Grazie al fuoco l'uomo ha rimodellato la Terra. Il controllo delle fiamme ha consentito alla nostra specie di alterare il paesaggio per le attività di caccia e raccolta, e di alimentare automobili, case e apparecchi tecnologici bruciando combustibili fossili. Siamo saliti in cima alla catena alimentare perché abbiamo imparato a "cucinare" il paesaggio che ci circonda. Oggi siamo diventati una forza geologica perché abbiamo iniziato a "cucinare" l'intero pianeta. In questo libro Stephen Pyne racconta l'evoluzione e l'impatto di questa nostra relazione con le fiamme. Relazione che dobbiamo affrontare con un approccio culturale diverso, a livello di specie, perché siamo entrati nell'età del fuoco. Benvenuti nel Pirocene.
(dal risvolto di copertina di: STEPHEN J. PYNE, "Pirocene. Viaggio nell’età del fuoco, tra passato e futuro". CODICE, Pagine 240, €21)
Il trionfo del fuoco
- di Danilo Zagaria -
Nel pieno di un estate torrida e siccitosa, pare inevitabile tornare a parlare di incendi, di roghi dolosi e di ettari di bosco andati in fumo.—Le fiamme che nelle scorse settimane sono divampate a Roma - bruciando aree verdi e parchi regionali, zone di smaltimento dei rifiuti ed ex campi rom — sono sembrate a molti il triste prologo di una stagione estiva destinata a ripetere il record negativo del 2021, quando il fuoco distrusse 150 mila ettari di boschi italiani. Le condizioni, in fondo, ci sono tutte: il mese di giugno ha fatto registrare temperature fuori norma in tutta Europa, come non accadeva dal 2003, un anno rimasto impresso nella memoria di molti a causa del gran caldo. Che i prossimi mesi siano destinati o meno a fare registrare dei primati, quanto è accaduto in tutto il mondo negli ultimi anni ha dimostrato in modo inequivocabile che la crisi climatica e le attività umane stanno mettendo a serio rischio le foreste del pianeta. La sola «Black Summer» australiana del 2019-2020 ha messo in ginocchio un Paese da sempre abituato a gestire un gran numero di incendi. La novità, come ha sottolineato più di un esperto, è che oggi bruciano aree verdi che in passato raramente venivano toccate dalle fiamme. In Australia infatti non sono andati in fumo soltanto il bush, vale a dire la tipica prateria arbustiva dell’isola, che pure gli aborigeni gestivano con fuochi sacri e controllati, ma anche le foreste pluviali e di conifere. I roghi che hanno sconvolto il Brasile nel 2020 hanno toccato addirittura il Pantanal, la più grande area umida del mondo, caratterizzata da un tasso di biodiversità che non ha eguali sulla terraferma. Questi vastissimi incendi, capaci di distruggere ampie zone di foresta e di bruciare ininterrottamente per mesi, sono il sintomo più evidente della deriva distruttiva assunta dal rapporto fra l’umanità e il fuoco. Secondo il professor Stephen J. Pyne, dell’Arizona State University, sono la firma inequivocabile dell’era in cui viviamo, un’era contraddistinta dal fuoco: il Pirocene (dal greco antico pyr, fuoco, appunto) . Nel suo ultimo libro, frutto di un lavoro di ricerca decennale nel campo dell’ecologia del fuoco e della storia degli incendi, Pyne spiega in che modo le civiltà umane negli ultimi millenni di storia siano state in grado di assumere il controllo di questo elemento naturale, diventandone dei «mediatori» e finendo per alterare un delicato equilibrio che governava la presenza del fuoco in natura.
Pirocene, in libreria per Codice Edizioni nella traduzione di Simonetta Frediani, non è quindi un libro dedicato unicamente agli incendi. Attraverso un linguaggio avvolgente, verrebbe quasi da dire incandescente, Pyne tratteggia la parabola delle fiamme partendo dal passato remoto della Terra, quando il fuoco divenne possibile. La comparsa delle piante, 420 milioni di anni fa, fornì il combustibile, mentre l’ossigeno presente in atmosfera costituì il perfetto comburente. Di questo fuoco naturale l’umanità si impossessò, impiegandolo per una gran quantità di usi: dalla cucina all’illuminazione, dalla guerra alle pratiche agricole. Ma il vero sbilanciamento, secondo l’autore, ebbe luogo quando l’uomo cominciò a relegare le fiamme all’interno delle macchine a vapore, di modo che queste generassero l’energia di cui aveva bisogno. La rivoluzione industriale dell’Ottocento sancì l’inizio di un mondo in cui il fuoco era sì lontano dalla vista dell’umanità, dalle sue città costruite sempre più con materiali incombustibili e dalla sua vita quotidiana, ma continuava ad ardere in modo costante e spropositato nelle caldaie, nei motori a scoppio, negli altoforni.
«Estrarre i combustibili dal passato geologico, bruciarli nel presente e rilasciarne i sottoprodotti in un futuro geologico — scrive Pyne — è il nuovo arco narrativo del fuoco e una delle grandi pietre miliari nella storia della Terra». Il risultato è uno squilibrio, una preponderanza del fuoco dannoso, inquinante, capace di alterare il clima terrestre con le sue scorie gassose. Di concerto, gli esseri umani sono diventati sempre meno avvezzi al fuoco, al punto che lo utilizzano di rado nella sua forma pura, a fiamma. Come sottolinea l’autore con ironia, hanno addirittura smesso di usare camini e focolari in favore di fuochi elettronici di lunga durata, selezionabili online o sulle piattaforme di streaming, che scoppiettano in video. Se il fuoco industriale ha cambiato il volto del mondo moderno, quello naturale è invece stato demonizzato e combattuto con ogni mezzo possibile. Fino agli anni Cinquanta e Sessanta tutti gli incendi boschivi erano considerati una piaga, da estinguere il più presto possibile. La nascita dell’ecologia dei fuochi ha cambiato le carte in tavola, sottolineando gli effetti benefici sull’ambiente che può produrre un buon fuoco. L’esistenza di biomi sensibili agli incendi, capaci cioè di rigenerarsi e rinvigorirsi grazie alle fiamme, non deve in fondo sorprendere: il fuoco si è evoluto insieme agli ecosistemi, prosperando in alcuni momenti della storia della vita sulla Terra e ritirandosi in altri, specialmente durante le glaciazioni del Pleistocene.
Oggi ci troviamo in una situazione che Pyne sintetizza così: «Troppo fuoco cattivo, poco fuoco buono e troppa combustione in generale». Sarebbe dunque opportuno cercare di uscire il più in fretta possibile dal mondo a idrocarburi che abbiamo creato e, al tempo stesso, recuperare le pratiche agricole, forestali e pastorali che hanno bisogno del fuoco per funzionare a dovere senza al tempo stesso devastare gli ecosistemi. Se sui metodi «taglia e brucia», come lo storico debbio diffuso nell’Italia settentrionale, il dibattito ecologico è ancora aperto, non restano invece dubbi sul fatto che si debba lasciare sempre meno spazio al fuoco incontrollato, capace di devastare intere regioni del pianeta. In questo senso sarebbe opportuno impedire che l’ambiente diventi una bomba a orologeria a causa dell’accumulo di materiale combustibile, naturale e artificiale. L’abbandono delle zone collinari e montagnose, là dove si concentra la maggior parte degli incendi, ha aperto le porte alle fiamme, facilitate dall’assenza di ripuliture del sottobosco, di pascolo disciplinato e di piccoli roghi controllati. Sottrarre tutte le possibili esche al fuoco è il primo passo da fare per sopravvivere al Pirocene.
- Danilo Zagaria - Pubblicato su La Lettura del 17/7/2022 -
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