Attraverso la storia di un fascista esemplare - un eroe di guerra diventato un importante gerarca al comando delle Camicie nere - Victoria de Grazia mostra come il personale diventi politico nella ricerca fascista di potere e virilità.
La storia che Victoria de Grazia racconta in questo libro parte ricordandoci che «fascisti si diventa, non si nasce». Il libro capta, nella figura di Attilio Teruzzi, l’archetipo del piccolo uomo del primo Novecento che da persona decente e buon soldato finisce per guidare squadre di picchiatori fascisti e partecipare alla marcia su Roma da ufficiale decorato di guerra di bella presenza, per arrampicarsi in cima alle gerarchie del regime e infine collaborare con le SS. Basandosi sulle carte del suo infausto matrimonio con Lilliana Weinman, giovane diva dell’opera, ebrea, newyorkese, viene fuori la storia sociale di un uomo che si fa largo attraverso una rete di relazioni sia umane che politiche: un impietoso ritratto del fascismo italiano.
Il perfetto fascista ci invita a vedere nel vano, leale, licenzioso e impetuoso Attilio Teruzzi, un ufficiale dell’esercito decorato privo di scrupoli e con un debole per le parate militari, un esempio dell’Uomo Nuovo fascista. Perché Teruzzi repentinamente si liberò della donna che aveva così intensamente corteggiato? E perché, quando venne il momento di trovare un’altra compagna, scelse un’altra donna ebrea come sua moglie putativa? Nel racconto coinvolgente di Victoria de Grazia, vediamo Teruzzi vacillare tra il volere del Duce e ciò che il cuore gli dettava. In ogni società il matrimonio è un atto fondativo. È il cuore del nostro modo di considerare cosa conta davvero nella vita. Il perfetto fascista prende in esame il matrimonio di Teruzzi come punto di partenza per un’esplorazione della vita morale sotto il regime fascista. Indaga lo scopo perseguito da Mussolini nel considerare il movimento fascista una rivoluzione «spirituale» ed «etica», una «politica del cuore» in contrasto con quella da lui denigrata come la sterile «politica della mente» della società liberale. Esplora il modo in cui Mussolini strumentalizzò un nuovo ordine morale che esaltava una ipermascolinità razzialmente omogenea per consolidare il proprio potere, e rivela fino a che punto questo nuovo ordine morale si imperniasse sulle guerre mosse all’estero e all’interno del Paese. Esamina la natura dell’Uomo Nuovo fascista e rivela la fondamentale inadeguatezza dell’ambizione di Mussolini di creare una reincarnazione novecentesca dell’Impero romano.
(dal risvolto di copertina di: Victoria de Grazia, "Il perfetto fascista". Einaudi, pagg. 522, € 36)
Il fascismo attraverso la vita di Attilio Teruzzi
- di Raffaele Liucci -
Gli antifascisti hanno sempre dipinto il fascismo come una brutale dittatura. Ma la maggioranza degli italiani non lo percepì affatto così. Si lasciò cullare dolcemente dal manganello e dalle adunate oceaniche, sino al ’42 inoltrato. E già alla fine del ’45, metà del Paese cominciava ad elevare nuovi altarini al «buonuomo» Benito (copyright Indro Montanelli). Non fosse entrato in guerra a fianco di Hitler, il duce sarebbe morto anziano e riverito, come Franco in Spagna. Per cercare di capire come mai il fascismo non fu quell’«invasione degli Hyksos» evocata da Benedetto Croce, bensì un movimento e poi un regime profondamente incistato nella società del tempo, la storica statunitense Victoria de Grazia ha scelto di ripercorrerne la parabola attraverso una figura oggi poco conosciuta, quella del milanese Attilio Teruzzi (1882-1950), figlio di un vinattiere di Porta Genova. Vicesegretario del Partito Nazionale Fascista, governatore della Cirenaica, capo della Milizia, ministro dell’Africa Italiana, fascista convinto ma non fanatico, Teruzzi fu un piccolo «uomo senza qualità». Forgiato dalla Grande Guerra, vide nello squadrismo e nella Marcia su Roma del ’22 - di cui era stato uno degli artefici - soprattutto un’occasione di riscatto. Fu un «perfetto fascista», come recita il titolo del libro? Difficile a dirsi, non esistendo il «fascista perfetto». Questa però non è soltanto la biografia politica - di affascinante lettura, anche se talvolta un po' prolissa e con qualche svista - di un personaggio qualunque, asceso alle più alte cariche esecutive del regime. È anche un lungo viaggio nella sua sfera sentimentale, ricostruita grazie alle carte personali di Teruzzi, e non solo. Centrale è il «matrimonio fascista», da lui contratto nel ’26 con una facoltosa cittadina americana di ascendenza ebraica (Lilliana Weinman), promettente cantante lirica, e celebrato in pompa magna a Roma alla presenza dello stesso duce. Tre anni più tardi, Teruzzi ripudierà pubblicamente la moglie. L’unico modo per ottenere il “divorzio” sarà quello di rivolgersi ai tribunali della Chiesa. Ne sorgerà un’interminabile vertenza giudiziaria, conclusasi soltanto nel ’48, in un’altra Italia, con una sentenza definitiva della Sacra Rota che darà torto all’uomo (in quel momento in carcere per «atti rilevanti» a favore del regime), legatosi da tempo a un’ebrea romena. È stupefacente quanti temi traspaiano dai quasi ventennali scartafacci processuali, qui meritoriamente recuperati: la vita morale e famigliare sotto il fascismo, la condizione sottomessa della donna, il mito della virilità, ma anche l’indipendenza dei giudici ecclesiastici all’indomani della Conciliazione (’29). Sullo sfondo, «un sistema politico intriso di corruzione strisciante» e il crescente antisemitismo, sfociato nelle leggi del ’38.
- Raffaele Liucci - Pubblicato su Domenica del 14/8/2022 -
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