Per T.S. Eliot i gatti ne hanno tre, di cui uno segreto; altrettanti ne ha Roma per Giovanni Pascoli. I nomi propri sono considerati un mistero anche dai teologi (quelli delle divinità sono spesso indicibili), dai filosofi, dai cultori di pratiche esoteriche, dalla Giulietta di William Shakespeare. Ogni giorno però li usiamo senza imbarazzi: per chiamarci l’un l’altro, per ordinare un prodotto commerciale, per dare indicazioni stradali. Con facilità li scambiamo con i nomi comuni, chiamando Roma “l’Urbe” e “una babele” uno stato di disordine. A mezz’altezza fra le speculazioni più criptiche e gli usi spensierati Nunzio La Fauci affronta i nomi propri là dove si trovano: nella lingua in atto. A partire da osservazioni minuziose e sorprendenti (un tempo Antonio diventava “Tonio” mentre adesso diventa “Anto”: perché?) l’analisi schiude prospettive sulla lingua come sistema. Si scopre così che nessun nome è proprio per sempre, o giammai lo sarà. Quella dei nomi propri non è una condizione ontologica: è una funzione.
(dal risvolto di copertina di: "Fare nomi", di Nunzio La Fauci. Bompiani, pagg. 328, € 23)
Mi chiamo Francesca ma è più fluido Franci
- Fare i nomi. Oggi lo schema delle abbreviazioni è tenere la prima e la seconda sillaba con una sola forma indeterminata, maschile e femminile. È uno degli spunti di Nunzio La Fauci in libro ricco di fuochi d’artificio mentali -
di Francesca Rigotti
«Fare nomi», non «dare nomi» che è ciò che fece Adamo nell’Eden, allorché il Signore lo incaricò di denominare e dominare piante e animali. Si potrebbe spiegare così, o anche con un «fare parole con nomi», l’attività descritta in questo libro dal suo autore, Nunzio La Fauci, siciliano, professore di Linguistica teorica all’Università di Palermo, poi per venti anni di Filologia Romanza all’Università di Zurigo, adesso di nuovo a Palermo, a insegnare discipline linguistiche. «Non c’è fatto, e i nomi sono fatti, che non comporti capacità di fare. Non c’è (de) nominazione che non comporti capacità di denominare».
Fedele all’assunto, La Fauci si premura in primo luogo di fare, di rendere ragione dei suoi propri nome e cognome, sottoponendoli agli stessi processi che illustra nel testo: Nunzio, nome per antonomasia dell’angelo che annunzia la grande gioia, e che corrisponde anche alla prima persona singolare dell’indicativo presente del latino nuntiare (nuntio vobis gaudium magnum); La Fauci, cognome apparentemente non concordante tra singolare e plurale, ma forma siciliana per la falce, fauci. Da qui La Fauci, un perfetto femminile singolare. Come si può intuire, La Fauci non solo i nomi li fa, o meglio spiega come si fanno, ma pure ci gioca, così da offrire un libro gustosissimo e scintillante di fuochi d’artificio mentali che forse non ci si aspetterebbe da un linguista (i linguisti sono tra i rappresentanti più austeri e meno goderecci delle scienze umane). Si fanno dunque nomi propri, spiega il linguista, con l’antonomasia (dal greco anto-nomazo, chiamo con un nome diverso, cambio il nome). Una figura di traslazione, parente povera delle più nobili metonimia e metafora. Più specificamente un processo in virtù del quale «un’espressione che include la forma di un nome comune (o di altra parte del discorso trattata come nome) prende valore di nome proprio». Esempi: il Cancelliere di ferro per Bismark, il Cigno di Busseto per Verdi, il Grande Timoniere per Mao, il Cavaliere per Berlusconi, la Ducetta per Meloni…
Ma La Fauci fa di più: nel capitolo dal titolo «Il bel paese». Fare nomi senza fare nomi costruisce un esilarante percorso della Storia d’Italia dal 1861 a oggi narrata esclusivamente per antonomasie, con nomi comuni dunque che prendono valore di nomi propri, che sembra un nuovo gioco di enigmistica (Riconosci i personaggi in base alle antonomasie). Propri? Un bel problema: persino il concetto di nome proprio viene qui messo in discussione: è proprio così chiaro in che cosa si differenzia dal nome comune? E poi, conta di più la parola e la sua forma, oppure il valore e la funzione che la parola assume nella lingua? Se imitando Petrarca dico a un amico «tu sei il mio Lucilio» (il nome dell’amico prediletto di Seneca), Lucilio è nome proprio o comune, e di che cosa è funzione? Insomma, spiega Nunzio La Fauci introducendo una sua innovazione terminologica, il nome proprio denomina e il nome non proprio fa altre cose. Le fa forse, mi chiedo, perché è impuro, sporco o sporcato da questa funzione, giacché «proprio» contiene anche il significato di pulito, educato, conveniente? Lo dice il francese, in primo luogo, dove propre vuol proprio dire pulito; ma anche l’inglese, per es. con l’avverbio properly (Close the door properly, delicatamente, senza sbatterla). E forse anche l’espressione italiana proprietà di linguaggio che non indica il possesso delle parole ma il loro uso corretto, nitido, pulito.
Parte dall’antonomasia, il saggio di Nunzio La Fauci, percorre nomi che diventano verbi (petrarcheggiare); passa per i nomi autorali (dei romanzi di Natalia Ginzburg e Alberto Arbasino), si occupa dei nomi dei calciatori nelle cronache radiofoniche e televisive, fa il nome di Leonardo Sciascia (Nanà Xaxà), spiega il nome della famosa compagnia mafiosa denominata (perché?) Cosa Nostra. Ci diletta in particolare con le trasformazioni dei vezzeggiativi o, in linguaggio tecnico, gli ipocoristici: Stefi per Stefano o Stefania, per intenderci, come la bimba disegnata da Grazia Nidasio sul «Corriere dei Piccoli» le cui avventure non abbiamo potuto leggere noi ma almeno le abbiamo lette ai nostri figli.
Il linguista ci fa notare un fenomeno che in molti abbiamo osservato senza sapercelo spiegare: che invece di abbreviare Lorenzo/a in Renzo e Renza si dice Lori; per Alessandro/Alessandra non si fa più Sandro e Sandra ma Ale, Francesco/Francesca fa Franci, e via così. Nel nuovo schema, alla prima sillaba del nome segue la seconda o un suo vestigio, con una sola forma che tende all’indeterminatezza di genere. Così anche l’antroponimia - esame dei nomi propri di persona che permette di aprire una breccia nell’analisi profonda dei comportamenti e delle mentalità delle persone proprio perché il nome è un forte marcatore culturale - accompagna l’onda della fluidità di sesso contribuendo ad abbattere proprio il regime normativo della differenza di sesso e di genere. E già che ci siamo notiamo che, nonostante Eva fosse stata esclusa dal momento della nominazione/dominazione, pare che siano proprio le donne all’avanguardia nei fatti e nei movimenti di lingua: sono infatti le donne, conclude La Fauci, che hanno un ruolo decisivo nella formazione dei parlanti, nel fare nomi.
- Francesca Rigotti - Pubblicato su Domenica del 30/7/2023 -
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