Italia: sbandata verso destra
- di Michael Roberts -
L'Italia va alle urne domenica 27 settembre. Si tratta di elezioni lampo che sono state imposte al presidente italiano, perché il governo "tecnocratico", guidato dall'ex capo della BCE Mario Draghi, è caduto dopo aver perso il sostegno della maggioranza in Parlamento. Tale sostegno è stato in parte perso perché Draghi ha sostenuto con forza il sostegno della NATO all'Ucraina contro l'invasione russa - cosa cui, sia i principali partiti di destra, che i Cinque Stelle di sinistra, erano meno propensi - e in parte perché il governo Draghi era determinato a rispettare i vincoli fiscali fissati dalla Commissione UE, in cambio dell'enorme pacchetto di risanamento dell'UE che l'Italia avrebbe ricevuto per rilanciare l'economia dopo il crollo dovuto al COVID. Se i sondaggi sono corretti, l'Italia uscirà dalle elezioni politiche di domenica con un nuovo governo di estrema destra guidato dall'arciconservatrice Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia, un partito che è salito alla ribalta, spuntando dal nulla dopo le ultime inconcludenti elezioni del 2018. La Meloni e il suo alleato populista Matteo Salvini, leader della Lega (che ha perso un enorme sostegno a favore di Fratelli), insieme sembrano pronti per una vittoria decisiva su un centro-sinistra profondamente diviso.
Questo, dai tempi del dittatore fascista Benito Mussolini, rappresenterebbe il primo esperimento di governo di estrema destra in Italia, dopo un totale di 69 governi ideologicamente diversi che si sono succeduti a partire dal secondo dopoguerra. Sia la Meloni, una conservatrice di razza, la cui carriera politica è iniziata come attivista adolescente nell'ala giovanile del neofascista Movimento Sociale Italiano, sia Salvini, che è stato un ardente ammiratore del presidente russo Vladimir Putin, sono entrambi Euroscettici. Tuttavia, tra di loro esistono delle differenze che si manifesteranno dopo la formazione del nuovo governo. Mentre la Meloni si è impegnata a portare avanti le politiche di Draghi di sostegno militare all'Ucraina, e adotterebbe pertanto una linea dura riguardo le sanzioni alla Russia, Salvini, in campagna elettorale, si è invece pubblicamente lamentato del prezzo che le sanzioni stanno facendo pagare all'economia italiana. I due leader di destra sono però uniti nella loro feroce opposizione all'immigrazione, così come dal sostegno dato ai cosiddetti "valori familiari" conservatori. Ma mentre la Meloni è una convinta atlantista (favorevole agli Stati Uniti) che sostiene politiche di sicurezza nazionale repressive, la base di sostegno di Salvini include delle aziende che fino all'invasione avevano stretti rapporti commerciali con la Russia. Il nuovo governo di destra dovrà affrontare due problemi immediati. Il primo consiste nella crisi del costo della vita, determinato dall'energia, e che sta colpendo tutta l'Europa. Il costo dell'elettricità in Italia è secondo solo a quello del Regno Unito. E il gas proveniente dalla Russia costituisce oltre il 40% di tutte le forniture energetiche.
Il futuro economico immediato dell'Italia dipende dalla concessione del pacchetto di 200 miliardi di euro dell'UE, per aiutare a rilanciare la sua economia cronicamente sottotono, evitando così una crisi del debito. L'Italia ha un enorme debito pubblico, pari al 150% del PIL, e il costo del finanziamento di questo debito sta aumentando con l'aumento dei tassi di interesse globali. Questo potrebbe portare gli investitori stranieri a vendere le obbligazioni italiane, provocando così una spirale del pagamento del debito. Per questo genere di evento, la BCE è pronta ad adottare delle misure di salvataggio speciali. Ma la speranza rimane quella che il nuovo governo sostenga la correttezza fiscale, e riporti i conti in pareggio, in modo da poter così ricevere le sovvenzioni dell'UE previste per i prossimi anni. Ciò significa che qualsiasi governo "radicale" di destra si troverà di fronte a un dilemma: Meloni romperà con l'UE e adotterà politiche economiche e di spesa simili a quelle che vennero proposte dal governo britannico della Brexit sotto il nuovo premier Liz Truss, o da Orban in Ungheria; oppure Meloni si atterrà ai vincoli dell'UE? Sembrerebbe che si tratterà della seconda ipotesi. La Meloni ha promesso di rispettare le regole fiscali, e ha invitato alla prudenza e alla cautela. E tutto ciò è stato accolto con favore dalla classe finanziaria italiana. «Vogliono essere percepiti come un partito col quale si possono fare affari, e che può governare il Paese», afferma Lorenzo Codogno, ex direttore generale del Tesoro italiano, parlando di Fratelli d'Italia. Ma non bisogna stupirci di questo. Il governo Mussolini, durante il suo governo fascista, appoggiò sempre l'imprenditoria e la finanza. E con la Meloni non sarà diverso, o anche con Salvini. Del resto i governi italiani che si sono succeduti, sia di destra che di sinistra, hanno generalmente rispettato le regole fiscali. Infatti, anno dopo anno, i governi italiani hanno sempre registrato avanzi primari di bilancio (avanzo prima del pagamento degli interessi sul debito). Finora l'Italia è stata anche un contributore positivo rispetto al bilancio dell'UE. E in effetti, l'Italia è sempre stata in austerità permanente, per riuscire a coprire i costi del debito.
Il problema dell'Italia non è la spesa pubblica dissennata, ma la scioccante incapacità del capitalismo italiano di crescere e aumentare la produttività della forza lavoro per competere con Germania, Francia (le altre economie del G7 nell'Eurozona) e persino con la Spagna. L'Italia si trova ancora al secondo posto nell'UE, dopo la Germania, per la produzione industriale, soprattutto grazie alle strutture economiche delle regioni settentrionali. E si colloca al terzo posto per le esportazioni di beni, subito dopo la Francia, mantenendo un suo primato riguardo l'ingegneria meccanica, nella costruzione di veicoli e nei prodotti farmaceutici. Però, se si misura la crescita del PIL reale e della produttività, vediamo che l'Italia è diventata il "malato" d'Europa . Dopo il boom della ricostruzione del dopoguerra, il capitale italiano si è mostrato particolarmente corrotto e oligarchico. La disuguaglianza tra ricchi e poveri e tra il Nord Italia industriale - vicino a Germania e Francia - e il Sud Italia rurale continua a rimanere assai accentuata.
La crisi del prezzo del petrolio degli anni '70 ha messo ancora più in evidenza questa situazione, dando luogo a disordini politici e al declino economico. La crescita della produttività italiana ha cominciato il suo costante declino a partire dagli anni '70, diventando negativa negli anni successivi all'ingresso dell'Italia nell'area dell'euro. In Italia, il tasso medio annuo di crescita pro capite, dall'adozione dell'euro (1999-2016), è stato pari a zero. A titolo di confronto, quello della Spagna è stato dell'1,08, quello della Francia dello 0,84, e quello della Germania dell'1,25 per cento. Gli altri tre Paesi, i quali hanno adottato l'euro contemporaneamente all'Italia, dall'introduzione dell'euro sono cresciuti, in media, di circa l'1% ogni anno, mentre l'economia italiana ha ristagnato.
Crescita reale media annua pro capite in Italia, Spagna, Germania e Francia. (1999-2016).
Francia Germania Italia Spagna
0.84% 1.25% 0.00% 1.08%
La demografia italiana è particolarmente negativa, con una quota crescente di anziani. Ciò significa che la crescita dell'occupazione è bassa. A ciò si aggiunge un alto tasso di disoccupazione giovanile (circa il 25%); il che significa che la creazione di valore dalla parte potenzialmente più produttiva della forza lavoro umana viene trascurata. Tra questi giovani disoccupati, la quota di disoccupazione di lunga durata raggiunge il 40%, secondo Eurostat, soprattutto a causa della scarsa istruzione, e del fatto che per lo più vivono nel Sud Italia. Meno del 20% della forza lavoro italiana ha ricevuto un'istruzione di livello terziario. Di conseguenza, nel corso dei decenni, gli italiani più qualificati hanno dovuto abbandonare il Paese, peggiorando ulteriormente la performance economica nazionale. Combinando la bassa crescita dell'occupazione con la bassa crescita della produttività, non c'è da stupirsi che l'economia italiana, a lungo termine, abbia un basso tasso di crescita potenziale non superiore all'1% annuo. La crescita della produttività ha ristagnato anche perché il capitale italiano non investe in modo sufficientemente produttivo. I livelli di investimento sono ancora ben al di sotto di quelli che erano stati raggiunti prima della Grande Recessione.
E la ragione di questo è chiara. Nel corso dei decenni, la redditività del capitale produttivo in Italia è diminuita drasticamente, ma in particolare ciò è avvenuto dopo l'ingresso nell'area dell'euro e dopo il collasso finanziario globale.
Mentre nel secondo dopoguerra la redditività del capitale italiano era molto più alta rispetto a quella di Germania e Francia, grazie alla manodopera a bassissimo costo e all'uso del credito americano per riqualificare l'industria italiana del dopoguerra, la crisi di redditività degli anni Settanta ha colpito un'economia italiana che era più debole di quella tedesca e francese. Il periodo di ripresa neoliberista degli anni '80, con l'espansione dell'UE, ha aiutato in qualche modo il capitale italiano. Ma l'ingresso nell'area dell'euro ha ben presto messo l'Italia in una posizione di svantaggio competitivo rispetto alla Germania, dove la redditività è aumentata, fino alla Grande Recessione.
Nessuno dei fallimenti del capitale italiano, verrà affrontato dal nuovo governo di destra. Non farà meglio dei precedenti governi italiani di centro-sinistra, centro-destra o "tecnocratici". Anzi, è probabile che peggiori ulteriormente la situazione, adottando politiche reazionarie e antioperaie, e questo lo farà per sostenere la propria coalizione.
- Michael Roberts - Pubblicato il 23/9/2022 -
fonte: Michael Roberts blog. Blogging from a Marxist economist
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