«Poiché produco narrativa di genere, tanti interlocutori che non mi hanno mai letto (giornalisti, intellettuali, scrittori di “rango”, operatori dei media, dirigenti editoriali eccetera) sono a priori convinti che io sia un mezzo scemo […] da coinvolgere nelle esperienze più bislacche».
Così Evangelisti introduce i suoi scritti in difesa della “paraletteratura”, da sempre considerata “minore”, tracciandone storia e storie: dai classici più o meno contemporanei (Lovecraft, Dick) ai libri di Lupin, Fantômas e Sandokan.
Spesso considerata marginale e trascurabile, la letteratura di genere rappresenta in realtà un’intrigante chiave di lettura dei tempi in cui è scritta, uno specchio esplicito, fantasioso, creativo, a volte sgarrupato e caotico del sentire sociale visto dal basso, raccontato con ferocia, immediatezza, proiezioni nel futuro o immaginarie riletture del passato.
Non un semplice excursus sulla letteratura di genere, bensì una riflessione intelligente e acuta sul valore della paraletteratura come critica sociale e come strumento di lotta politica, nel conflitto per il controllo dell’immaginario, vero e proprio campo di battaglia per Evangelisti.
Alphaville, città raccontata da Jean-Luc Godard in un suo film di fantascienza distopica, è il nome usato da Evangelisti per i tre volumi originari in cui erano raccolte le sue riflessioni; una selezione di questi “saggetti”, come amava definirli il suo autore, accompagna nuovamente il lettore lungo le strade di Alphaville per scoprire la ricchezza dell’immaginario.
«Il lettore di gialli, fantascienza, horror eccetera ha, secondo me, minori possibilità di essere sedotto e addomesticato del consumatore abituale di letteratura ‘alta’. È abituato a immergersi in piccoli o grandi inferni metropolitani, a penetrare in galassie rette da regole pazzesche, a esplorare mondi alternativi, a scorgere l’incubo nascosto dietro la normalità apparente. La sua narrativa è narrativa di coinvolgimento: è fatta apposta per non lasciare indifferenti. Ed è narrativa dello straniamento dal proprio reale, per immergersi in un altro che può essere bizzarro o esotico, ma che può anche essere, e spesso è, una diversa visione prospettica di quello che egli stesso vive». (Valerio Evangelisti)
(dal risvolto di copertina di: VALERIO EVANGELISTI, "Le strade di Alphaville. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura". ODOYA, Pagine 352, €22)
Le lezioni di Evangelisti
- Il fantasy non è una fantasia -
di Vanni Santoni
Che fin dai tempi di Benedetto Croce la nostra letteratura, pur avendo tra i pilastri del proprio canone autori come Dante, Ariosto e Tasso abbia sempre avuto diversi problemi col fantastico è un fatto che, nonostante molti passi avanti, ciclicamente trova conferme. La più recente è il livello del tributo ricevuto alla morte da Valerio Evangelisti: certo visibile, ma senz’altro minore rispetto a quello visto a suo tempo (e che vedremo in futuro) per autori «realisti» di stazza molto inferiore. A emendare almeno in parte il fatto, ma anche a spiegarlo nel profondo, arriva oggi, presso Odoya e nella cura di Alberto Sebastiani, tra gli studiosi più attenti e acuti dell’opera di Evangelisti, Le strade di Alphaville. Sottotitolo: Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura. E già quella parola, usata da un maestro dei «generi» come il padre di Eymerich, la dice lunga. In questo interessante volume, ibrido come si conviene al suo autore, si raccolgono diversi suoi scritti, che lui amava chiamare «saggetti» ma che si rivelano cruciali, ancora più oggi che i generi cominciano a spaccare i muri di gomma delle compartimentazioni editoriali, i più grandi autori prendono a dichiararsi con orgoglio «sconfinatori» e sembrano già lontani i tempi in cui un futuro Nobel come Kazuo Ishiguro scriveva un fantasy come Il gigante sepolto negandone però la natura di fantasy, fino a farsi bacchettare da Ursula K. Le Guin (appena uscito per Sur, e da leggere accanto a questo, anche il suo I sogni si spiegano da soli).
Alphaville non è, come si potrebbe credere, un luogo che emerge da qualche fantasia fantascientifica: è la città in cui si muove l’agente Lemmy Caution di Godard nel film Missione Alphaville del 1965. Non è una pellicola d’anticipazione: Alphaville è semplicemente una Parigi un po’ trasfigurata. Ma quel che conta, è che Godard ha giudicato funzionali ai propri scopi gli strumenti del cinema di genere: la fantascienza, al pari dei film d’azione di serie B. Strumenti magari più rozzi di altri e di certo meno presi sul serio da parte del pubblico, ma che spesso rivelano un grado di incisività, e una pura e semplice forza, assenti altrove.
Succede nel cinema, succede in letteratura. Quanto spesso lo scrittore «serio» — ovvero, per le viete categorie novecentesche, realista — si è mostrato sdegnoso riguardo ai cosiddetti «generi», salvo poi saccheggiarli? «Mai — si legge nelle Strade di Alphaville — che qualcuno confessi di aver scelto il modulo espressivo paraletterario per la sua ricchezza intrinseca e per le possibilità che offre». Le cose nel frattempo sono cambiate, grazie anche al lavoro incessante di critici e studiosi come Edoardo Rialti, Loredana Lipperini o lo stesso Sebastiani, capaci di costruire, negli anni, una piena rilegittimazione di certi autori e testi, fino a fare intendere, quanto meno ad addetti ai lavori e lettori avveduti, che le «barriere tra i generi» non sono che muri mentali. Non è un caso, allora, che si celebrino oggi come i migliori in attività autori come Olga Tokarczuk, Mircea Cartarescu, Georgi Gospodinov o Antoine Volodine, che non hanno mai degnato di uno sguardo simili barriere. Esperti di speculative fiction come Jeff VanderMeer dettano la linea; si riscoprono maestri segreti come Alasdair Grey; e anche il buon Ishiguro scrive un romanzo di fantascienza — lo struggente Klara e il sole —, stavolta senza vergognarsi di averlo fatto.
Ma un autore impegnato come Evangelisti non poteva fermarsi solo a questo. «Prendere parola, denunciare, costruire un dialogo con i lettori per far riflettere su questioni di ordine politico e sociale, spesso a partire dalla letteratura, in ogni spazio disponibile», è sempre stata un’urgenza per lui, come testimonia la vastità della sua produzione pubblicistica e saggistica, del resto non ancora recensita e catalogata in maniera adeguata, come ricorda Sebastiani. Oltre ad Alphaville e agli interventi pubblicati su «Carmilla», la rivista che ha fondato nel 1995 e diretto fino alla morte, ne sono usciti diverse centinaia su «il manifesto», «Le Monde diplomatique», «Lo straniero», «Liberazione», «Vogue Italia», «L’Europeo», «Pulp libri», «Delitti di carta», «l’Unità», «Robot», «Tutto Musica», «L’Indice», «Progetto memoria», «GQ»... Quotidiani, periodici, testate di cultura, generaliste, di fantascienza, di musica, di approfondimento, nazionali e internazionali, a cui andrebbero aggiunte molte altre riviste, senza contare le introduzioni a numerosi volumi di saggistica e di letteratura e le interviste concesse a radio, televisione, documentari, testate cartacee, blog e siti di vario tipo, o ancora la mailing list di Eymerich, da lui fondata negli anni Novanta e mai dismessa.
Ora che i generi sono sdoganati — o quasi: lo potremo dire, forse, quando vedremo qualche premio importante non venire vinto dal romanzo borghese di turno —, si riscopre appieno anche l’altra loro grande capacità, se non missione: quella di decostruire, attraverso sguardi obliqui e approcci inusuali, le narrazioni egemoni. Questo, per Evangelisti, non è solo un processo futuro, un’indicazione di scrittura: è qualcosa che va fatto anche recuperando tanti autori a suo tempo marginalizzati, snobbati o derubricati a divertimenti per ragazzini: «Da Emilio Salgari “meglio di Manzoni” a Lovecraft che “scriveva come un dio”; dalla “leggenda” Richard Matheson ai grandissimi della Série Noire francese come Manchette, fino a Philip K. Dick, solo oggi pacificamente accettato tra gli autori più importanti del Novecento, e ancora Dashiell Hammett, Le Fanu, Leblanc, Curtoni...»
E poi i «pari» e «simili» di Evangelisti, i suoi contemporanei e compagni di ricerca: Loriano Macchiavelli e Wu Ming, Sandrone Dazieri e Massimo Carlotto, la stessa Loredana Lipperini nella sua attività di narratrice, Nicoletta Vallorani, Eraldo Baldini, Carlo Lucarelli... E al di là di nomi, tributi e doverose rivalutazioni, il vero punto di Evangelisti, che emerge con forza in questa raccolta di saggi, è, sempre, che nella fantascienza, nell’horror, nel noir e oggi anche nel fantasy, c’è più spazio per ragionare sul presente e decolonizzare l’immaginario: il parallelo con l’Alphaville di Godard sta tutto lì.
- Vanni Santoni - Pubblicato su La Lettura del 24/7/2022 -
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