All'inizio del suo libro "Il principio responsabilità", Hans Jonas cita un'«antica voce», il canto del coro dell'Antigone di Sofocle, andando in cerca di un'archetipica «nota tecnologica» (dal momento che nel suo libro, il nocciolo dell'argomentazione di Jonas è proprio questo: il modo in cui la promessa della tecnologia si trasforma alla fine in una minaccia, richiedendo pertanto una rinnovata riflessione etica).
Il coro di Sofocle canta le meraviglie della natura, precisando come però la più grande di queste meraviglie sia proprio l'uomo: per quanto schiumoso sia il mare, l'uomo si spinge avanti; per quanto dura possa essere la terra, l'uomo con i suoi strumenti apre solchi e pianta semi; l'ingegnoso essere umano intrappola con le sue reti i più piccoli pesci; con il medesimo ingegno addomestica gli animali selvatici, facendo del cavallo un compagno, del toro un servo; e per quanto possa aver scoperto rimedi a molte malattie, tuttavia l'uomo rimane impotente di fronte alla morte (il grande ostacolo contro il quale non esiste alcun ingegno possibile).
Certo, esisteva l'orizzonte infinito della natura, delle sue risorse e dei suoi misteri (come testimoniato dagli dei, queste finzioni che cristallizzano l'astrazione dell'infinito). Ma già con Marx emerge l'idea del capitale visto come un'avventura autoimmune, come una dinamica di espansione che conduce necessariamente alla sua implosione (un Saturno che non divora non i suoi figli, bensì sé stesso: Erisittone, colui che per quanto più mangi, tanto più ha fame, e che viene recuperato da Anselm Jappe ne "La società autofaga"). E arriviamo così a un altro profeta del negativo, Kafka, il quale scrive che «c'è una speranza, una speranza infinita, solo che non è per noi» (e non è certo a caso che Kafka compaia nel libro di Jonas in quanto contro-argomento al "principio di speranza" di Ernst Bloch).
fonte: Um túnel no fim da luz
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