«Il tempo è parte integrante della cultura umana. Negli ultimi due secoli il rapporto delle persone con il tempo è stato trasformato dall'industrializzazione, dal commercio e dalla tecnologia. Ma la prima trasformazione che ha cambiato la vita, sotto l'influenza del cristianesimo, è avvenuta nella tarda antichità. Fu allora che il tempo cominciò a essere concettualizzato in modi nuovi, con discussioni sull'eternità, sulla vita dopo la morte e sulla fine dei giorni. Anche gli individui cominciarono a vivere il tempo in modo diverso: dalla settimana di sette giorni all'ordine della preghiera quotidiana e al calendario festivo di Natale e Pasqua. Con l'abilità e la versatilità che lo contraddistinguono, Simon Goldhill, classicista di fama mondiale, scopre questo cambiamento di pensiero. Esplora come ha preso forma nella scrittura letteraria della tarda antichità e come risuona ancora oggi. La sua nuova e audace storia culturale piacerà a studiosi e studenti di classici, storia della cultura, studi letterari e cristianesimo primitivo.»
("The Christian Invention of Time. Temporality and the Literature of Late Antiquity", Simon Goldhill. Cambridge University Press, pagg. XVI + 500, £ 34,99)
Poche opere hanno avuto la capacità di illuminare un intero paesaggio storico come quelle realizzate nelle catacombe dove i cristiani, autorizzati dal potere imperiale, seppellivano i loro morti. Partendo dall’analisi di bassorilievi, incisioni e affreschi tardo antichi l’autore si interroga sul controverso rapporto fra immagini e secolarizzazione e sullo spazio del “sacro”, delineando un percorso originale dove l’uso dell’immagine aiuta a capire la storia, religiosa e non solo. Attraverso un appassionante viaggio negli antri oscuri in cui sono nate le prime raffigurazioni cristiane, il volume ricostruisce il processo di esplosione liberatoria e profanazione provocata dalla pratica di fede e dall’elaborazione teologica con cui il cristianesimo dei primi secoli ha preso le distanze dalle ritualità dei culti precedenti introducendo elementi – “ripetizione”, “prefigurazione”, “trasfigurazione” – che hanno lasciato il segno nella concezione delle “arti belle” e dell’immagine nell’epoca moderna. L’ampiezza di indagine, storica, filosofica, teologica, fa di questo libro una delle trattazioni più complete sull’arte figurativa cristiana delle origini e sulla cultura da cui essa è scaturita.
(dal risvolto di copertina di: "Immagini cristiane e cultura antica", di Daniele Guastini. Morcelliana, pagg. 616, € 38)
Come immaginarsi le le ore e i giorni di Dio
- Il tempo cristiano. Una vasta ricognizione delle Sacre Scritture, delle fonti tardo antiche e delle iconografie, permette di ricostruire l’idea di temporalità nei primi secoli del Cristianesimo -
di Pietro Boitani
Leggere insieme i due libri di Simon Goldhill e di Daniele Guastini è un’esperienza affascinante, perché, per quanto gli autori siano profondamente diversi – l’uno, a Cambridge, scrittore di una ventina di volumi che spaziano dall’Orestea di Eschilo a Sofocle, dalla tarda antichità a Gerusalemme; l’altro, alla Sapienza di Roma, commentatore della Poetica di Aristotele, autore di Prima dell’estetica. Poetica e filosofia nell’antichità e di Philia e amicizia – sono eppure entrambi classicisti, e i loro due volumi si occupano in sostanza dello stesso periodo, la tarda antichità, discutendo aspetti fondamentali del passaggio dalla cultura pagana a quella cristiana: cruciale, ma dotato di una buona dose di continuità. Il libro di Goldhill è in due parti, una prima fatta di dieci saggi che vanno dal tempo di Dio a quello della morte, dall’attesa alla simultaneità, dall’atemporalità al “tempo violentato”; e una seconda storicoletteraria, nella quale trovano posto la Parafrasi del Vangelo di Giovanni di Nonno (una nuova versione del Principio esaminato nel Tempo di Dio all’inizio) e, dello stesso Nonno, le Dionisiache (eterno ritorno); poi il Giorno di Natale di Gregorio di Nazianzo (regolazione del tempo), gli Inni di Ambrogio e Prudenzio «sul giorno cristiano», e Sulpicio Severo e Orosio con le loro «storie del mondo cristiano». Un disegno generale di grande armonia, con un’introduzione brillante, uno scintillare continuo di idee e una scrittura vigorosa. Prendiamo, per esempio, proprio il Principio, il Tempo di Dio. All’inizio del capitolo 2 della Genesi, il testo ebraico racconta che «nel settimo giorno» Dio «portò a compimento ciò che aveva fatto» e «cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro». Quando la Bibbia fu tradotta in greco nel III secolo a.C. dai Settanta rabbini inviati da Gerusalemme per soddisfare il desiderio di Tolomeo Filadelfo, re d’Egitto (Goldhill dipana con gusto i tre resoconti al riguardo di Aristea, Filone d’Alessandria e Giuseppe Flavio, ognuno dei quali ha nozione e motivazione diverse del tempo), la sequenza greca fu alterata: Dio completò il suo lavoro «nel sesto giorno» e riposò nel settimo. È la versione presente anche nel Libro dei Giubilei, la versione che leggevano gli evangelisti e Paolo. Allora: come fa Dio a compiere la Creazione il settimo giorno e quello stesso giorno riposarsi? Per i greci, la soluzione logica è quella di dire che Dio operò in sei giorni, e riposò il settimo (quello che diventerà il “sabato”). Ma la logica e il tempo greci non sono gli stessi di quelli ebraici. I midrashim conservati nel Berešit Rabbâ del V secolo, menzionando esplicitamente la traduzione greca per Tolomeo, dicono: «È come colui che picchia col martello sull’incudine, lo alza quando è giorno, e lo abbassa quando fa scuro». E ancora: «Un mortale che non conosce tempo né minuti né ore, aggiunge del profano al sacro, ma il Santo, Egli sia benedetto, conosce i tempi, i minuti e le ore, e non vi entra che per un filo di capello».
Tempo di Dio, tempo dell’uomo. Distinzione che si ritrova nell’Odissea, dove gli dei, e Calipso, sono immortali e mai invecchiano, mentre Ulisse, Penelope e gli esseri umani tutti invece invecchiano e muoiono. Esiodo prescrive i tempi cui devono corrispondere i lavori nei campi nelle Opere e i giorni, crea un tempo della generazione divina nella Teogonia. Il saggio di Goldhill si muove verso gli Inni omerici e Pindaro, quindi vola verso i Padri greci, Gregorio di Nissa, Basilio, Gregorio di Nazianzo, il Concilio di Calcedonia (451), l’Agostino delle Confessioni: tutti si occupano della Creazione, tutti del tempo di Dio. E creano il tempo cristiano. Capitolo spettacolare, questo, per rapidità, lucidità, precisione, come molti della Christian Invention of Time (se dovessi scegliere, indicherei dalla seconda parte quelli su Nonno). Del resto, anche Guastini non scherza, e della temporalità si occupa nelle pagine centrali di Immagini cristiane: ma su un piano diverso, quello storico-teorico. Volendo dar conto della nascita e del prevalere delle immagini nel mondo cristiano, parte dai concetti di secolarizzazione, di sostituzione e ripetizione mimetica, di trasfigurazione tipologica – da Aristotele, Girard e Gadamer – per planare sull’Ingresso di Gesù a Gerusalemme scolpito sul sarcofago di Giunio Basso (post 359), sugli affreschi nelle catacombe romane e nel monastero di Santa Caterina sul Sinai e, con un percorso in avanti e indietro, quasi sussultorio, verso la statuaria classica e tardo-antica, i mosaici pagani e cristiani, sino a Cimabue, Beato Angelico e Signorelli (il libro contiene un centinaio di immagini a colori): come a dire dal mondo della mimesis e dall'ellenizzazione alla “consunzione del mondo antico” nella prima parte (anche in questo volume ce ne sono due).
Discorso coinvolgente, che getta le basi per la ricostruzione, insieme particolareggiata e di grande respiro, nella seconda sezione, del processo di liberazione e “profanazione” quali la pratica stessa della fede e l’elaborazione teologica dei primi secoli hanno provocato. Il capitolo centrale, il più complesso e più bello del libro, è qui quello dedicato alla “vittoria postuma” dell’apostolo Paolo, ai concetti-chiave della sua predicazione, l’agape (l’amore-carità) e la katargesis, il superamento della Legge. Diceva fra gli altri il Levitico: «Non vi farete, né metterete in piedi, idoli, sculture o stele. Nel vostro paese non erigerete pietre scolpite per prostrarvi davanti a loro, poiché io sono il Signore vostro Dio». Quando Paolo, nell’Epistola ai Romani, scrive «che forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è forse anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c’è che un solo Dio», la katargesis è visibile. Le immagini saranno giustificate: sulla base, infine, dell’argomento dantesco che la Scrittura fornisce a Dio mani e piedi “e altro intende”, perché è così che occorre parlare al nostro ingegno «però che solo da sensato apprende / ciò che fa poscia d’intelletto degno».
- Piero Boitani - Pubblicato su Domenica del 7/8/2022 -
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