Perché il "regno della libertà" di Marx dipende dal continuo lavorio e... dai compiti storici dei "Quadri"
- di Mickey Moosenhauer - 2022
Qual è lo scopo di tutte le moderne esegesi della "teoria del valore-lavoro" e sulla "forma del valore", se non quello di dimostrare ai non marxisti e agli economisti che una "società salariata" è ingiusta (basata sullo sfruttamento) e che il capitalismo è un modo di produzione, e non solo un sistema di circolazione? Non è forse vero che le uniche persone che leggono quei testi voluminosi e opachi sono poi quelle stesse che già concordano sul fatto che il capitalismo è un modo di produzione e che è un sistema di sfruttamento? Quindi, questi ermeneutici testi marxiani, in realtà sono un esercizio di dietrologia filosofica. Certo, molti nell'ambiente "comunista" sostengono che le indagini sulla "forma-valore" (per esempio, Théorie Communiste, Endnotes) servono a comprovare che i "rivoluzionari" devono, come dicono le Endnotes, «semplicemente... smettere di creare il valore»; e di conseguenza il valore e il capitale verranno rovesciati. Ma nella loro ermeneutica esiste però un'enorme lacuna:
I concetti marxiani di "forma valore" sono basati sulla nozione di "prodotto" e di "lavoro". E nel momento in cui definiamo qualcosa fatto dall'uomo come un prodotto - e quindi definendo l'uomo come un animale "produttore" - ecco che come d’incanto tutta l'attività umana finisce per essere reificata come valore economico. Marx espone in maniera chiara la sua ontologia del lavoro, e la sua visione dell'uomo in quanto animale produttore (una prospettiva ampiamente condivisa all'epoca, e anche oltre), nel primo volume de Il Capitale (Parte 3, Capitolo 7, §1) e ne L'ideologia tedesca. Una simile lacuna (che costituisce anche un'insistente teleologia), di fatto e per ironia della sorte, destabilizza quello che è l'intero approccio marxista alla trasformazione sociale: dal momento che - nell'ideologia/strategia comunista - il produrre (anche per "l'uso") e il lavoro (anche per il "bene collettivo") devono essere mantenuti, allora va detto in che modo questo influisce sulla "attuazione comunista":
«Gli esseri umani, come insisteva Marx, sono definiti dal loro lavoro, proprio come un ragno è apparentemente definito da otto zampe e dalla capacità di tessere una tela. Ma cosa succede agli esseri umani quando questi accettano di essere per natura la bestia che lavora? E questa accettazione del lavoro - in quanto "condizione perennemente imposta dalla natura dell'esistenza umana" (Marx) - come influisce sui programmi di coloro che sognano un mondo senza sfruttamento?» (da Mickey Moosenhauer, 2017)
In proposito, Jean Baudrillard scrive qualcosa di rilevante:
«La teoria marxista mantiene [il] consenso antropologico... Scienza, tecnica, progresso, storia - in tutte queste idee c'è un'intera civiltà che comprende sé stessa in quanto produttrice del proprio sviluppo, e che sfrutta la sua forza dialettica per il completamento dell'umanità in termini di totalità e felicità. Non è stato Marx a inventare i concetti di genesi, sviluppo e finalità. Non ha apportato alcuna fondamentale modifica a proposito dell'idea dell'uomo che produce sé stesso nella sua infinita determinazione, e che si supera continuamente procedendo verso il proprio fine. Nel vedere tutta l'esistenza umana in termini di “modi di produzione”, Marx generalizza a tutta la storia umana il modo economico della razionalità, in quanto modo generico del divenire umano» (Baudrillard 1973).
La tesi di Marx, pertanto, come viene segnalato da Isaiah Berlin, diventa la base per ogni ricerca: «la quantità delle forze produttive accessibili agli uomini condiziona la situazione sociale e pertanto la storia dell’umanità deve essere sempre studiata e trattata in relazione con la storia dell’industria e dello scambio». ("L'ideologia tedesca"). In tal modo, la nostra mentalità produttivistica può essere così iniettata nella storia di tutta l'esistenza umana, allo stesso modo in cui gli psicologi evoluzionisti definiscono e proiettano la "natura umana", e così noi possiamo accertare le ragioni e le conseguenze di cose come la sottoproduzione e il surplus, e, quindi, tutto, per noi, si trova scritto anche in termini di sussistenza e sopravvivenza evolutiva. Se i comunisti accettano (come fa Marx) che l'umanità è definita a partire dalla nostra capacità di lavorare (cioè di faticare) e di produrre, e che questa capacità è la chiave della nostra sopravvivenza, allora i piani che i comunisti avranno per noi dopo la "rivoluzione" saranno solo una ripetizione del bolscevismo (si vedano i "certificati di lavoro" e altri schemi post-rivoluzionari in questo articolo di Jasper Bernes: https://cominsitu.wordpress.com/2021/03/12/the-test-of-communism/ ).
Se un modo di produzione si basa sulla produzione per l'uso (cioè il comunismo), allora dobbiamo accettare che si tratta di un modo di produzione basato su un lavoro forzato (il lavoro); che esso sia diretto dai lavoratori stessi (o dai teorici del Partito) oppure no, come avviene nella produzione ai fini dello scambio, diretto da mercati controllati da altri o da altri fattori. Se accettiamo i principi che sorreggono il concetto di lavoro - principi, che in questo caso sono antropologici ed evolutivi - ecco che allora siamo costretti a collocare tutta l'esistenza umana all'interno della prospettiva produttivistica e lavorista. E così facendo, creiamo una versione della natura umana basata sulle capacità produttive degli esseri umani, che sono sempre e per sempre determinate da ambienti e circostanze particolari; e il che significa che saranno i comunisti (necessariamente, visto che diventeranno i nostri nuovi manager "illuminati") a dirci come vivere e quanto lavorare, dopo che noi avremo fatto la loro rivoluzione per loro.
Il problema, vecchio di 5000 anni (è questo il tempo che viene riconosciuto alla civiltà), circa «che cosa si deve fare» durante e/o dopo la rivoluzione che viene fatta contro le cose così come sono (vale a dire, principalmente, contro lo Stato e l'economia), è un ritornello costante e ripetuto, il quale una volta si trovava inquadrato nel linguaggio "religioso" e che ora, da 200 anni a questa parte, viene svolto anche in termini "secolari". Nel 2021 Jasper Bernes (Endnotes, Bernes 2021, The Test of Communism) stabilisce i quattro compiti che devono essere portati a termine per instaurare il comunismo:
1) Abolizione immediata dello Stato parlamentare, burocratico, repressivo e di tutti i soggetti giuridici.
2) Espropriazione dei mezzi di produzione da parte di organismi auto-organizzati che produrranno direttamente per uso sociale.
3) Rottura del legame tra diritto e responsabilità, tra contributo lavorativo e fruizione della ricchezza sociale. Razionare, se necessario, in base al bisogno e non al contributo.
4) Comunizzare il consumo, la distribuzione, e la produzione secondo un piano comune e liberamente concepito.
Questi compiti possono anche sembrare apprezzabili (e, per alcuni, persino possibili), ma in pratica come potrebbero essere realizzati? Quali persone comprendono correttamente questi compiti? O, meglio, quali persone capiranno bene questi compiti? Ovviamente, la risposta è: quei Quadri che per primi hanno formulato tali compiti. Appare utile menzionare Pëtr Tkachev ("il primo bolscevico"). Egli aveva capito che i lavoratori rurali avrebbero ostacolato la rivoluzione (come sostiene ad esempio "Théorie Communiste") e quindi aveva argomentato circa la necessità di imporre una dittatura rivoluzionaria. Ma era anche consapevole che le nuove idee sarebbero state difficili da assimilare per chiunque avesse più di 25 anni, per cui Tkachev suggerì che chiunque avesse più di 25 anni dovesse essere soppresso o liquidato. Si tratta di un vero e proprio rompicapo filosofico. Se viviamo in un modo di produzione, allora siamo tutti parte di quel modo. Siamo tutti i riproduttori della società in cui viviamo. Pertanto, è improbabile, dal punto di vista logico, che noi si possa creare qualcosa di completamente diverso, per non parlare di una società completamente diversa. (Il modo in cui veniamo creati è anche il modo in cui creiamo; i "rivoluzionari" non vengono da un altro pianeta). Figure come Tkachev, Lenin e Bernes sembrano suggerire che loro invece sarebbero in grado di pensare al di là di quelli che sono i limiti della loro costruzione sociale, e di poter effettivamente creare un nuovo mondo a partire dalla loro mera volontà (ovviamente, possono anche tergiversare dicendo che «è complesso...»), ma poi come possono fare a difendere il loro «genio extraplanetario»?
Specie se consideriamo che Gilles Deleuze dice: «Il principio storico fondamentale di Foucault è quello secondo cui ogni formazione storica dice tutto ciò che può dire e vede tutto ciò che può vedere».
Può anche darsi che forse ci sono alcuni di noi, grazie al loro intelletto superiore («Veniamo da un altro pianeta»), riesca a sfuggire a questo? Sembra improbabile.
Bini Adamczak, nel suo libro "Yesterday's Tomorrow: On the Loneliness of Communist Specters and the Reconstruction of the Future" (2007/2021), che è una panoramica della Rivoluzione bolscevica, suggerisce che, dato che le prove dimostrano che i rivoluzionari comunisti di "prima generazione" metteranno sempre in atto il terrore - vale a dire. quella che è la loro stessa controrivoluzione, dovrebbero quasi immediatamente autoliquidarsi o epurarsi - ma, come osserva Žižek nella sua recensione del libro, è invece proprio questo ciò che in Russia è successo, comunque... quindi, cosa abbiamo qui se non un ciclo farsesco di porte che si aprono e si chiudono senza fine.
Rispetto a questo, c'è anche una breve recente conversazione (svoltasi nel tempo) con Jasper Bernes circa il riuscire “con ogni mezzo necessario”:
Jasper Bernes: «Quel che in realtà la gente intende con l'espressione "con ogni mezzo necessario", è "con ogni mezzo sufficiente.»
Mickey Moosenhauer: «La frase (di Fanon, ecc.) non è una frase di "chiusura" nei confronti di tutto "ciò che è sufficiente", ma una frase di "apertura" che sfida qualsiasi "moralità" che si possa avere nei confronti, ad esempio, della violenza, della crudeltà, dell'autoritarismo, ecc.?»
JB: «Come ho detto [in un'altra discussione], ritengo che la frase sia entrambe le cose, dal momento che "con ogni" può essere inteso anche come "con qualsiasi". Ma penso anche che, in tal caso, un mezzo può essere solo sufficiente, non necessario.»
MM:« Il "qualsiasi" è di certo equivoco (basterebbe dire "tutti", e sarebbe come eliminare il "qualsiasi"). Ma il "mezzo" qui non è un appello a "ciò che serve", ma è piuttosto un editto (anch'esso equivoco), un decreto imperativo che impone al destinatario di fare a meno di qualsiasi "sentimento morale" esso possa nutrire. Ma il "qualsiasi (qualunque) mezzo" è sempre il "codice segreto" del cadre - che può essere usato per nascondere o giustificare l'"atrocità", e anche per perpetrare l'atrocità sui seguaci di quel particolare nucleo di comando al momento opportuno.»
[La conversazione si è conclusa qui *].
NOTA *: Il mio utilizzo di ciò che scrive Jasper Bernes non va inteso come un "attacco" a "lui" (o a qualsiasi individuo dell'ambiente "Endnotes"). Non esistiamo in quanto "persone" (il sogno della «realizzazione di sé»)... ma solo come funzioni. Gli scritti di Bernes appaiono semplicemente in un punto di intersezione particolarmente interessante (per me) del pensiero "radicale"; la sua scrittura rappresenta qualcosa, così come la mia. Finché gli eventi non ci travolgono, non dobbiamo confonderci con la realtà, che è sempre altrove, ma sempre in attesa. (M.M.)
- Mickey Moosenhauer - 3 settembre 2022 -
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