Nel suo racconto "La morte e la bussola", Jorge Luis Borges racconta la morte di Daniel Simó Azevedo, «un uomo di una certa fama nei vecchi sobborghi del Nord», uno degli uomini assassinati da Scharlach per coinvolgere il suo nemico, Lönnrot, in una trama poliziesca che è, allo stesso tempo, anche una trappola. Sempre a proposito di Azevedo, Borges ci dice anche che «era l'ultimo rappresentante di una generazione di banditi che sapevano maneggiare un pugnale, ma non il revolver».
Questo passare da un attrezzo di lavoro all'altro - dal pugnale al revolver - non rappresenta solo un fatto materiale, ma è come una sorta di simbolo, utilizzato da Borges, per raccontare in maniera condensata alcune metamorfosi: l'immigrazione, la città vista nella sua relazione con la campagna, e le frontiere, l'onore, la legge, le comunità maschili (nel passaggio dal pugnale al revolver, il segno di una trasformazione, e forse di una decadenza).
Ed ecco che in una simile prospettiva, assume nuova risonanza anche una scena del racconto "Il gobbetto" di Roberto Arlt, nella quale il narratore - un tipo strano che dubita dell'amore della propria fidanzata - incontra un giorno in un caffè un nano gobbo che subito gli appare come se fosse profondamente odioso; ha l'assurda idea di portare il nano gobbo a casa della sua fidanzata e di farlo baciare da lei: baciare il nano gobbo, per il narratore, sarebbe la prova d'amore che fugherebbe tutti i suoi dubbi. Ma quando il piano gli va storto e la promessa sposa rifiuta il bacio, ecco che il gobbetto, naturalmente, assume il suo ruolo di protagonista, estrae una rivoltella, e minaccia tutti i presenti in casa della fidanzata e pretende il suo bacio: per lui, è l'occasione di far pagare alla società gli anni di soprusi subiti (l'apparizione della rivoltella costituisce solo il culmine della costruzione di un personaggio odioso e pericoloso).
Ma se in Borges, il passaggio dal pugnale al revolver appare quasi come un problema, come un cambiamento che significa la morte di un mondo; in Arlt, invece, il problema non si pone nemmeno: il revolver è già un oggetto indispensabile, si trova già perfettamente integrato nella narrazione e nel mondo che sta esplorando. E questa dinamica potrebbe anche essere una possibile conferma testuale dell'ipotesi sollevata da Ricardo Piglia nel suo romanzo "Respirazione artificiale", secondo cui Borges sarebbe l'ultimo scrittore argentino del XIX secolo e Arlt, a sua volta, il primo del XX secolo: ecco che il passaggio dal pugnale al revolver, in altre parole, sarebbe anche il passaggio dal XIX al XX secolo.
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