Una delle premesse più importanti del pensiero postcoloniale è quella per cui non basta invertire i termini, non basta che ciò che è «sotto» ora stia «sopra», non basta che ciò che veniva valutato positivamente ora venga assunto negativamente, e così via… Ma è necessario invece stabilire un sistema di riferimenti che si trovino in oscillazione permanente; così come fa Roberto Bolaño in un romanzo come "I detective selvaggi". Per cui, abbiamo dei corpi latinoamericani che si dislocano nel tempo e nello spazio, e vengono messi in relazione tra di loro attraverso le esperienze dei loro spostamenti che così, e in questo modo, vanno a occupare tutti i punti strategici di un'indagine su un'eredità (di traumi e violenze), la quale però è anche una possibilità di futuro (Sión, la terra promessa, la freccia che non arriva mai al bersaglio).
Il modo in cui, ad esempio, Xosé Lendoiro, a Roma, nell'ottobre 1992, punteggiando il suo racconto di frasi in latino, ci racconta il passaggio di Arturo Belano attraverso la Spagna, attraverso Barcellona, attraverso la Catalogna: un racconto che di fronte alla letteratura («questa bestiaccia che mi ha accompagnato a tradimento per tanti anni») appare allo stesso tempo commovente, ridicolo e solenne; oppure Jacobo Urenda, che nel giugno del 1996 ci parla da Parigi, raccontando di quando ha incontrato quello stesso Arturo Belano a Luanda, in Angola - un argentino e un cileno - e di come Urenda dica che, ogni volta che torna a Parigi da questi viaggi, è come se non fosse tornato, che è come se stesse «ancora sognando» (sempre l'oscillazione, per cui : «...continuammo a chiacchierare. O forse no. Forse lì ci separammo»).
E ancora sempre Urenda (lui, che è un fotografo, come el Ojo Silva, di "Puttane assassine"), che parla di Arturo Belano: «continuammo a chiacchierare. O forse no. Forse lì ci separammo.» Un'incoerenza che senza dubbio non è un’esclusiva di Belano, bensì strutturale, sistemica - una storia contraddittoria che mescola il soggettivo e il collettivo. Questa «incoerenza» è la diaspora, è dispersione ed esilio, ma è anche una sorta di cifrario che spinge il lettore - in maniera investigativa, come se anch’egli fosse un detective – conducendolo in una logica non cartesiana e non fondante, erratica e discontinua («la mia generazione ha letto Marx e Rimbaud fino al voltastomaco»), ancora legata alla pulsione e all'inconscio (incoerente come il paiolo di Freud, per esempio): Ho restituito il paiolo in perfette condizioni, aveva già un buco quando l'ho preso, e inoltre non ho mai preso in prestito alcun paiolo).
fonte: Um túnel no fim da luz
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