò che ha fatto allorché ha invaso l'Ucraina». Già ha perso molte delle sue capacità militari e - viene spesso detto - molte delle sue truppe (*18). Alla fine del mese di Aprile, il New York Times ha affermato che «ora Washington non è più in lotta per il controllo dell'Ucraina, ma si trova in un conflitto che contrappone gli Stati Uniti più direttamente alla Russia» (*19). Ciò equivale a indebolire in maniera permanente la Russia, in modo da eliminarla, in quanto concorrente, nella lotta per le nuove costellazioni geopolitiche.
Non si tratta semplicemente del diritto all'autodeterminazione dell'Ucraina, ma di difendere la normalità liberale occidentale indebolendo la Russia, ovvero, della lotta per delle nuove costellazioni geopolitiche in cui i confini della NATO siano spostati il più possibile verso est. In questo processo, l'Ucraina diventa un campo di battaglia. La guerra in corso in Ucraina sta causando sempre più morti, ha distrutto città e villaggi, ha distrutto i mezzi di sussistenza. Coloro che dovrebbero essere difesi vengono sacrificati alla normalità occidentale. Coloro che alimentano la guerra da lontano (stando ancora al sicuro), e ne venerano i suoi attori e le sue vittime come se fossero eroi, diventano alla fine dei «combattenti in patria», che incaricano altri di combattere la guerra in loro nome. Allo stesso tempo giurano, dichiarano che cosa ciò implichi per la libertà e per l'umanità occidentale: quando vengono usate per la guerra, le persone diventano materiale strategico. I rifugiati sono i benvenuti, se servono alla guerra e alla sua legittimazione; a patto che essi abbiano il "giusto" colore della pelle (*20). Se invece sono superflui e incapaci di contribuire alla valorizzazione, allora possono annegare nel Mediterraneo, o morire dissanguati alle frontiere sul filo spinato della NATO, possono essere messi nei campi o deportati per venire consegnati nelle mani dei tanti "Putin".
Di questa logica fa parte anche il fatto che i difensori dell'umanitarismo occidentale e gli apostoli morali della guerra non pensino a quali sono i suoi effetti nell'aggravare la fame, nei disastri climatici, ecc. La minaccia di catastrofi alimentari diventa così una questione correlata solo con il blocco russo dei porti ucraini, perché, senza riferimento all'aggressore russo, la sofferenza di "semplici" persone che muoiono di fame rimane troppo remota per smuovere il cuore umano e la mente etica di un «combattente in patria», e ancor meno per offenderlo, e di certo non serve a dare al suo cervello «cibo per la mente». La minaccia di un embargo sul gas, invece, offre «spunti di riflessione». Ed è qui che inizia a incrinarsi la morale delle budella e dell'indignazione. Il presidente dell'associazione dei datori di lavoro, Arndt, mette in guardia circa le conseguenze economiche di una brusca interruzione delle importazioni di gas dalla Russia, perché «non dobbiamo solo mostrare forza morale, ma anche essere economicamente più forti delle dittature di questo mondo» (*21).
6. Considerazioni psicosociali
La crisi del capitalismo colpisce i soggetti anche in quella che è la loro costituzione psicosociale (*22). La base della costituzione psicologica dei soggetti, è costituita dal lavoro interiorizzato, e dalla famiglia in quanto luogo di socializzazione. Nella crisi del capitalismo, entrambe le istanze di socializzazione - le quali sono delle relazioni di dissociazione reciprocamente dipendenti - stanno sempre più collassando. Pertanto, le persone si ripiegano su sé stesse. Di fronte all'erosione delle relazioni lavorative e dei contesti sociali, viene supposto che le persone si assumano la responsabilità personale del proprio destino, ma anche del loro fallimento. L'autorealizzazione, viene richiesta in quanto auto-adattamento ai fenomeni di crisi, come il lavoro precario, il pericolo imminente di ritrovarsi fuori dalla classe media, se non addirittura diventare superflui e rimanere soli. L'autorealizzazione personalmente responsabile, diventa un adattamento rispetto all' essere costretti a sottoporsi - come «io aziendale» (*23) - allo stress permanente di una sorta di auto-ottimizzazione senza fine, per poter sopravvivere nella competizione e, in caso di fallimento, per assumersene la «responsabilità personale», e ricominciare nuovamente con l'ottimizzazione. Nuovo «biglietto della lotteria», nuova possibilità. La dinamica pulsionale che, nel contesto del lavoro interiorizzato, era orientata ad "auto-premiarsi", o a sentirsi ricompensata dopo aver rimandato la pulsione in attesa del lavoro e della prestazione, sta per raggiungere i suoi limiti. Insieme al legame tra lavoro e ricompensa, svaniscono anche le possibilità di sublimazione a livello psicosociale.
Sempre più persone ripiegate su sé stesse rischiano di perdere la loro connessione con il mondo degli oggetti. L'auto-ottimizzazione si trova associata al messaggio: «Puoi, se lo vuoi!» Indipendentemente dalle circostanze oggettive, le persone vengono messe alla prova per le loro capacità. Quando falliscono, finiscono per sentirsi piccoli e insignificanti, però si suppone anche che a partire da questo dovrebbero saper cogliere una nuova loro grandezza nei processi di auto-ottimizzazione. «Farsi grandi quando in realtà si è piccoli» e «accusare sé stessi e giudicarsi» - vale a dire, la variante depressiva del ripiegamento su sé stessi - sono due aspetti che vanno di pari passo. Entrambe le varianti «hanno difficoltà nel relazionarsi con il mondo degli oggetti,girano a vuoto, non riescono a trovare la strada che li porti agli oggetti» (*24). L'illusione di grandezza offre un modo per scongiurare la mortificazione narcisistica che si prova a «essere piccoli». In un simile contesto, l'autodistruzione può essere vissuta come se fosse l'espressione ultima dell'autorealizzazione, nella quale a essere messa in scena è la propria grandezza.
Come possono, le persone ripiegate su sé stesse, riuscire ad affrontare gli orrori della guerra e la loro minacciosa escalation? La guerra della Russia contro l'Ucraina, e la sua escalation che minaccia una guerra mondiale nucleare, coincide anche con altre crisi, le quali ci lasciano quasi senza respiro. La crisi del coronavirus non è ancora finita, e assai meno sono cessate le sue conseguenze economiche. Il collasso climatico si avvicina, mentre si manifesta, tra l'altro, con dei fenomeni meteorologici sempre nuovi e sempre più catastrofici. Guerra, coronavirus e clima aggravano le situazioni di crisi sociale per mezzo della scarsità, dell'interruzione delle catene di merci, dell'aumento dei prezzi. A tutto questo si mescolano le paure dovute alle ristrettezze, al degrado e alla morte. Per quel che riguarda la guerra della Russia contro l'Ucraina, è sorprendente come molti tendano a evitare l'argomento (*25). Si tratta di una sorta di paralisi depressiva, alimentata dall'impotenza di essere in balia di una dinamica incontrollabile e impenetrabile? Anche il coronavirus era imprevedibile, ma almeno c'erano maschere e vaccini per proteggersi. La crisi climatica si avvicina, ma appare ancora così lontana che molti ancora non la sentono sulla pelle.
Nei dibattiti pubblici spicca un estremo moralismo «di pancia», nel quale l'accusa agli altri si mescola con l'accusa a sé stessi, l'accusa a Putin con l'autoaccusa di averlo sottovalutato e aver ceduto a illusioni di coesistenza pacifica. Lo scagionarsi dalla colpa sembra risiedere nel boicottaggio economico, che arriva fino a includere il boicottaggio delle forniture energetiche russe, e richiede il rifornimento di «armi pesanti». Tale espiazione, soprattutto per quel che riguarda la fornitura di «armi pesanti», ricorda la vendita delle indulgenze, così come la possibilità che essa offriva di acquistare la liberazione dalla colpa. Ma soprattutto, in questo modo non può essere evitato il circolo di «colpa e colpevolizzazione». La fornitura di armi implica che queste armi vengano usate per uccidere e distruggere. Da un lato, i boicottaggi economici minacciano il livello della propria qualità di vita e sono legati al fatto che sono soprattutto i più poveri a dover sostenere i costi di tale "espiazione". E la liberazione, moralmente necessaria, dal proprio senso di colpa - per aver sostenuto Putin attraverso l'acquisto di energia - ha come effetto, nella ricerca di un approvvigionamento energetico responsabile, la dipendenza da altre figure e potentati moralmente e politicamente discutibili.
«Qualunque cosa si faccia, o ci si astenga dal fare, si diventa inevitabilmente colpevoli», afferma Stephan Grünewald (*26). Se non si vuole intendere questa affermazione come se fosse una rassicurante affermazione postmoderna circa un dilemma insolubile - semplicemente, come una delle tante tensioni e paradossi con cui dobbiamo convivere e agire - potremmo chiarirla grazie ad alcuni spunti tratti dal frammento di Walter Benjamin su "Capitalismo come religione" (*27). Secondo il quale, il capitalismo «è, presumibilmente, il primo caso di un culto che non toglie il peccato, ma genera la colpa. ... Un’immensa coscienza della colpa, che non sa togliersi il peccato, fa ricorso al culto non per espiare in esso questa colpa, bensì per renderla universale... e soprattutto includere Dio stesso in questa colpa» (*28). Includendo Dio nel contesto del sistema capitalistico del ciclo della colpa e della colpevolezza che non può essere redento, «la trascendenza di Dio» è «caduta» ma «non è morta»; al contrario, è stata «inclusa nel destino umano», ed è diventata uno «stato di disperazione del mondo», «che per ora ancora si spera» (29). La trascendenza così rimossa non scompare, ma diventa il feticcio dell'immanenza capitalista (*30). Nell'immanenza non c'è fuga da questo contesto feticista, e quindi c'è una colpevolezza permanente, ma nessuna espiazione. Nessuna azione può sfuggire al ciclo della colpa e della colpevolezza (*31). I soggetti, comunque condannati all'azione, si trovano a essere spinti avanti e indietro, tra impotenza e grandezza. Impotenti, si ripiegano su sé stessi, e vengono sempre incolpati, a diversi livelli: economicamente, quando hanno mal gestito o si sono mal gestiti; politicamente, quando hanno fatto le scelte sbagliate. Guadagnano grandezza nella loro illusione di essere autonomi e capaci di agire come soggetti. La grandezza politica appare nelle illusioni che vengono associate alla difesa impavida e risoluta della libertà occidentale, che si manifesta nella forza di non lasciarsi ricattare dall'«incarnazione» del male avvenuta in Putin. In questo modo l'«erosione autoritaria-anomica» dell'«Oriente» può essere semplificata in «un nuovo impero del male» (*32). Una delle ragioni per cui si oscilla tra impotenza e megalomania, o per cui ci si difende dall'impotenza facendo ricorso alla megalomania, è la perdita dell'oggetto e, quindi, di ogni riferimento alla realtà. Scompare nella morale dei princìpi «di pancia». Le indicazioni di azione pericolose e obbligatorie, derivano da principi giusti, che trovano espressione in principi generali, saggezze mondane e "senso comune", senza riflettere sulle condizioni sociali come oggetto di riflessione. Questo può alleviare temporaneamente le viscere moralmente disturbate e l'impotenza vissuta come umiliante. Ma in questo modo non si può sfuggire né all'impotenza reale né al contesto di colpa intrinseco alle relazioni feticizzate. Gli strumenti concettuali che potrebbero aiutare a comprendere ciò che sta accadendo, sono già stati smantellati in nome di un «pragmatismo senza illusioni», a partire dall'avversione postmoderna per i grandi concetti e per le grandi teorie in grado di abbracciare l'insieme delle relazioni, e a partire da una ostilità generale verso la teoria. Così facendo, il collegamento del pensiero con la realtà sociale è stato reciso. «Si vorrebbe che la vera contraddizione sociale - la quale non può più essere affrontata nel modo tradizionale - venga semplicemente bandita dal pensiero» (*33). Uno dei risultati di tali processi, è che chiunque, nel dibattito attuale, rifletta sul rifiuto della moralità viscerale deve aspettarsi di essere insultato, in quanto sponsor intellettuale e «combattente interno» che sta dalla parte di Putin.
7. La pericolosità della situazione attuale
Le aporie che si manifestano nella situazione bellica, sono a loro volta legate alla crisi del capitalismo, nei cui processi di disintegrazione è coinvolta anche la sovranità statale, compresa quella di Russia e Stati Uniti. In sostanza, i processi di disintegrazione sono caratterizzati dal fatto che il fine astratto e irrazionale della produzione di merci, la moltiplicazione del capitale fine a sé stessa, si scontra sempre di più con i suoi limiti e non può più realizzarsi, e viene compensata sempre meno dall'accumulazione che viene simulata sui mercati finanziari. Le bolle finanziarie scoppiano, e causano crisi economiche. L'economia e i mercati finanziari vengono "stabilizzati" per mezzo di nuove iniezioni di denaro, fino a ché le bolle non scoppiano di nuovo, e alla fine nulla può più essere compensato. Questo vuoto nel processo di valorizzazione, si manifesta a livello individuale nel vuoto dei soggetti, i quali insieme al lavoro perdono anche le loro basi sociali e psicosociali, e rischiano così di cadere a loro volta nel "nulla". «Dopo che il soggetto borghese illuministico si è spogliato dei quelli che sono i suoi abiti, diventa subito chiaro come il nucleo di questo soggetto non sia altro che il vuoto; una forma "in sé" senza alcun contenuto» (*35).
L'auto-annichilimento, accompagnato dall'annichilimento degli altri - come ci mostrano gli Amok -, diventa per il soggetto libero e sicuro di sé l'ultima via d'uscita dall'esperienza della propria impotenza e dall'umiliazione "autoinflitta" di ciò che è il suo vuoto senza prospettiva alcuna. Come possibilità , viene offerta quella di mostrare la grandezza insieme al potere nell'annientamento. A livello individuale, questa volontà di annientamento funziona come un duplice annientamento: «Da un lato, mira all'annientamento degli 'altri', apparentemente allo scopo della loro autoconservazione ad ogni costo; dall'altro, è anche una volontà di auto-annullamento che esegue l'insensatezza della propria esistenza nell'economia di mercato» (36).
Analogamente, a livello dei soggetti, è evidente un duplice potenziale di distruzione, a livello del contesto sociale globale: uno, dovuto alla normalità capitalista e alla sua applicazione, e uno, finale, quando questa normalità incontra i suoi limiti finali. «Il concetto di Amok democratico, ora può essere preso alla lettera, sul piano dell'azione militare. ... Quanto più la situazione mondiale diventa insostenibile e pericolosa, tanto più l'aspetto militare prende il sopravvento, e si è meno costretti a fare ricorso alla violenza high-tech su larga scala; senza nemmeno porsi troppe domande» (*37).
Il «mondo incontrollabile» e «l'incomprensibilità dei problemi» mobilitano una furia distruttiva diffusa. «Sul piano della psiche amministrativa del mercato globale, si replica esattamente ciò che accade nella psiche dei singoli autori di azioni Amok» (*38). Nel quadro di questa psicodinamica, anche l'annientamento nucleare diventa concepibile e praticabile. Nella crescente crisi della produzione capitalistica di merci, a confrontarsi non sono in alcun modo il bene e il male, la razionalità e l'irrazionalità, quanto piuttosto gli agenti e i soggetti che si trovano coinvolti nelle strutture di relazione irrazionali feticizzate, e in quelle che sono loro cariche normative e simboliche. Gli Stati nazionali, che sono in guerra tra di loro, o tra pericolose costellazioni di blocchi, sono parti del sistema feticistico e folle della produzione di merci, che ora sta affrontando i limiti della sua capacità riproduttiva, e all'interno del quale non può esistere alcuna coesistenza pacifica tra le persone. Nella difesa dal vuoto e dall'impotenza sperimentati, si potrebbe cercare un'ultima via d'uscita ricercando la propria grandezza nell'annichilimento atomico, visto come ultima espressione di una potente autoaffermazione volta a scongiurare la mortificante impotenza. «Nel mondo del capitale consumato, solo l'aperta e sincera follia è realistica. In queste condizioni, il cosiddetto pragmatismo assume necessariamente delle caratteristiche escatologiche» (*39).
Gustav Gundlach, un rappresentante della teoria sociale cattolica, ha chiarito come possa essere presentata teologicamente, anche ai tempi della "guerra fredda", un'escatologia così perversa. Il diritto e il dovere di difesa valgono incondizionatamente, anche di fronte all'annientamento di sé stessi e del mondo, perché: «Perfino nel possibile caso in cui dovesse rimanere come unica possibilità solo una dimostrazione della maestà di Dio e del suo ordine, che noi gli dobbiamo in quanto esseri umani, il senso del dovere e la difesa costituiscono i beni più alti concepibili. Sì, se durante il suo cammino il mondo dovesse finire, neanche questo sarebbe un argomento contro la nostra tesi» (*40). Tuttavia, seguendo Walter Benjamin, vediamo che la trascendenza di Dio è migrata nell'immanenza della socializzazione capitalista, come sua feticizzazione. Come se fosse un Dio «secolarizzato e reificato», Dio rappresenta ora la «forma di valore espressa nel denaro», l'«astrazione reale metafisicamente oggettivata dell'esistenza moderna» (*41). Bisogna che la «caduta del mondo» (*42) venga offerta in sacrificio, non a un feticcio trascendente, visto come espressione di un ordine ontologico, bensì alla maestà delle relazioni immanentemente feticizzate. Tale "religione" non è più «la riforma dell'essere, ma la sua distruzione» (*43). Gli esoteristi suonano la loro musica di accompagnamento in quelli che sono i loro aneliti di estinzione nella fusione con il cosmo - sogni che non sono diventati "moderni" solo nella postmodernità, ma che venivano già sognati fin dall'inizio dell'Illuminismo, e che sono ovviamente in voga in tempi di crisi, proprio allo stesso modo in cui lo erano prima dello scoppio della Prima guerra mondiale.
8. Quel che resta (da fare)?
Questa domanda ci lascia perplessi. Dalle considerazioni teoriche necessarie per comprendere, non si può trarre alcuna direttiva di azione; di certo, nessuna che sia inequivocabile. Inoltre, l'aporia con cui si scontra la questione dell'azione è dovuta alla "progredire" delle relazioni di crisi, in base alle quali il mondo viene spinto sempre più sull'orlo dell'abisso. Nell'immanenza non c'è alcuna via d'uscita, eppure, tuttavia, senza azione non se ne esce. Dal mio punto di vista, la decisione di sospendere ulteriori forniture di armi appare ovvia. Con sempre più armi, la sofferenza e la morte delle persone e la distruzione dello spazio vitale minaccia di richiedere sempre più vittime. Sarebbe come voler sostenere una forma vuota di Stato.
In questo modo, rinunciando a fornire armi, si potrebbe cercare di interrompere la dinamica dell'escalation. E questo potrebbe aprire una prospettiva simile a ciò che Walter Benjamin aveva in mente con il concetto di interruzione. Ci si oppone alla continuità del flusso del tempo, facendo sì che l'interruzione abbia la forza per poter riconoscere il presente. Si vuole interrompere il progresso insensato della modernità, il quale porta alla catastrofe. L'interruzione, anziché «Ancora di più dello stesso!», potrebbe aprire una breccia nel tempo che permetta una riflessione critica, e interrompere così quei percorsi che possono portare a una catastrofe globale, la quale va assai oltre ciò che viene sperimentato nelle catastrofi "normali" del capitalismo in crisi.
Per noi, la conoscenza del presente implica una «critica sociale radicale», intesa come «critica della metafisica terrena reale», e come «critica della costituzione feticista della società» (*44). Senza tale critica, è impossibile comprendere ciò che «sta accadendo» in quanto imbarbarimento e annichilimento nel contesto dell'aggravarsi della crisi del capitalismo. Nella sua riflessione, la «critica sociale radicale» interrompe il continuum delle relazioni feticiste. Mira a una «rottura totale e netta con la metafisica reale capitalista, con il principio economista della realtà e con il nomos della modernità» (*45). Prospettive realiste, solo nel senso di una riflessione che interrompa il continuum della normalità, una riflessione lucida e autocritica sul folle sistema sociale della produzione di merci e sulle sue crisi crescenti, dove è il sistema stesso a sembra diventare sempre più un Amok.
- Herbert Böttcher - 29/5/2022 - Pubblicato su Exit! -
NOTE:
(1) - http://www.obeco-online.org/rkurz456.htm
(2) - http://www.obeco-online.org/tomasz_konicz21.htm
(3) - Tomasz Konicz, Auf zum letzten Gefecht [L'ultima battaglia], in: Konkret 4/22.
(4) - Jan Varwick, Raus aus der Eskalationsspirale mit Russland, Telepolis 14.1.2022.
(5) - Sandro Mezzadra, Disertare la guerra, in http://www.euronomade.info/?p=14889
(6) - Andreas Umland, Das eurasische Reich Dugins und Putins. Ähnlichkeiten und Unterschiede: https://www.kritiknetz.de/images/stories/texte/Umland_Dugin_Putin.pdf.
(7) - Throalf Cleven, Des Kremls heiliger Krieg in ‚Kölner Stadt-Anzeiger‘ de 4.5. 2022.
(8) - Benjamin Bidder, Russlands rechte Freunde, https://www.spiegel.de/politik/ausland/russland-wladimir-putins-rechtsextreme-freunde-in-europa-a-1075461.html ; Patrick Gensing, Silvia Stöber, Moskautreue Rechte, 2016, https://www.tagesschau.de/inland/neurechte-russland-101.html.
(9) - in: https://taz.de/Querdenker-unterstuetzen-Putin/!5838247/
(10) - Gerd Bedszent, Zusammenbruch der Peripherie. Gescheiterte Staaten als Tummelplatz von Drigenbaronen, Warlords und Weltordnungskriegern, Berlin, 2014.
(11) - Robert Kurz, "Ragione Sanguinaria" http://www.obeco-online.org/livro_razao_sangrenta.html); Roswitha Scholz, "La democrazia continua a divorare i suoi figli; oggi ancora di più".
(12) - Pinochet als Vorbild [Pinochet como modello], Neues Deutschland de 31.12.1993, https://www.nd-aktuell.de/artikel/461493.pinochet-als-vorbild.html.
(13) - Katharina Körting, Debatte über Krieg und Aufrüstung: Fortschreitende Verharmlosung, in: der Freitag de 24.4.2022
(14) - Ivi.
(15) - Kölner Stadt-Anzeiger de 2.5.2022.
(16) - Markus Decker im ‚Kölner Stadt-Anzeiger‘ de 30.4./1.5.2022.
(17) - Kölner Stadt-Anzeiger de 3.5.2022.
(18) - Florian Rötzer, Beim Ukraine Krieg geht es nicht um die Ukraine, Telepolis 29.4.2022.
(19) - IVI.
(20) - Bernhard Torsch, Refugees welcome, Ausländer raus!, in: Konkret 4/2022; Ramona Lenz, Die Grenzen der Solidarität, https://www.medico.de/blog/die-grenzen-der-solidaritaet-18565 .
(21) - Kölner Stadt-Anzeiger de 7.5.2022.
(22) - Leni Wissen, Die sozialpsychische Matrix des bürgerlichen Subjekts in der Krise, in: exit! 14 Krise und Kritik der Warengesellschaft, Angermünde 2017, 29 – 49. Trad. port.: A matriz psicossocial do sujeito burguês na crise, online: https://francosenia.blogspot.com/2017/08/matrici.html
(23) - Ulrich Bröckling, Das unternehmerische Selbst. Soziologie einer Subjektivierungsform, Frankfurt am Main 5/2013.
(24) - Herbert Böttcher, Leni Wissen, Zwischen Selbstbezüglichkeit und Solidarität? Corona in der Leere des Kapitalismus, Netztelegramm 1/2021. "Tra auto-referenzialità e solidarietà? Il coronavírus nel vuoto del capitalismo, online: https://francosenia.blogspot.com/2021/05/una-gestione-robusta.html .
(25) - Stephan Grünewald, „Das Thema Krieg wird gemieden“, in: Kölner Stadt-Anzeiger de 4.5. 2022.
(26) - Ivi
(27) - Walter Benjamin, "Il capitalismo come religione: https://francosenia.blogspot.com/2017/04/un-frammento-e-due-commenti.html
28) - Ivi
(29) - Ivi
(30) - Herbert Böttcher, Kapitalismus – Religion – Kirche – Theologie in: Kuno Füssel/Michael Ramminger (Hg.), Walter Benjamins prophetisches Erbe, Münster 2021, 31 – 48.
(31) - Robert Kurz, Geld ohne Wert. Grundrisse zu einer Transformation der Kritik der Politischen Ökonomie, Berlin, 2012, 389ss.[In questo paragrafo del testo, va tenuta presente la nota inserita nel capitolo citato dell'edizione portoghese di "Dinheiro sem valor": «il termine tedesco qui usato, Verschuldung, può significare sia "colpa" che "debito". Allo stesso modo, la radice Schuld significa, a seconda del contesto, "colpa" o "debito". Lo stesso vale anche per le sue varie forme derivate». - Nota del traduttore]
(32) - Tomasz Konicz, Krieg als Krisenbeschleuniger : https://francosenia.blogspot.com/2022/04/convergenze.html
(33) - Robert Kurz, Das Ende der Theorie. Auf dem Weg zur reflexionslosen Gesellschaft, in: https://francosenia.blogspot.com/2018/04/filosofia-come-farsa.html
(34) - Robert Kurz, Weltordnungskrieg. Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperialismus im Zeitalter der Globalisierung, Springe 2022. online: http://www.obeco-online.org/livro_guerra_ordenamento.htm , 279
(35) - Ivi.
(36) - Ivi
(37) - Ivi
(38) - Ivi
(39) - Robert Kurz, Marx lesen. Die wichtigsten Texte von Karl Marx für das 21. Jahrhundert. Herausgegeben und kommentiert von Robert Kurz, Frankfurt am Main 2001, online: http://www.obeco-online.org/livro_ler_marx.htm , 197.
(40) - Gustav Gundlach, in: Stimmen der Zeit (1959) 13, citato in: Rupert Feneberg, Gerechtigkeit schafft Frieden. Katholische Friedensethik im Atomzeitalter, München 1985, 126.
(41) - Kurz (Nota 27), 69 [47].
(42) - Gundlach (Nota 33)
(43) - Benjamin, (Nota 21), 101.
(44) - Kurz (Nota 27), 434s [294].
(45) - Ivi, 436 [295].
Fonte: Ensaios e Textos Libertàrios
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