Neoliberismo e Statalizzazione
- di Miguel Amoròs – per la rivista Al Margen, n° 123, octobre 2022 -
« Poiché lo Stato è il più grande nemico dell'umanità... e tutti coloro che vi si impantanano si confondono, attenzione! Rimanere sempre liberi, indipendenti, non tenere conti aperti con nessuno!»
( Benito Pérez Galdós, "Miau" - 1888 )
La questione della natura dello Stato contemporaneo e del suo attuale rapporto con l'economia capitalista, in una fase neoliberista avanzata e altamente infiammabile per tipo di crisi, appare essere di grande importanza ai fini di una chiarificazione teorica di una contestazione interna alle masse dominate. Un tale chiarimento rimane la condizione fondamentale di una loro emancipazione pratica. Alla luce di quanto affermato, vale la pena di formulare alcune considerazioni al riguardo.
Durante i periodi critici, lo Stato viene portato in trionfo. Se la recente crisi sanitaria ha messo in luce il suo ruolo fondamentale, assunto ai fini del controllo della popolazione e del parziale blocco dell'attività economica, senza che ci siano stati né scosse né contestazioni significative, le emergenze dovute al riscaldamento climatico del pianeta e all'attuale aumento dei prezzi dei carburanti non hanno fatto altro che ribadirlo. I meccanismi che sono stati messi in atto per garantire questo compito, hanno subito una trasformazione qualitativa: la digitalizzazione ha fatto passi da gigante, la comunicazione unidirezionale si è diffusa ovunque, e la manipolazione dell'informazione ha ogni limite, senza incontrare nessuna resistenza. Tutele legali e diritti sociali vengono gradualmente eliminati, nel mentre che simultaneamente l'apparato repressivo continua a rafforzarsi. Ciò che oggi viene chiamata democrazia, transizione ecologica, o sviluppo sostenibile non sono altro che maschere burlesche che non riescono a nascondere l'atmosfera autoritaria crescente e il primato anti-ecologico della finanza. Il potere reale è concentrato, centralizzato, nel mentre che le masse vengono private di qualsiasi capacità decisionale, rimanendo prive di ogni informazione oggettiva. Il dominio si deve confrontare con quella che è solo con una popolazione disinformata, e in gran parte rassegnata, che si aggrappa a qualsiasi ancora di salvezza il sistema voglia fornirle. In presenza di un popolo controllato e sottomesso, la statalizzazione della vita trova un semaforo verde che gli concede via libera per poter salire ancora qualche gradino. Come ha detto il conservatore Carl Schmitt, ciò che definisce lo Stato è proprio «la facoltà di poter disporre apertamente della vita degli uomini»; non sorprende quindi che, in questo mondo postmoderno, lo Stato penetri nel profondo dell'intimità. Per di più, la professionalizzazione della politica, insieme alla deplorevole spettacolarizzazione del suo esercizio, contribuisce in maniera considerevole alla perversione dell'attività pubblica, e alla disaffezione sociale. La tecnicizzazione fa lo stesso con la vita privata. La tecnologia è al giorno d'oggi una forza produttiva diretta. Paradossalmente, la dottrina neoliberista, dogma dell'alta borghesia manageriale, in ogni attività, ha elevato a livelli superiori quella che è la presenza quotidiana dello Stato. Contrariamente a tutti i postulati teorici, la globalizzazione finanziaria cammina di pari passo con lo statalismo. Il controllo globale delle risorse - la geopolitica - ha portato a un'accelerazione della militarizzazione e, di conseguenza, a un enorme rafforzamento burocratico dello Stato e a una concentrazione senza precedenti del potere decisionale. Dopo la Guerra del Golfo, le derive conflittuali evidenziano la tendenza bellico-statalista delle grandi potenze, e di conseguenza dell'intera schiera di tutta la compagine delle potenze minori.
La sicurezza di una vita privata dedicata al tempo libero, al consumo e al turismo - attività così tanto apprezzate dalle masse asservite - ora dipende ormai solo dall'interazione di tutta una serie di strategie di sicurezza su scala globale. Gli squilibri di potere determinati dalle crisi politiche internazionali, in un contesto di conflitti multipli ora richiedono un cambiamento nel rapporto tra società, Stati e mercati globali. L'autoritarismo, e quindi la burocratizzazione e la gerarchizzazione diventano necessari a tutti i livelli, dal momento che per preservare la sovranità dei mercati e salvare il commercio globale è ora necessario un salto di qualità in ciò che è la disciplina e il controllo della società. Se in tempi tranquilli, le istituzioni statali si sottomettono agli imperativi dell'economia, in tempi di crisi l'economia ha bisogno dell'intervento dello Stato, il quale diventa assolutamente necessario. Il rapporto tra Stato e Capitale sembra essersi invertito, ma non si tratta affatto del capitalismo di Stato descritto a suo tempo da Bruno Rizzi o da Friedrich Pollock, e neppure di un'ingerenza che rimane strettamente limitata all'attività economica, come veniva proposta a suo tempo da Keynes. Eccettuato il caso della Cina, i governi non assumono il ruolo del capitalista più potente, né tantomeno gli Stati sono il fattore economico più importante. Non esiste alcun partito unico onnipresente, e il gruppo dirigente del partito svolge solo un ruolo secondario, dal momento che le decisioni in genere non dipendono dai parlamenti. Nei sistemi partitici, i mercati non retrocedono (non subiscono neppure la pur minima alterazione), le corporazioni finanziarie mantengono le loro posizioni, e la proprietà pubblica non oltrepassa mai determinate barriere. Nessuna nazionalizzazione o monopolio. Siamo ben lontani dallo Stato-nazione del secolo scorso: ad aleggiare su tutto , è un'élite corporativa transnazionale. Lo Stato non controlla il denaro, il credito, gli investimenti o i profitti delle imprese. In breve, lo Stato non interferisce con il Capitale, ma obbedisce semplicemente ai suoi disegni. Tutt'al più, adotta alcune misure di bilancio, e controlla temporaneamente i prezzi degli alimenti di base e dell'energia, regola il consumo di alcuni prodotti e concede sussidi o decreta tasse straordinarie; ma tutto ciò senza modificare sostanzialmente le leggi economiche. In fondo, l'interesse generale che viene espresso nella dinamica statale non è altro che la fusione tra l'interesse privato della burocrazia politica e quello delle oligarchie finanziarie globali. Questa burocrazia non trasforma direttamente il proprio status e la propria posizione in strumenti di potere, come avveniva in passato nei sistemi totalitari e nelle dittature, ma si limita a utilizzare tali strumenti al fine di integrarsi in grandi aziende o nelle strutture parastatali, facendo uso di alcune porte girevoli. In Occidente, è l'economia a definire l'esercizio del potere e la relativa ricompensa, non il contrario.
Malgrado l'intensa propaganda svolta a suo favore, il liberalismo politico non corrisponde alle convinzioni della maggioranza dei leader mondiali, soprattutto di quelli dei Paesi colpiti dalle misure neoliberiste e di quelli che le ripudiano nei Paesi promotori, poiché, apertamente o meno, essi tendono a privilegiare la sussistenza e la crescita economica rispetto alla conservazione dell'apparenza della democrazia e della certezza del diritto. Per questi araldi del populismo, lo sviluppo nazionale è lo strumento migliore ai fini della stabilizzazione politica, e il modello cinese, assai spesso definito dai commentatori come «consenso di Pechino», rimane l'esempio ispiratore. In realtà, l'esperienza cinese suggerisce che la "modernizzazione" economica, e quindi l'integrazione nell'economia mondiale, è compatibile con un autoritarismo estremo, a condizione però che la burocrazia dominante sappia adattarsi agli "affari", che operi secondo le regole del mercato e accetti di venire giudicata in base ai suoi risultati. Non importa quale sia il sistema politico. Il parlamentarismo può essere superato senza che venga sconvolta la stabilità interna, poiché ciò dipende più dalla crescita dell'economia che dalla riforma politica (cosa che costituiva già un assioma anche sotto il regime di Franco). Nonostante le disuguaglianze e le sacche di povertà, le classi dominate e controllate legano per lo più la loro prosperità materiale al sistema, di modo che ogni opposizione finisce per essere quasi una testimonianza. La classe dirigente cinese si è resa protagonista di una notevole crescita, indifferente alla situazione finanziaria del capitalismo occidentale, dimostrando la possibilità di una globalizzazione che preserva la sovranità statale, incoraggia il nazionalismo, esalta lo stile autoritario di governo e chiude un occhio sulla repressione. Tale modello esige un ruolo decisivo per il partito-stato, in quanto principale fornitore di risorse, principale finanziatore e attore dominante in alcuni settori considerati strategici come i trasporti, la sanità, le miniere e le comunicazioni. Il settore privato dell'economia cinese non è un settore insignificante, ma l'élite economica ivi generata è interessata a rafforzare il sistema cui appartiene e di cui beneficia, piuttosto che a cambiarlo. Qui, le porte girevoli si aprono sulla politica. Il controllo è essenziale, ma il partito unico opera in questo settore con comprovata efficacia. In poche parole, il modello cinese dimostra come il capitalismo possa funzionare perfettamente anche in mancanza di forme politiche rappresentative; e dimostra che il sistema dei partiti, nonostante la sua sudditanza ai dettami dell'economia e della geopolitica, rimane incollato ai regimi occidentali come se fosse un ornamento ereditato, piuttosto che uno strumento mediamente utile. In fin dei conti, le crisi hanno finito per stimolare un'involuzione autoritaria e di controllo in tutto il mondo capitalista. Il dispotismo è all'ordine del giorno. Nei Paesi con un'importante classe media, la sicurezza prevale sulla libertà. In tal modo, le misure di emergenza diventano pertanto sempre più numerose, e il ricondizionamento democratico diventa sempre più evidente. La tentazione cinese assilla la mentalità dominante, la quale vede le istituzioni politiche come un ostacolo allo sviluppo, e persino come un fattore di distruzione dell'economia. Di conseguenza, le porte sono state spalancate per far passare una futura epifania di sistemi dittatoriali più o meno colorati di nazionalismo.
- Miguel Amoròs – Per la Rivista Al Margen, n° 123, octobre 2022 -
fonte: A contretemps
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