Il lavoro che Edward Said svolge su Joseph Conrad ("Joseph Conrad e la finzione autobiografica", 1966, costituisce solo la pietra miliare iniziale, dal momento che si può dire che Conrad compare in tutto il percorso compiuto da Said; il quale, si è impegnato anche in un lavoro analogo riguardo diversi altri autori) ha come obiettivo, in larga misura, quello di farne conoscere le sue opere, riconsiderare criticamente la posizione di autori come Habermas, per il quale la modernità è un fenomeno esclusivamente europeo.
Il concetto che celebra il "progresso" è, infatti, frutto di una dialettica di attrazione e repulsione nei confronti dell'altro, dello strano e dell'estraneo, e ha come limite ciò che si presenta come esterno: Oriente, Indie, Americhe, Africa, la fine del mondo, il cuore di tenebra... Si tratta pertanto di documentare e descrivere il fallimento di un progetto (un progetto di "illuminazione" e di "emancipazione" che presuppone una vasta zona d'ombra, di oscurità - cecità e intuizione, come avrebbe detto Paul de Man – situati dove «Ci sono nebbie che nessun occhio riesce a dissipare», come recita l'epigrafe di Jean Paul citata ne "Gli emigrati" di W.G. Sebald).
Possiamo dire che, in gran parte, la descrizione di questo fallimento inizia già a partire dalla fine del XIX secolo (proprio esattamente quella fascia cronologica coperta da Conrad), allorché Nietzsche parla dell'eredità greca, vista come distorsione di un sapere anteriore, eterogeneo e "orientale", e quando Freud inizia la prospezione dell'inconscio (l'idea secondo cui la vita cosciente riceva delle interferenze provenienti da dei processi "invisibili"; proprio allo stesso modo in cui la vita "moderna" viene influenzata dalla violenza coloniale, la quale però rimane distante, recalcitrante). In una simile prospettiva, è possibile ricordare anche quello che è un altro testo di Said, "Freud e il non europeo", nel quale l'autore, a partire dalle idee che Freud sviluppa su Mosè e sul monoteismo, arriva a discutere quali sono i limiti del progetto occidentale costituito da "progresso", "illuminismo" e "democrazia".
E Said, da «umanista vecchio stile, è stato costretto dalle esigenze della sua storia personale a impegnarsi in una sorta di lavoro intellettuale che contestava la tradizione in cui egli stesso era cresciuto», come scrive Terry Eagleton. Un incipiente lavoro di reinvenzione della matrice concettuale occidentale, che va al di là della sua tradizionale circoscrizione (a partire dall'America Latina, ad esempio), e dal quale ci si rende conto che anche un progetto inesauribile come quello di Joyce è incompleto («Jewgreek è greekjew. Gli estremi si incontrano» - il contrasto con Warburg è istruttivo: «Atene e Oraibi, sono entrambi primi»).
fonte: Um túnel no fim da luz
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