«Edgardo Scott mette assieme una banda internazionale di pellegrini, scrittori, camminatori, e ci accompagna nelle pagine della grande letteratura». – Marino Magliani -
Un verbo, una parola, un atto: camminare. Sì, andare, vivere. Una forma di vitalità. Che si intenda l’attrazione per la diserzione di Rimbaud o l’inarrestabile malinconia errante di Sebald, di sicuro è qualcosa che c’entra con l’ispirazione. Edgardo Scott racconta aneddoti e vite di autori e pensatori che hanno fatto del camminare la ragione più autentica della propria creatività.
«Il flâneur non sembra essere consapevole di ciò che fa, di ciò che è. Si abbandona come un medium, una marionetta, allo spirito della città che lo trascina per le sue strade. Tuttavia, ci sono degli imitatori. Tutti vedono flâneurs ovunque, tutti sono dei flâneurs. Non può essere così. Il flâneur è associato al dandismo, a un determinato momento storico. L’ultimo furore della borghesia, la fine del XIX secolo, l’inizio del XX. Quell’intervallo di grazia che precede il crollo degli imperi moderni.»
(dal risvolto di copertina di: Edgardo Scott, "Viandanti". Edizioni ITALO SVEVO. Biblioteca di Letteratura Inutile, P.134 €16)
Girovagar m'è dolce
- di Bruno Quaranta -
Fino all'ultimo passo, mai l'ultimo, che ne invoca altri mille, e mille ancora. Discende anche dai versi di Borges («Buenos Aires, non cesso di vagare/per le tue vie, senz'ora e senza meta») "Viandanti". l'elogio dell'anima "che va" secondo Edgardo Scott, scrittore argentino quasi cinquantenne, collezionista, custode, esegeta di orme letterarie che si offrono come antidoto contro il nostro tempo ebbro, senza bussola, orfano della meraviglia. Ha un respiro salvifico questo viaggio, questo catalogo peripatetico: di camminatore in camminatore, di stagione in stagione, di contemplazione in contemplazione, di stupore in stupore, quale divisa "festina lente", come la barca virgiliana che nel segno della quies giunge ad approdare, «l'ancora cala da prora: stan sulla spiaggia le poppe».
Si vorrebbe salutare nel solitario esploratore di sé e della landa toccatogli in sorte, il flàneur. Se non che Scott distingue, suddivide la pepita. Nel viandante riconoscendo il genere, nel flàneur uno fra i suoi volti, con il passeggiatore, il walkman, il vagabondo, il pellegrino: «Ho voluto mettere ordine, un po' come il bambino che nelle grigie giornate d'estate comincia a raccogliere lumache, e poi le stende su un tavolo, le mette in barattoli diversi, le etichetta e le osserva». Il puer. Chi se non il fanciullo è naturalmente viandante? Quale viandante è tale se non si fa fanciullo? Ignaro di quello che Weber chiama il «disincatemento del mondo». Destinato a cogliere l'oro nell'ombra. Spalancato a ciò che il buon senso bolla come assurdo, non scorgendovi la poetica estravaganza, la felice fuga dall'ovvio. Giorno dopo giorno ripetendo e rinnovando «uno di quei giochi ossessivi» che permeano l'infanzia, «come camminare sul bordo del marciapiede, o camminare seguendo solo il percorso di certe piastrelle, di una certa geometria». Non si rammarichi il viandante se lo identifica tout court con il flàneur. Così illustri, del flàneur, i padrini, Poe, Baudelaire, il Benjamin dei Passages, che lo descrive come «un animale ascetico» attratto inesorabilmente dal prossimo angolo di strada, da un lontano mucchio di foglie, da un nome di boulevard, una figura mitologica aggirantesi «per quartieri sconosciuti, finché sfinito crolla nella sua camera, che lo accoglie estranea e fredda».
Vagabondi, per Scott, sono «soprattutto gli uomini che vogliono solo vagare». Non medium, non marionette, non adepti della città, con l'urgenza di viverla fino a diventarne una pietra, magari una pietra angolare. Vagabondi sono, per esempio, i barboni. Come - Viandanti è un'opera aperta, ciascuno può aggiungerne un rigo - il clochard di Simenon che sulle rive della Senna soavemente sta, leggendo Sagesse di Verlaine e Oraisons funébres di Bossuet. Non toccano invece il suolo, nel pantheon di Scott, i passeggiatori: levitano, si librano, il loro è «un paesaggio interiore. Un paesaggio fatto di visioni. Un paesaggio pieno di visioni». L'urgenza della promenade, il sigillo, il vessillo, la vocazione di Robert Walser. «Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittorio, o stanza degli spiriti...». Sino all'estremo «fuori di casa», la mattina del 25 dicembre 1956, raccontato da Carl Seelig: «Il viandante solitario aspira a pieni polmoni la chiara aria invernale...».
Di viandante in viandante. Il titolo nobiliare che Edgardo Scott conferisce, a dire il vero tentennando, ai walkman, la generazione con le cuffiette: «Quale canzone di musica popolare ha oggigiorno un testo, una lirica come quella di Machado?». Mentre non esita ad accogliere nel suo album i pellegrini, i girovaghi della fede, seguaci dello spirito, ancorché, avendo una meta sicura, non conoscano la malia dell'andare a zonzo. Che cosa hanno in comune, i flàneurs, i passeggiatori, i walkmans, i vagabondi, i pellegrini di Edgardo Scott? Risponderebbe il viaggiatore, sia pure motorizzato, Guido Piovene: «Un sentimento d'alba, qualche cosa di più profondo della giovinezza stessa. I nostri movimenti diventano gratuiti ed insieme determinati come quelli degli astri». Come sapeva il viandante tra i viandanti, in divin cammino verso «l'amor che move il sole e l'altre stelle».
- Bruno Quaranta - Pubblicato su Robinson del 5/8/2023 -
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