La gloria e una pannocchia di grano
- di Tomasz Konicz -
Il fatto che in alcune parti del mondo si stia affrontando una devastante carestia, non può essere attribuito solamente alle conseguenze della guerra in Ucraina. È stato Putin! Questa esclamazione - usata dalla base con la testa rasata, costituita dai fan tedeschi del Cremlino, espressa con una strizzatina d'occhio, al fine di ridicolizzare qualsiasi critica al loro surrogato di leader - sembra in realtà che si possa perfettamente adattare all'aggravarsi della crisi di fame e povertà nel Sud del mondo. Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, i prezzi degli alimenti di base sono saliti alle stelle. L'indice alimentare dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) - il cui calcolo tiene conto dei prezzi di cereali, latticini, carne, oli da cucina e zucchero - è aumentato in maniera significativa dall'inizio della guerra. L'Ucraina e la Russia, in quanto importanti esportatori di alimenti di base - quali grano, mais o olio di girasole - riforniscono soprattutto gli Stati periferici. Inoltre, la Bielorussia e la Russia producono anche tutta un'ampia quota di fertilizzanti per l'economia agricola mondiale. Secondo l'Ufficio Federale per l'Economia e il Controllo delle Esportazioni, in Ucraina la produzione di cereali rappresenta l'11,5% del mercato globale. Nel 2021, nel Paese, che ha terreni particolarmente fertili, sono stati raccolti circa 33 milioni di tonnellate di grano, di cui 20 milioni destinati all'esportazione. Si stima che il raccolto di quest'anno, a causa della guerra, sarà inferiore del 35-42%, e che a maggio le esportazioni erano già scese fino ad arrivare a un terzo del volume dell'anno scorso. La crisi alimentare è stata pertanto innescata, da un lato, dalla guerra in Ucraina e dal blocco russo dei porti ucraini sul Mar Nero e, dall'altro, dalle preoccupanti perdite di raccolto, a livello globale, dovute alla carenza di fertilizzanti. La Russia e la Bielorussia hanno prodotto circa il 37% di tutto il fertilizzante potassico che è stato utilizzato a livello mondiale nel 2019.
Prima dello scoppio della guerra, le esportazioni di grano russo e ucraino venivano destinate principalmente alle regioni periferiche particolarmente vulnerabili alle carestie. Tra i maggiori importatori di grano proveniente dalla produzione russa e ucraina, ci sono Egitto, Bangladesh, Nigeria, Yemen, Sudan e Senegal. Dei 25 Paesi africani che si riforniscono, per oltre un terzo delle loro importazioni di grano dalla Russia e dall'Ucraina, 15 Paesi hanno effettivamente soddisfatto più della metà del loro fabbisogno di importazioni dalla Russia e dall'Ucraina. Nel caso di Somalia, Egitto, Benin, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Senegal e Tanzania, la cifra era superiore ai due terzi. L'Africa orientale in particolare, dove la peggiore siccità degli ultimi 40 anni ha già causato una grave carestia che minaccia circa 23 milioni di persone, di cui statisticamente rimane vittima una persona ogni 48 secondi, è uno dei principali acquirenti di grano dalle zone di guerra. Dal momento che le sanzioni dell'UE non colpiscono le esportazioni russe di olio di girasole e di grano, e i più importanti Paesi importatori non hanno imposto alcuna sanzione contro la Russia, l'aumento dei prezzi e il conseguente aumento della fame e della malnutrizione devono essere attribuiti alla guerra di aggressione imperialista che Putin - provocato dall'espansionismo occidentale nella più vicina sfera di influenza russa - ha scatenato nella sua megalomania. Tuttavia, uno sguardo allo sviluppo globale della fame e della malnutrizione, mostra anche che la guerra agisce come un amplificatore di crisi che accelera le tendenze già prevalenti. In realtà, l'opinione pubblica occidentale sta in parte utilizzando l'invasione russa dell'Ucraina come una scusa a buon mercato per distrarre dalle cause più profonde e sistemiche della crisi. Secondo i dati della FAO, nel tardo capitalismo, dal 2014 il numero di persone che soffrono di fame e di malnutrizione è aumentato quasi ogni anno a causa di focolai episodici di crisi sociale e ambientale. L'aumento della fame è stato più pronunciato nel 2020, anno della pandemia; nella quale 768 milioni di persone sono state colpite. La lotta contro la pandemia ha portato a un crollo massiccio della domanda nei Paesi centrali, cosa che ha portato a una crisi di sovrapproduzione e a una corrispondente esplosione della miseria nella periferia. Secondo un rapporto della FAZ, ad esempio, nel 2020 le vendite di prodotti tessili in Europa e Nord America sono crollate di circa 16 miliardi di dollari; il che nell'industria tessile del Sud-Est asiatico si è riflesso in una riduzione dei redditi di circa il 21%. Poiché in paesi come il Bangladesh, il Pakistan o la Birmania i salari dell'industria sono al livello di sussistenza, ci sono milioni di lavoratori che hanno dovuto fare la fame o indebitarsi. Secondo i sondaggi, il 75% dei lavoratori è stato costretto a chiedere dei prestiti per poter assicurarsi un accesso adeguato alle necessità della vita. Il meccanismo di indigenza capitalista, mediato dal mercato, che ha avuto i suoi effetti distruttivi non solo nell'industria tessile durante la pandemia, ora trasforma il calo della domanda dei centri del sistema mondiale negli stomaci vuoti nella periferia. Nel 2020, l'aumento della fame ha pertanto colpito milioni di salariati, proprio perché è stata prodotta troppa ricchezza materiale, la quale non poteva più essere valorizzata sotto forma di merce. I salariati che possono ancora continuare a cucire vestiti per Adidas, Puma e Co. sono stati "fortunati", secondo quella che è la logica capitalista della valorizzazione.
Nel capitalismo, ha il diritto di esistere solo ciò che contribuisce direttamente o indirettamente al processo di valorizzazione del capitale, vale a dire, solo ciò che promuove la moltiplicazione smisurata del denaro attraverso il lavoro salariato. Per il capitale, le risorse naturali e la vita umana non hanno alcun valore in sé, ma fungono solo da mezzo per l'insano fine dell'accumulazione illimitata di capitale. Le merci - e questo include anche la merce del lavoro - rappresentano un mero fattore di costo nel caso non possono essere valorizzate. E dato che, in condizioni capitalistiche, l'aumento massiccio della fame si accompagna a una diminuzione altrettanto massiccia della domanda di cibo sul mercato, di conseguenza l'anno pandemico 2020 è stato segnato non solo da un grave aumento della fame, ma anche da una distruzione di massa di cibo. L'industria agricola statunitense, ad esempio, ha distrutto milioni di tonnellate di alimenti di base, mentre simultaneamente circa 38 milioni di cittadini statunitensi soffrono di "insicurezza alimentare", e le code alle mense dei poveri e ai punti di distribuzione del cibo, frequentati da 60 milioni di persone nel 2020, si allungano sempre di più. La distruzione di quei prodotti alimentari che non possono più essere trasformati in merci avviene anche in questo anno di guerra e di crisi, allorché, ad esempio, i contadini del Münsterland si vedono arare i loro campi di fragole, dal momento che il commercio alimentare costringe i prezzi al di sotto dei costi di produzione. Ad ogni modo, adesso ci sono anche segnali di carestie causate dalla crisi climatica. Lo dimostra, ad esempio, l'India. In primavera, il Paese è stato colpito da un'ondata di calore senza precedenti, durata una settimana, con temperature record di oltre 45 gradi Celsius, che ha causato notevoli perdite nei raccolti. Nelle regioni chiave per la coltivazione, come il Punjab, le prime stime parlano di perdite di raccolto intorno al 25%. E visto che l'India aveva già utilizzato gran parte delle sue riserve di grano, nel corso degli attacchi di pauperizzazione indotti dalla pandemia, al fine di prevenire carestie e rivolte nell'ambito di un programma di welfare, Nuova Delhi ha allora deciso di tirare il freno d'emergenza, e imporre pertanto un divieto di esportazione del grano a fronte dell'impennata dei prezzi. Inizialmente, l'India intendeva sfruttare la carenza di grano causata dalla guerra in Ucraina per aprire nuovi mercati, ma alla luce del crollo dei raccolti, che sta mettendo in discussione il programma alimentare del governo in vigore fino a settembre, si è vista costretta a ricorrere a misure protezionistiche.
In questo modo, la crisi climatica sta perciò rafforzando le tendenze protezionistiche che erano già prevalenti nella fase finale della globalizzazione neoliberista; al più tardi da quando è entrato in carica Donald Trump. E gli eventi, che ora assumono sempre più la forma di eventi meteorologici estremi, stanno diventando sempre più frequenti: la forte ondata di caldo che ha colpito la Spagna a maggio, ha messo a rischio il raccolto di diverse varietà di bacche. Negli Stati Uniti, la prolungata siccità nel Midwest minaccia perdite di raccolti dell'8% per il grano invernale, ciò nonostante l'espansione della superficie coltivata. In Marocco, a causa della siccità si prevedono perdite di raccolto del 70%, mentre anche il Canada e la Francia stanno affrontando perdite significative a causa delle condizioni climatiche insolitamente calde e secche della primavera. Anche la Cina potrebbe subire perdite di raccolto a causa delle gravi inondazioni. Complessivamente, secondo le stime del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, i raccolti di grano dovrebbero diminuire dello 0,6% nella stagione 2022/23, e le riserve globali addirittura del 5%. L'aumento vertiginoso dei prezzi, sul mercato mondiale, degli alimenti di base, che probabilmente contribuirà a far aumentare quelle che sono 193 milioni di persone a rischio di fame in tutto il mondo - come afferma il Rapporto Globale sulle Crisi Alimentari per il 2021 - continuerà ad aumentare quest'anno, anticipando così la futura domanda del mercato, a fronte della guerra e della crisi climatica. E non è solo l'India a rispondere a questo micidiale movimento di mercato con il protezionismo. A causa del massiccio aumento dei prezzi, e delle incombenti carenze di approvvigionamento, l'Indonesia, ad esempio, ha emesso ad aprile un divieto di esportazione a breve termine sull'olio di palma; cosa che ha ulteriormente aggravato la situazione globale dell'offerta, soprattutto nel Sud globale. Le restrizioni all'esportazione dell'olio, dannoso per l'ambiente, prodotto per il 60% nello Stato insulare dell'Asia meridionale a partire da palme da olio che vengono coltivate in monocolture sul suolo di foreste pluviali disboscate, sono state revocate solo alla fine del mese di maggio. Allo stesso modo in cui il fallimento della lotta globale contro le pandemie, dovuto all'iniqua distribuzione dei vaccini, porta all'emergere di nuovi mutanti, e a resistenze nella periferia, anche il sistema mondiale tardo-capitalista è allo stesso tempo la causa e l'intensificatore della crisi della fame che sta guadagnando slancio. L'impulso alla crescita delle economie capitaliste - a sua volta solo espressione del processo di valorizzazione - sta facendo sì che le emissioni globali di CO2 continuino ad aumentare nonostante tutte le rassicurazioni ideologiche provenienti dai politici verdi; cosa che metterà sempre più sotto pressione l'approvvigionamento alimentare dell'umanità. Allo stesso tempo, il sistema agricolo tardo-capitalista non è più in grado di reagire adeguatamente alle crescenti distorsioni, dal momento che segue solo il fine di ottenere il massimo profitto possibile. Le lamentele da parte della palude politica verde - secondo cui "dovremmo" finalmente mangiare meno carne e fare meno rifornimento di biodiesel - ignorano proprio questo fine irrazionale del capitale, il quale trasforma la base dell'esistenza umana in quello che è il mero materiale del processo della valorizzazione reale-astratta. Le richieste avanzate dalla mafia agricola - di fronte alla crisi della fame - di abbassare gli standard ambientali e abbandonare l'agricoltura biologica, per spingere all'estremo l'industrializzazione ecologicamente disastrosa della produzione alimentare, illustrano solo quella che è l'incapacità fondamentale del settore agricolo tardo-capitalista di riformarsi; come era già espresso nel 2020 nella riforma agricola dell'UE, oltremodo ammorbidita dalle associazioni dei lobbisti.
Nel corso della crisi della carestia, le barriere interne ed esterne del capitale interagiscono tra loro, e questo diventa molto chiaro nell'impennata dei prezzi, che, dopo tutto, non è solo alimentata dalla guerra e dalla crisi climatica, ma anche dalle conseguenze del massiccio sovra-indebitamento dell'intero sistema mondiale capitalista. Il gigantesco carico di debito globale - conseguenza di un regime di accumulazione mancata, che nell'era neoliberista viene simulato per mezzo di una crescita finanziata dal credito - che schiaccia anche molti Paesi del Sud globale minacciati dalla carestia e rende difficile un'adeguata reazione alle crisi, ha potuto essere mantenuto negli ultimi anni solo grazie al costante aumento della stampa di moneta da parte delle banche centrali. Ben prima dello scoppio della guerra, questa "politica monetaria espansiva" si è manifestata con un aumento dell'inflazione, contribuendo all'incremento dei prezzi dei generi alimentari e preannunciando l'inevitabile svalutazione delle montagne del debito globale. E sono state proprio queste crescenti contraddizioni economiche ed ecologiche a mettere l'Occidente e la Russia in rotta di collisione in Ucraina.
Dal 2014, è di conseguenza cambiata la natura del Grande Gioco neo-imperialista sull'Ucraina - allorché l'Occidente è intervenuto per impedire la formazione dell'Unione Eurasiatica, allora propagandata da Putin, attraverso un rovesciamento del governo attuato da milizie naziste. Con la controversia per le regioni meridionali e sudorientali dell'Ucraina - che il Cremlino vuole incorporare nel suo impero delle risorse - si sta ora svolgendo anche una guerra sulle risorse dall'aspetto arcaico. Le aree contese hanno le più alte rese agricole di cereali, come il grano e la segale. Mosca, che non è riuscita a modernizzare l'economia russa, sta espandendo ora la sua strategia di formazione di un "impero dell'energia", il quale cerca di ottenere un controllo estensivo della "catena del valore" delle fonti energetiche, in modo da includere anche altre risorse "scarse": in questo caso, i prodotti alimentari di base.
La Russia non vuole solo essere una stazione di servizio dotata di armi nucleari, ma vuole anche diventare il granaio del mondo tardo-capitalista, il quale ora sta precipitando nella catastrofe climatica, guadagnando in tal modo quella che ora diventa un'altra leva geopolitica di potere. La visita dei rappresentanti dell'Unione Africana a Mosca, avvenuta all'inizio di giugno per discutere della crisi alimentare, illustra la strategia russa. Il presidente senegalese Macky Sall, dopo l'incontro di tre ore con Vladimir Putin, si è detto «assai soddisfatto e molto contento» degli scambi con il suo omologo russo, e ciò in ragione del fatto che quest'ultimo era consapevole che «la crisi e le sanzioni avrebbero causato seri problemi alle economie deboli come quelle africane». Il New York Times ha descritto l'incontro come «una sorta di vittoria diplomatica» per Putin. Tuttavia, rimane assai dubbio che il sistema mondiale tardo-capitalista, nel suo stato attuale, possa riuscire a capire a cosa assomigli una vittoria.
- Tomasz Konicz - Pubblicato originariamente su konkret nel 07/2022 -
Fonte: Exit! in English
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