martedì 6 settembre 2022

Sta per scoppiare la «bolla di ogni cosa» !!

Walking Debt: Il debito ambulante
- Sovra-indebitamento, inflazione, recessione imminente e politiche impotenti: l'attuale focolaio di crisi rischia di diffondersi anche nei centri occidentali del sistema capitalistico mondiale -
di Tomasz Konicz

Nuovo decennio, nuova crisi? Sembra che da metà giugno, la zona monetaria europea, che si trovava già sull'orlo del collasso durante la crisi dell'euro, sia nuovamente entrata in modalità panico. La Banca Centrale Europea (BCE) si è sentita obbligata a tenere una riunione straordinaria il 15 giugno, dopo che i mercati finanziari europei erano stati colpiti dall'aumento dei differenziali dei tassi di interesse - i cosiddetti spread - tra i titoli di Stato tedeschi e quelli dell'Europa meridionale. In modo particolare, il fatto è che ormai lo spread tra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani viene considerato come se fosse un indicatore dell'affidabilità della crisi. Questo perché l'Italia - in quanto terza economia - ha un elevato livello di debito pubblico, pari a circa il 150% del prodotto interno lordo (nel 2019, prima dello scoppio della pandemia, il debito del Paese era pari al 135%), e la cosa fa sì che, in caso di turbolenza, l'onere degli interessi sui titoli italiani cresca in maniera particolarmente veloce. Inoltre, l'Italia ha dei tassi di crescita che sono inferiori alla media, ragion per cui ci sono assai poche prospettive di riuscire a ridurre l'onere del debito nel prossimo futuro. Le previsioni economiche dell'OCSE - che comunque in qualche modo vengono sempre regolarmente riviste al ribasso - ipotizzano per il Paese una crescita del 2,5% quest'anno e solo del 1,2% per il prossimo anno. Il mercato obbligazionario italiano funziona come se fosse una sorta di sistema di allarme in anticipo che a metà giugno si è fatto sentire in maniera prepotente: i rendimenti dei titoli italiani sono saliti a oltre il 4%, e lo spread con il debito tedesco ha raggiunto quasi i 250 punti base (2,5%). Che cosa è successo? In precedenza la BCE aveva ventilato la prospettiva di seguire l'esempio della Fed, affrontando la galoppante inflazione all'8,1% nell'eurozona, per mezzo dell'attuazione di una svolta in direzione di una politica monetaria restrittiva. I «guardiani della moneta» europei hanno pertanto annunciato che avrebbero abbandonato la politica dei tassi d'interesse zero - che seguivano da undici anni, vale a dire dall'ultima crisi dell'euro - e avrebbero aumentato i tassi d'interesse di riferimento. Inoltre, avrebbe dovuto essere avviata anche una graduale uscita dai programmi di acquisto di titoli di Stato, per mezzo della quale si riduceva l'onere degli interessi nel Sud dell'Europa e si aumentava l'offerta di moneta. Il semplice annuncio dell'abbandono della politica monetaria espansiva ha portato però a un aumento dell'onere degli interessi nella periferia meridionale dell'Eurozona. Nella sua riunione straordinaria, la BCE ha poi invece deciso di continuare, se necessario, ad acquistare i titoli dei «Paesi euro più deboli», in modo da mantenere lo spread con i titoli tedeschi entro dei limiti tollerabili; il che ha portato immediatamente a una riduzione del differenziale tra i titoli di debito italiani e tedeschi.

Uno degli obiettivi della BCE è quello di non aumentare ulteriormente il proprio bilancio che, a causa dell'acquisto di obbligazioni, durante la pandemia è cresciuto fino a ottomila miliardi di euro, mentre prima dell'inizio della pandemia ammontava a meno di cinquemila miliardi di euro. Ora, fino alla fine del 2024, i proventi generati dalle obbligazioni sovrane in scadenza devono essere utilizzati per acquistare nuove obbligazioni. Grazie al pacchetto di questo programma di crisi - per 1.700 miliardi di euro - la BCE ha ora ancora molto spazio, ad esempio, per poter sostituire le obbligazioni tedesche con quelle italiane. Ma così facendo, la Banca Centrale ha però già dato parzialmente l'addio a quella politica monetaria espansiva che era stata annunciata con l'obiettivo di combattere l'inflazione. L'Italia si vede ora così minacciata da una crisi del debito: e stiamo parlando di un membro dell'Eurozona il cui prodotto interno lordo (PIL) è circa dieci volte quello della Grecia. Solamente nel prossimo anno, a sud delle Alpi andranno rifinanziati quasi 290 miliardi di euro di debiti pubblici, e questo nel momento in cui la Grecia ha un PIL di 180 miliardi di euro. Per queste ragioni, è di fatto impossibile che la Repubblica Federale, in quanto potenza dominante all'interno dell'Eurozona, possa sottoporre l'Italia a un dettame di austerità come quello che l'ex ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble (CDU) impose alla Grecia, senza mettere allo stesso tempo in pericolo l'esistenza stessa dell'intera zona monetaria europea. L'Italia è davvero troppo grande per fallire. Ragion per cui, se Berlino cercasse di condurre il Paese in una spirale deflazionistica simile a quella della Grecia, ciò equivarrebbe a far saltare l'eurozona; come è stato già sostenuto, durante la crisi dell'euro, dai settori apertamente reazionari delle élite funzionali tedesche dell'FDP e della frangia di destra della CDU ("Unione dei Valori").

Attualmente, è soprattutto il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, a sparare sulla politica di crisi della BCE, riproponendo la vecchia richiesta tedesca di collegare la condizionalità politica - soprattutto i programmi di austerità - agli aiuti finanziari per gli Stati in crisi. Tenendo conto dell'elevata inflazione, Nagel ha parlato di «acque pericolose» in cui si starebbe addentrando la BCE nel momento in cui essa acquista le obbligazioni degli Stati dell'Europa meridionale, permettendo così che il differenziale di tasso di interesse con i titoli di Stato tedeschi raggiunga un livello speculativo. Non è affatto chiaro però come si possa fare a distinguere una normale reazione del mercato all'elevato onere del debito nell'Eurozona meridionale, da una reazione speculativa. L'abbandono, da parte della BCE, della sua politica monetaria di cauto rialzo dei tassi di interesse di riferimento, da un lato, e mentre continua a stampare moneta acquistando titoli di Stato, dall'altro, è l'espressione della costellazione politica di potere all'interno dell'UE. Berlino, dove comandano i monetaristi, ottiene il suo aumento dei tassi d'interesse, mentre il sud dell'eurozona, che favorisce una politica monetaria espansiva, può contare su maggiori acquisti di obbligazioni. È per questo motivo che la Banca Centrale Europea sembra essere assai esitante nell'aumentare i tassi di interesse di riferimento rispetto alla Fed; cosa che ha già portato il tasso di riferimento all'1,75%. Dieci anni dopo la crisi dell'euro, l'Europa tedesca si trova nuovamente in una situazione di stallo: per contenere l'inflazione, la BCE dovrebbe infatti aumentare i tassi di interesse in modo rapido e significativo. Mentre, allo stesso tempo, i "guardiani della moneta" - per evitare una nuova crisi del debito nel Sud e la minaccia di una recessione - dovrebbero invece mantenere bassi i tassi di interesse.

La disputa circa la politica monetaria, non è un fenomeno puramente europeo; analoghe controversie tra keynesiani e monetaristi sono in corso anche negli Stati Uniti. Il rapporto tra la grande inondazione di denaro legata alla pandemia e l'inflazione globale è stato discusso di recente: ad esempio davanti alla Commissione Finanze del Senato degli Stati Uniti, dove, all'inizio di giugno, ha dovuto pronunciarsi il Segretario al Tesoro dell'amministrazione Biden, Janet Yellen. Il ruolo che ha Berlino in Europa, è stato svolto dall'opposizione repubblicana, la quale sostiene che l'inflazione e il "surriscaldamento" dell'economia sono stati alimentati dal pacchetto di stimoli da 1.900 miliardi di dollari. Tuttavia, questi dibattiti tra i sostenitori keynesiani della politica monetaria espansiva e i monetaristi neoliberali non fanno altro che evidenziare le crescenti contraddizioni e tensioni interne della politica di crisi del capitalismo, che difficilmente potranno essere superate nell'attuale fase di crisi. Ma quello che dovrebbe essere un modello di accumulazione in grado di guidare verso l'uscita dalla crisi del tardo capitalismo – e su questo le previsioni economiche per gli Stati Uniti e per l'eurozona sono assai fosche - non può essere semplicemente tirato fuori dal cilindro. In sostanza, entrambe le parti coinvolte nel conflitto monetario, alimentato da interessi nazionali o di classe, hanno ragione nella loro diagnosi fatta al capezzale del capitalismo malato, per quanto le loro "proposte terapeutiche" siano errate. La politica monetaria espansiva provoca effettivamente un aumento dell'inflazione, e quindi l'attenzione dovrebbe concentrarsi sulla sfera finanziaria, laddove quelle che sono state le "iniezioni di liquidità", fatte dalle banche centrali nel XXI secolo, hanno creato le corrispondenti bolle speculative, cioè hanno portato all'inflazione dei titoli o dei prezzi degli immobili. Allo stesso tempo, il monetarismo e il regime di austerità neoliberale - come brutalmente eseguito da Schäuble in Grecia - hanno portato ai ben noti crolli economici nel Sud dell'Europa. La politica di crisi capitalista tardiva, si trova quindi di fronte a un dilemma. Deflazione o inflazione: rappresentano solo dei diversi percorsi di crisi, lungo i quali può continuare a verificarsi l'irreversibile svalorizzazione del valore. O il denaro viene svalorizzato in quella che è la sua qualità equivalente generale (inflazione), oppure il processo di svalorizzazione (deflazione) si impossessa del capitale in quella che è la sua forma di capitale costante e variabile; ovvero le fabbriche, le macchine e le persone dipendenti dal salario che diventano economicamente superflue. Nel corso del XXI secolo, non abbiamo avuto solo le montagne del debito globale, che sono cresciute più velocemente della produzione economica mondiale, ma anche i tassi di interesse, che sono diminuiti costantemente dopo l'avanzata del neoliberismo e la finanziarizzazione del capitalismo; ciò perché, dopo lo scoppio di ogni bolla speculativa, il sistema finanziario mondiale ha dovuto essere salvato dal collasso per mezzo di bassi tassi di interesse e stampa di moneta. Le attuali distorsioni dei mercati finanziari indicano che difficilmente sarà possibile una transizione verso un nuovo ciclo speculativo.

La politica di crisi del capitalismo ha cavalcato fino alla morte il suo vecchio cavallo arrugginito. E l'inflazione, che prima si manifestava soprattutto nella sfera finanziaria, ora sta raggiungendo la cosiddetta economia reale. È stato proprio il fallimento del keynesismo, alla fine degli anni '70, a spianare la strada al neoliberismo, il quale ha bloccato l'inflazione per mezzo di una una fase in cui ha fatto uso di tassi d'interesse estremamente elevati (Volcker Shock), ponendo le basi per il decollo dei mercati finanziari e dell'economia di bolla del neoliberismo, che vediamo attualmente al collasso. Gli alti tassi di interesse dell'epoca hanno agito da calamita, attraendo capitali in cerca di investimenti nella sfera finanziaria statunitense. Ora la stagflazione, da tempo dimenticata, sta tornando su scala più elevata. La differenza più importante tra l'attuale ondata di inflazione e la fase storica di stagflazione, riguarda l'estremo indebitamento del sistema mondiale. Una fase di tassi di interesse elevati, come quella avviata dall'allora presidente della Fed Paul Volcker, a partire dal 1979, oggi non offre più alcuna via d'uscita. Attualmente, sono soprattutto i neokeynesiani a promuovere la creazione di miti che spostano le cause sistemiche della crisi su fenomeni esterni. Secondo simili tesi, si tratta solo delle conseguenze della pandemia, e soprattutto della guerra di aggressione russa, le quaòi devono essere considerate come se fossero esse le cause dell'aumento dell'inflazione. Questo ci ricorda l'interpretazione che veniva fatta del periodo storico della stagflazione, ancora oggi in voga, secondo cui sarebbe stata dovuta esclusivamente allo shock petrolifero del 1973. La fine del boom fordista, e con essa la crisi strutturale del capitalismo vengono bellamente ignorate.

Ma l'attuale ondata di inflazione non è semplicemente l'«inflazione di Putin» legata alla guerra. Anche un superficiale sguardo allo sviluppo della dinamica dell'inflazione, mostra chiaramente come essa abbia avuto inizio ancor prima dell'invasione russa dell'Ucraina, in reazione all'inondazione di denaro dalle banche centrali legata alla pandemia. Per assorbire il primo shock deflazionistico, dopo l'esplosione della pandemia, le misure di stimolo globali sono state pari a un multiplo di quanto era stato speso per stabilizzare il sistema finanziario globale, dopo lo scoppio delle bolle immobiliari nel 2007/08. In questo senso, gli shock "esterni" agiscono, nella migliore delle ipotesi, come acceleratori di crisi. L'inondazione di denaro, interagendo con lo scoppio della bolla di liquidità globale - la «bolla di ogni cosa» - deve essere intesa in quanto causa primaria della svalorizzazione del valore sempre più in atto. La limitazione o l'interruzione del commercio globale e la rottura delle catene di produzione durante la pandemia e la guerra in Ucraina, spiegano principalmente la recente accelerazione dell'inflazione dei prezzi. Tuttavia, nel caso della guerra in Ucraina appare altrettanto evidente anche l'interazione con il processo di crisi, in quanto Mosca, nel classico modo imperialista, ha lanciato l'attacco all'Ucraina come risposta al crescente dissenso, e ai disordini in corso nello spazio post-sovietico, strumentalizzati dall'Occidente. Inoltre, l'esplosione della crisi climatica in piena espansione sta spingendo l'inflazione, causando deficit di produzione - come quello dovuto alla mancanza di raccolti - e un aumento della domanda di energia; il Brasile, ad esempio, ha dovuto importare più gas naturale a causa della prolungata siccità e della limitata produzione di energia idroelettrica. Assai probabilmente, le conseguenze socio-economiche degli ultimi episodi di crisi non possono più propagarsi dai centri alla periferia. Soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca, che finora è stata ampiamente risparmiata dalla crisi e dove è stata solo la sola paura della crisi che ha dato ai partiti nazisti risultati elettorali a due cifre, i prossimi rivolgimenti politici potrebbero essere drammatici.

- Tomasz Konicz - pubblicato originariamente su Konkret 08/2022 -

Fonte: Tomasz Konicz Nachrichten und Analysen: Wertkritik, Krise, Antifa

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