martedì 12 dicembre 2023

Percentuali…

In passato il termine «normale» era raramente associato al comportamento umano, piuttosto veniva usato in matematica: «normali» erano gli angoli retti e i triangoli, non le persone. Ma a partire dagli anni trenta dell’Ottocento, la «scienza» della normalità prese il sopravvento in Europa: iniziarono a proliferare i test del quoziente intellettivo, questionari sul sesso, censimenti delle allucinazioni e persino mappe della «tipica» bellezza femminile. La definizione della normalità e, di converso, dell’anormale e del deviante inizia a essere messa in discussione negli anni sessanta del Novecento, eppure ai giorni nostri non ci siamo ancora liberati dal desiderio, più o meno conscio, di adeguatezza o uniformità. Sarah Chaney passa in rassegna la normalità come concetto storicamente costruito: dall’«uomo medio» di Quetelet ai circhi dei freaks, dalla normatività sociale legata alle emozioni fino alle taglie dei vestiti, riservando una particolare attenzione alla sanità come strumento di controllo e alle impalcature pseudoscientifiche su cui fino a poco tempo fa si basava la medicina occidentale.  L’autrice mostra come ogni incarnazione del normale condivida certe caratteristiche sociali, valori morali e di classe, oltreché striscianti pregiudizi razziali. Questo sorprendente saggio spiega come il normale abbia plasmato non solo la nostra società ma anche ognuno di noi individualmente, svelando i meccanismi che a volte ci portano, senza volerlo, a forzare interpretazioni e a riprodurre giudizi normativi

(dal risvolto di copertina di: Sarah Chaney, "Sono normale? Due secoli di ricerca ossessiva della «norma»". Bollati Boringhieri, pagg. 274, € 27)

Che persona speciale, però anche normale
- Nuove ossessioni. In una società in cui l’individuo vuole sentirsi unico e amante della diversità, ci preoccupiamo di essere come gli altri per essere rassicurati sulla legittimità di desideri e azioni -
di Giuseppe Sciortino

I miei genitori temevano che noi figli fossimo non proprio normali. Lo stesso che penso io dei miei. Tutti i genitori che conosco fanno lo stesso. Sospetto i nostri figli, nel raro caso che pensino a noi, nutrano lo stesso sospetto su di noi. Anche la normalità dei vicini di casa, dei negozianti, degli amici e dei colleghi lascia spesso a desiderare. A essere onesti, siamo incerti persino su noi stessi. Come spiegarsi altrimenti il successo degli strumenti che ci rivelano quanto il nostro peso, la nostra attività sportiva, il nostro sonno o le calorie che ingurgitiamo si discostano da quelli degli altri? Sul mercato esiste persino una App che notifica al nostro partner quando la frequenza dei rapporti sessuali scende sotto la media delle altre coppie. Non sembra un grande stimolo erotico, ma il produttore giura lo sia. In breve, in una società che si vuole individualista e amante della diversità, ci preoccupiamo costantemente di scoprire se siamo o meno come gli altri. Vogliamo essere diversi ed unici, ma se vogliamo legittimare un desiderio o un’azione non troviamo niente di meglio del dire che è normale, che lo vogliono anche molti altri, se non addirittura quasi tutti. Sarah Chaney ha scritto un intero libro dedicato a cercare di capire quando sia nata questa idea di normalità e come abbia fatto a diventare così pervasiva.

Sono normale? Due secoli di ricerca ossessiva della norma sostiene che questa ossessione sarebbe nata poco meno di due secoli fa, quando un’idea sviluppata nelle scienze naturali venne trasformata in qualcosa – l’uomo «medio» – che si pensava utile per gestire scientificamente i problemi sanitari e sociali. L’idea ebbe un grande successo, visto che il resto del libro traccia la diffusione di questa idea attraverso in moltissimi campi, dalla salute fisica a quella mentale, dall’attività sessuale alla stessa vita collettiva. Non manca – e come potrebbe? –un capitolo sulla normalità dei figli. L’autrice non trova che la normalità sia stata una buona idea. Se la ricostruzione dei processi storici è una delle gambe del libro, la seconda è fornita dal racconto delle sofferenze prodotte dal suo scontro coi canoni di normalità che gli interlocutori e le istituzioni utilizzavano. Non sorprende che il volume sia soprattutto una chiamata alle armi, personale e collettiva, contro la stessa idea di normalità. Sono normale? è ben documentato e scritto piacevolmente, facendosi perdonare i molti giudizi tagliati con l’accetta. Fa riflettere su come la nozione di normalità, per come la usiamo, sia spesso la conflazione di cose diverse, persino contrastanti. È marcata da una endemica confusione tra empirico e normativo, tra normale e norma. Nella statistica per le scienze sociali, normale vuol dire soltanto che un insieme di eventi si distribuisce in un certo modo. Un modo tra altri, per quanto particolarmente utile nella comparazione. Per gli scienziati sociali, peraltro, i valori più interessanti sono spesso quelli meno frequenti. I figli che prendono trenta e lode in fisica nucleare, o i tassisti che chiedono maggiore concorrenza, si trovano infatti (e purtroppo) quasi sempre nelle code della distribuzione. Per quanto la Chaney lo sottovaluti, conoscere la frequenza di certi valori è molto utile nella vita quotidiana, se non altro per stabilire che gli spiedini di grillo sono un piatto ancora un po’ troppo di nicchia per servirlo alla suocera a Natale. Il problema nasce generalmente dal fatto che, nella vita sociale, la normalità viene associata ai valori medi, e questi a elementi quali «sano», «naturale» e persino «corretto». Col risultato di rendere chi esprime valori lontani dalla media un malato (nel caso migliore) oppure uno sbagliato (nel caso peggiore).

Chi parla di normalità, denuncia Chaney, crede di stare parlando del mondo com’è e invece vuole imporre il mondo per come gli piacerebbe. Troppe volte ciò che è stato presentato come normale era in realtà parziale se non aberrante. Se la critica è efficace, la struttura analitica del volume un po’ meno. Il punto debole è la convinzione, proposta in varie forme, che la trasformazione del dato empirico in pretesa normativa sia la ragione stessa per l’esistenza della normalità. Per Chaney, le varie concezioni di normalità con cui ci confrontiamo non sono un modo, più o meno corretto, di cercare di rappresentare la realtà. Sono sempre e comunque un costrutto ideologico volto a legittimare certe pratiche di potere. Il libro finisce così per essere una sorta di Foucault lite, per quanto scritto in modo molto più comprensibile di quanto non facesse il filosofo francese. In altre parole, l’autrice segna un punto importante –la normalità è una norma del nostro tempo - adottando, tuttavia, una prospettiva – è sempre e soltanto una questione di potere - che sembra impedirle di esplorare le cose più interessanti del fenomeno. Sotto il profilo metodologico, un po’ troppo spesso la Chaney sembra ritenere che contare gli esseri umani e ripartirli in categorie vada considerato comunque un abominio. E non c’è un solo rigo su quale potrebbe essere l’alternativa all’uso delle medie. Sotto il profilo sostanziale, il libro ignora come la stessa pratica di definizione della normalità sia cambiata nel tempo. Eppure, in molti casi, la normalità è divenuta negli ultimi decenni qualcosa che può essere definito soltanto al plurale. Persino le normalità più coriacee e normative son divenute più inclusive. Sotto il profilo politico, infine, non si dovrebbe dimenticare che il numero e le medie sono preziosi strumenti non solo per gli oppressori bensì anche per gli umiliati e offesi. «Siamo il 99%», il famoso slogan di Occupy Wall Street, non suonerebbe molto bene senza la percentuale. Per i nostri figli, dimostrare che il brutto voto in matematica è stato condiviso con un congruo numero di compagni è essenziale per salvare la paghetta. Il numero certe volte opprime, ma molte volte salva.

- Giuseppe Sortino - Pubblicato su Domenica del 30/7/2023 -

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