Critica del Valore alla vecchia maniera: commenti sul conservatorismo di sinistra di Anselm Jappe
- di Roswitha Scholz -
Anselm Jappe viene considerato un rappresentante della Critica del Valore, e ha fatto in modo che la Critica del Valore si diffondesse anche nei paesi non di lingua tedesca. Ha anche scritto quella che costituisce una "introduzione alla critica del valore" (“Le avventure della Merce” 2005). A volte viene persino considerato come se fosse stato il cofondatore della Critica del Valore, cosa che non è vera, dato che i principi fondamentali erano già stati formulati prima che Jappe, all'inizio degli anni Novanta, comparisse. Egli pertanto viene ritenuto un “esperto” - a livello internazionale – della Critica del Valore. Eppure, tuttavia, Jappe oggi rappresenta delle posizioni che costituiscono l’esatto opposto della Critica del Valore: mentre quest'ultima ha sempre criticato aspramente una concezione del capitalismo personalizzante, ecco che esso ora riappare improvvisamente proprio con Jappe, mostrando anche una certa vicinanza alle teorie del complotto (Jappe: Ha detto "dittatura sanitaria"?). Da allora ha incrociato altri critici del Valore che però non hanno partecipato a questa svolta. Da allora, lo vediamo accompagnato dalla sua passione per il romanticismo agrario, l'Ontologia e l'Antropologia, e dal suo “amore” per la Natura, e per quello verso una presunta natura umana che non si sottrae ai presupposti malthusiani. Su tutto questo, è ovviamente in linea con uno Zeitgeist autoritario che valorizza l’autenticità, la genuinità e simili. Anselm Jappe, nel suo testo “I vivi e i morti nella critica del valore”, sottopone la Critica del Valore a una revisione che, qui di seguito, costituirà l'argomento principale. Gli elementi essenziali della Critica del Valore, in questo suo articolo buttato giù troppo rapidamente, vengono travisati o distorti. Jappe tiene poco conto di quelli che sono stati gli ulteriori sviluppi successivi alla reazione di questa critica. Inoltre, molte delle obiezioni che solleva erano già state ampiamente discusse decenni fa. A tal proposito, gran parte di ciò che Jappe produce nel suo testo può essere affrontato con il metodo copia&incolla, che utilizzerò ampiamente anche in questa mia risposta. Jappe non risponde ad argomenti che sono stati avanzati da tempo, ma insiste dogmaticamente, ala vecchia maniera, su una critica del valore passata/morta.
1. La critica del valore ha una scarsa notorietà a livello internazionale
Anselm Jappe è infastidito dal fatto che oggi la critica del valore non giochi un ruolo importante, e su larga scala nella sinistra e in quelli che sono i suoi organi teorici. Badiou, Žižek, Negri, Harvey e perfino i non-marxisti come Judith Butler manterrebbero invece, tuttora, un posto centrale. Egli si rammarica del fatto che manchi un riscontro: i dinosauri marxisti, dei quali parlava la critica del valore negli anni Novanta, continuano a essere ancora dominanti. Essendosi essa concentrata sulla teoria, i movimenti sociali non le hanno fatto da campo di risonanza. Bisognerebbe dire che tuttavia, Kurz, ad esempio, non si è mai illuso sul fatto che il marxismo tradizionale fosse ormai finito. Finché è stato vivo, ne ha preso le distanze, evidenziando quale fosse ormai la sua esistenza da zombie. Va anche notato che - dopo la scissione avvenuta 20 anni fa - Krisis ha deciso di aprirsi anche alla prassi, cosa che si è riflessa nell’apertura ai beni comuni, all’economia solidale (tutte cose che, a mio avviso, costituiscono piuttosto dei pseudo-concetti, i quali possono essere utili invece alla gestione delle crisi), controversie in materia di locazioni, spettacoli, ecc.. L'obiettivo principale di Krisis non sembra più essere lo sviluppo teorico, ma piuttosto la “mediazione”. La “critica del valore” vista come un blocco solido, com'era nella fase iniziale, non esiste più, e ora quelle che vediamo sono delle varianti regressive; come quelle che possiamo trovare su werkritik.org e Streifzugs (streifüge.org). E Jappe si occupa anche di mediazione. Vorrebbe essere membro di una “scuola riconosciuta” che abbia finalmente ricevuto il massimo dei voti accademici. In qualche modo sembra che abbia puntato sul cavallo sbagliato. Ciò che colpisce, è che tanto la situazione quanto le condizioni sociali non stiano giocando alcun ruolo nel determinare quale sia per Jappe l’importanza della critica del valore. L'intera sinistra, oggi è indecisa e si trova in una situazione da “messaggio in bottiglia”, sia che lo voglia ammettere o no. Ecco perché gran parte di questa sinistra sta cercando di servire i clienti abituali in maniera populista – anche per quel che attiene alla teoria. Sebbene i dinosauri siano ancora lì, essi continuano pur sempre a essere dei dinosauri. La crisi fondamentale su scala globale sta facendo sì che , a un certo stadio del suo declino, si possano riscontrare delle regressioni di ogni tipo, sia da destra che da sinistra. La critica del valore viene respinta dall'establishment accademico; cosa che sa bene anche Jappe. Oggi, il lamento, da parte dell'establishment accademico di sinistra, di essere rimasto il solo tra i suoi, e di desiderare iniziative non universitarie, fa parte della routine che di tanto in tanto si ripete, senza che ne vengano tratte reali conclusioni; anzi, è in pratica il requisito per poter rimanere tra i suoi. (vedi Scholz, Fetisch Alaaf su Exit N°. 12/2014: exit-online.org ). Piuttosto, forse la critica della dissociazione-valore farebbe meglio a non cercare di farsi sentire da una sinistra che non solo minaccia di fallire, ma che ha già fallito. Il crollo del blocco dell'Est non è mai stato affrontato concretamente, l'attenzione si è concentrata piuttosto su Lenin e sugli altri defunti, così come sulla lotta di classe, sul lavoro, sulla critica dell'imperialismo, sulla regressione all'antisionismo, ecc.; detta in altre parole, si cerca di ritornare al secolo scorso. Tutto ciò evidenzia quella che è una regressione generale della sinistra. Forse sarebbe meglio criticare Badiou, Ranciere, Žižek, Agamben, ecc., anziché lamentarsi del fatto che non ci lasciano sedere al loro tavolo; il quale è già divento ormai solo "il tavolo dei bambini". Su "Exit!", il ricorso reazionario a San Paolo e alla religione (cristiana) in generale, mescolato ai cliché Schmittiani, volto a soddisfare un bisogno autoritario che sta diventando visibile ovunque, è stato oggetto di critiche (si veda: Herbert Böttcher: Hilft in der Krise nur noch beten, Exit No.16 /2019 ["Pregare nella crisi aiuta ancora", su obeco-online.org ]). Tuttavia, bisogna che la sinistra si riorganizzi in termini di contenuti, completamente. Come può un progetto come quello della critica della dissociazione-valore, essere diventato il culto di una setta - come dice Jappe - quando a essere in via di disintegrazione è la stessa chiesa marxista? Bisogna formarsi un "concetto" della situazione sociale in cui tutto ciò sta accadendo. Oggi, assai più che 30 anni fa, questo richiede un quadro di riferimento diverso, come la critica della dissociazione-valore ha richiesto in questi decenni, piuttosto che basarsi sui vecchi dogmi. Dopo la caduta del blocco orientale,Tutti gli sforzi per creare una "politica di sinistra" sono falliti. Anche i "Fridays for Future" non sono più così tanto popolari, e da tempo l'interesse per l'ecologia è diminuito. Al giorno d'oggi è facile trovare già dei giovani detriti del movimento, ancora poco più che ventenni, che sono completamente frustrati perché i loro sforzi per promuovere un'azione sostenibile per il clima non portano più da nessuna parte. Oggi, il movimento per il clima sta passando di moda. E tuttavia, la sinistra non si confronta con il fallimento della sinistra, ma cerca piuttosto di guadagnare punti in modo populista, in una competizione con la destra, sulla base di un feticcio di classe e del lavoro, dichiarando assai spesso che il razzismo, il sessismo, l'antisemitismo e l'antiziganismo, l'ageismo e l'ostilità verso i disabili come delle contraddizioni secondarie; anziché adottare un approccio più globale alla questione sociale. Il referente, per gran parte dell'attuale sinistra, è la persona normale, efficiente, disposta a lavorare e che si sente tradita da coloro che stanno al vertice, tanto più in quanto si sente minacciata di essere lasciata indietro. Non sono veramente interessati a tutti i socialmente deboli, i quali non possono soddisfare tali requisiti. Stanno cercando di unire lotta di classe ed ecologia; una contraddizione in termini. La critica della dissociazione-valore non deve limitarsi a lamentare questa situazione, ma deve perseguire il suo progetto in maniera offensiva e provocatoria, e svilupparlo ulteriormente. Il contenuto non può essere sacrificato sull'altare di una dubbia reputazione. E non è affatto detto che la critica (della scissione e) del valore, attualmente impopolare, non possa riemergere. La vecchia Scuola di Francoforte, per esempio, e persino lo stesso Marx sono stati a volte assolutamente out, rimasti oggetto di discussione solo nelle stanze sul retro, e questo fino a quando non sono riapparsi. Se questo valga anche per la critica della dissociazione del valore - che aveva raggiunto un certo grado di popolarità nel mondo negli anni '90 e 2000 - la questione è completamente aperta. Quel che è soprattutto importante è dire le cose come stanno, e non dare zuccherini alle odierne scimmie reazionarie, ricadendo nel romanticismo agrario con le sue implicazioni malthusiane e darwiniste sociali, che costituisce anch'esso una variante della regressione della sinistra. Oggi, dappertutto, ci si rifugia, non solo nella nostalgia della lotta di classe, ma anche, in modo altrettanto regressivo, nell'originalità, nell'autenticità e cose simili. Lo fa anche Jappe, con il suo far ricorso alla natura, alla natura umana e a una "cultura" che è ovviamente pensata come autentica. Anche Heidegger e "l'autentico" sono di nuovo diventati molto popolari. È la crisi dell'intero sistema (non solo economico ), in cui nulla è più normale (Stephan Lessenich), che porta a semplificazioni - anche nella formazione teorica - e vuole essere tale. Si vuole evitare il caos e la PoliCrisi così tanto glossata (economica, ecologica, politica, ecc.) grazie a concetti poco complessi. Pertanto, il disprezzo per la critica del valore ha anche delle ragioni sistematiche e ideologiche che vanno prese in considerazione e a cui va dato un nome, anziché sguazzare nell'insulto narcisistico e tenere il broncio mentre si cercano solo delle ragioni che siano interne al progetto per l'ignoranza della critica valoriale. È importante chiarire le insidie di questa sinistra e la sua mancanza di realtà, che alla fine non porta a nulla, e nel peggiore dei casi finisce in politiche di fronte trasversali.
2. Il crollo del capitalismo non c'è ancora stato
Come lezione del collasso del 2008 - che Kurz è stato uno dei pochi a prevedere, a sinistra, e che, oltre a lui, solo il "famoso" Immanuel Wallerstein, però da una direzione diversa, aveva previsto – la sinistra, dopo l'interludio della "Nuova lettura di Marx", non ha saputo fare altro che rifugiarsi nella negromanzia, e rivolgersi all'antagonismo di classe, visto come presunto nucleo del capitalismo. È a partire da qui che intendiamo spiegare la così tanto invocata PoliCrisi (anche se, nella discussione che si è svolta a partire dagli anni 2010, sono apparse molte idee, già formulate per la prima volta dalla critica del valore, ma ovviamente senza citare alcuna fonte! L'accademia le ha inventate da sé sola!!) È vero che Kurz se lo aspettava prima un crollo finanziario, ma il fatto che sia accaduto nel 1997 o nel 2008 – storicamente parlando – costituisce solo un battito di ciglia. Però non si può parlare di uno schianto improvviso, come avrebbe ipotizzato Kurz , e come insinua Jappe. Già nel 1986 Kurz aveva scritto nel suo articolo, "La crisi del valore di scambio", che: «Il collasso del rapporto di valore non inizia solo quando l'ultimo lavoratore viene eliminato dalla produzione immediata; Piuttosto, inizia proprio nel punto storico in cui il rapporto generale tra l'eliminazione e il riassorbimento del lavoro vivo di produzione diretta comincia a ribaltarsi, cioè già nel momento (e successivamente progressivamente nella misura) in cui (e come) il lavoro di produzione immediata più vivo viene eliminato e prima di essere riassorbito. Presumibilmente, per quanto si possa parlare di un punto del genere, questo punto è già nel passato, intorno alla prima metà degli anni '70: non è un caso che sia il crollo del sistema monetario di Bretton Woods, sia che l'inizio della disoccupazione tecnologica di massa, si collochino in questo periodo. Naturalmente, non si deve nemmeno immaginare, il crollo del rapporto di valore come un atto improvviso e una tantum (sebbene dei crolli e anche dei crolli improvvisi, ad esempio crolli bancari, fallimenti di massa, ecc. faranno certamente parte di un simile crollo), ma come un processo storico, un'intera epoca di forse diversi decenni, in cui l'economia mondiale capitalistica emerge dal vortice della crisi e dei processi di svalutazione, e da una crescente disoccupazione di massa ... »(Kurz, 1986, p. 35, corsivo op. cit.; vedi anche: exit-online.org ). Di conseguenza, i lavoratori dell'alta tecnologia non producono più plusvalore, come i lavoratori dell'industria, e come sembra supporre Jappe, ma lavorano – per dirla senza mezzi termini – per la propria razionalizzazione. Da tempo è diventato chiaro non solo che l'impossibilità di ottenere reddito attraverso la produzione di plusvalore, mediata da questo processo, abbia portato a uno spostamento verso il livello speculativo, ma che tutta la dinamica che in essa culmina, porta alla disintegrazione del capitalismo. Kurz ha riaffermato questo punto di vista anche nel suo ultimo libro: «La comprensione volgare, suggerisce che il "collasso" deve avvenire con la stessa rapidità con cui un individuo muore immediatamente allorché viene colpito da un grave infarto del miocardio. Se, in questo senso, il capitalismo non si è sbriciolato in polvere né dopo la bolla di Internet all'inizio del primo decennio del XXI secolo, né alla fine dello stesso decennio dopo il grande crollo finanziario del 2008/09, ecco che allora questo viene frettolosamente scambiato per una "invalidazione empirica" della teoria radicale della crisi, poiché ancora una volta la presunta "profezia" non sarebbe stata confermata. Vale a dire che, in modo donchisciottesco, la metafora viene intesa alla lettera, nella misura in cui l'orizzonte temporale della spiegazione viene ridotto a una sorta di attualità quotidiana. La differenza tra il tempo presente, o il tempo del mondo della vita, e il tempo storico ne risulta cancellata. Certo, questo è assolutamente inaccettabile ... Così come agli albori della modernità il capitalismo ha attraversato un'epoca di costituzione ricca di rotture e sconvolgimenti, ora sta attraversando un'epoca di dissoluzione interna... Per la teoria di un limite interno resa attuale in termini storici, il quadro temporale dello stesso coincide con la prima metà del XXI secolo... senza che sia necessario indicare una data precisa» (Geld ohne Wert, 2012 [Denaro senza valore]). Anche Wallerstein giunge a una valutazione simile. Scrive inoltre Kurz: «Ridurre la metafora del "collasso" all'attuale orizzonte della percezione è, naturalmente, un elemento della tattica discorsiva degli oppositori della teoria della crisi radicale, per quanto potrebbero sempre esserne pienamente consapevoli, dal momento che l'argomentazione è determinata anche da "sentimenti istintivi" pre-teorici» (ivi). Il grande "conoscitore" della critica del valore, Anselm Jappe, sembra aver completamente dimenticato questo fatto. Kurz ha sempre dato per scontato che il corso effettivo degli eventi non potesse essere previsto! Oggi, un "collasso della modernizzazione" è evidente anche nella cosiddetta PoliCrisi. Questo diventa chiaro nel momento in cui si guarda alla società nel suo insieme, e non solo all'economia. "Il mondo è andato fuori sesto" è una diagnosi che viene spesso fatta in relazione all'odierna situazione sociale globale. Jappe non è interessato nemmeno ai processi di disintegrazione nel "Terzo Mondo" (vedi Der Zusammenbruch der Peripherie [Il crollo della periferia] – Gerd Bedszent 2014). Nel complesso (non in ogni dettaglio) la critica del valore continua a essere più giusta della maggioranza dei teorici e degli accademici borghesi e marxisti, il che, naturalmente, non esclude delle correzioni. Tornerò su questo punto alla fine.
3. La critica del valore non tiene conto dell'ecologia
Jappe rappresenta il limite interno, l'ecologia, come se fosse questo il vero limite del capitalismo, quello con cui la critica del valore dovrebbe fare i conti. Ignora così deliberatamente il fatto che da molto tempo si lavori su tale tema; ad esempio,Tomasz Konicz ha pubblicato un libro sul tema del "Klimakiller Kapital "(che tuttavia Jappe però cita e critica in un altro suo testo) e ha inoltre anche scritto in modo molto esplicito su tale argomento. Kurz aveva affrontato il problema ecologico – come hanno anche fatto altri critici del valore – già negli anni '90, quando l'ecologia era completamente fuori discussione e si dava per scontato, in modo decostruzionista, che la natura fosse da sempre cultura, e che in realtà era più o meno come se non esistesse, o considerata come una questione minore la quale non merita di essere presa in considerazione. Anch'io ho difeso e continuo a difendere una dialettica sesso-genere-natura-cultura, nonostante tutte le obiezioni postmoderne. Per questo, nei dibattiti ne ho prese un sacco. Tuttavia, Kurz si pronuncia contro un "riduzionismo ecologico", seguito in questo anche da Jappe: «La fine della modernizzazione significa pertanto che non solo la forma capitalistica di riproduzione dev'essere superata, ma anche che una società mondiale post-capitalista dovrà affrontare per molto tempo le conseguenze di quella che è stata la distruzione capitalistica della natura, e ne subirà le conseguenze. Per l'analisi teorica e la critica della crisi, è importante vedere i due limiti storici nel loro contesto interno. Tuttavia, c'è il pericolo che i due momenti della crisi storica siano contrapposti, sia da parte delle élite capitaliste che dai rappresentanti di un "riduzionismo ecologico" che riconoscono solo il limite storico naturale esterno. La gestione capitalistica della crisi e il riduzionismo ecologico potrebbero entrare in un'alleanza perversa, la quale finirebbe per negare il limite economico e, in nome della crisi ecologica, predicare alle masse impoverite e miserabili un'ideologia di "rinuncia sociale". Contro tutto questo, è necessario difendere che la priorità debba essere data alla crisi, alla critica e al superamento del contesto della forma capitalista, perché la distruzione della natura è la conseguenza e non la causa del limite interno di questo sistema» (Robert Kurz, Der Tod des Kapitalismus, 2013) [Intervista alla rivista brasiliana "IHU online", 30.03.2009, obeco-online.org ]. Oh, se solo si fosse limitato alla richiesta di "rinuncia". Kurz probabilmente non avrebbe mai immaginato che la sua teoria, dimostrando il "muro energetico del capitale" (Sandrine Aumercier), avrebbe portato a conseguenze mathusiane e darwiniste sociali, come accade con Jappe! (vedi sotto). Kurz aveva smesso di essere un fan delle forze produttive e della tecnologia già dai primi anni '90: «… Per quanto riguarda gli artefatti capitalistici, un "programma di abolizioni" dovrà di certo coprire un campo d'azione molto ampio, dal momento che nel frattempo l'inquinamento capitalistico della forma delle cose è ormai andato avanti in maniera sorprendente. Tuttavia, anche per quel che riguarda gli artefatti capitalistici in senso più ampio, questo non può significare che si voglia attuare un programma di tabula rasa... Certamente, le forze produttive capitalistiche sono aggregate e socializzate in misura assai maggiore rispetto a quelle precedenti; tutte le tecnologie individuali sono interconnesse in maniera capillare. E in accordo con l'astrazione del valore, che nega ogni sensualità, tale connessione costituisce simultaneamente anche un sistema di forze distruttive. Questo, tuttavia, non può significare che qualsiasi aggregazione di tecnologie, competenze e conoscenze debba essere rifiutata sia da sola che in blocco. Ciò costituirebbe una negazione totalitaria, fatta secondo lo stesso principio di una logica che cerca di fare tabula rasa dei contenuti, essendo così nient'altro che l'inversione del feticismo ingenuo delle forze produttive del marxismo del movimento operaio. La negazione dei contenuti e degli artefatti non può iniziare aprioristicamente e indipendentemente dalla determinazione di tali contenuti» ("Tabula rasa" in: Blutige Vernunft 2004; vedi anche: Exit! n. 21, 2024 [Tabula rasa, www.obeco-online.org, 2003 ]). Quel che Jappe non riesce a vedere, è che in realtà la dissociazione del valore che egli mette in discussione, ha criticato il dominio e la distruzione della natura, e che ciò è stato sottolineato su Exit!, ad esempio in un testo di Johannes Bareuther (e questo collegamento viene ripetuto anche nei testi di Claus Peter Ortlieb o in quelli di Thomas Meyer). Nel presentare un articolo di Johannes Bareuther, su Exit! 12/2014 si legge: «Quando, nel XVII secolo, figure come Francis Bacon, Galileo e Cartesio formularono il programma, e le prime versioni di una nuova conoscenza della natura sotto forma di leggi e della corrispondente filosofia meccanicistica, le atrocità patriarcali della caccia alle streghe raggiunsero il loro apice in Europa. Riflettendo su questa sorprendente coincidenza storica, Johannes Bareuther sviluppa una riflessione sull'androcentismo della ragione che domina la natura. Si scopre così che, in realtà, la scienza meccanica della natura è essenzialmente dovuta alla socializzazione del valore che simultaneamente si è imposta, come ha già dimostrato Eske Bockelmann. Inoltre, però, le vestigia del crimine fondante del patriarcato mercantile - per così dire, della "dissociazione sessuale originaria" - possono essere individuate anche nelle categorie e nelle figure della nuova concezione della natura. Vestigia che poi verranno presentate nel corso del testo, in connessione concettuale con la dialettica tra dominio interno ed esterno della natura , da una parte,e le corrispondenti dinamiche del soggetto borghese maschile, dall'altra; la dissociazione sessuale può quindi essere riconosciuta come una condizione costitutiva della scienza moderna». [Exit! 12/2014, obeco-online.org ]
4. La critica della scissione-valore non è più necessaria
Qui appare chiaro come la teoria della scissione criticata da Jappe, che viene supposta come non necessaria, soprattutto oggi, non costituisce affatto semplicemente un ambito, una sfera al di là del valore, che potrebbe essere equiparata all’amicizia, alle associazioni, ecc., ma richiede invece un approccio fondamentale e categoriale. Per Jappe essa viene sostanzialmente sussunta sotto i termini “comunità e società” (Ferdinand Tönnies). La dissociazione del valore attraversa l'intera società, e lo fa in mediazione dialettica con il valore. Nonostante tutta la visibilità delle donne, ciò è dimostrato dal fatto che esse continuano a guadagnare meno degli uomini, non sono ancora rappresentate in politica e nella sfera pubblica come gli uomini, hanno meno opportunità di carriera nonostante tutte le norme a proposito di quote rosa, ecc. Essa avviene non solo sul piano materiale, laddove comprende attività riproduttive a cui non è facile assegnare il termine lavoro (amore, affetto, cura), ma anche sul piano culturale-simbolico, vale a dire, a livello della definizione normativa di mascolinità e femminilità, nonché a livello di una dimensione psicosociale, che include la costituzione del soggetto. Ciò dimostra anche perché le donne (metà della società!) e il cosiddetto femminile siano considerate inferiori. Jappe ha invece una visione esclusivamente funzionalista, e pensa la scissione del valore in maniera schematica: qui c'è il valore, e qui c'è l'Altro, nel quale praticamente riassume, vedendola come “scissione”, tutte le relazioni informali di qualsiasi tipo e di qualsiasi natura comunitaria. Valutandole fin dall'inizio in modo positivo, in linea, per così dire, con la condizione umana. Sembra avere una sorta di idea della sfera riproduttiva quasi tipo Ninna-Nanna. Jappe la vede piuttosto come un “porto di risonanza” (Hartmut Rosa), per così dire, senza riconoscere la propria ristrettezza mentale, l'esistenza reificata in quanto spazio separato, e la sua natura compulsiva per le donne. Tuttavia, le attività di assistenza nella sfera privata sono tutt’altro che universalmente piacevoli, sia in termini di educazione dei figli che della loro cura. Malgrado tutta la casalinghizzazione degli uomini, queste attività oggi spettano ancora principalmente alle donne, nonostante anch'esse abbiano un lavoro. Una migliore istruzione e una maggiore occupazione tra le donne portano a delle costellazioni che spesso sfociano in violenza, soprattutto quando le donne diventano visibili come amministratrici della crisi, nell’economia e nello Stato. Le donne (ma anche le migranti, sempre più presenti nello Stato e nell’economia) conquistano in questo modo delle posizioni di comando su una nave che affonda (Andreas Urban dovrebbe in realtà applaudire alle affermazioni di Jappe, così come questi le ha elaborate nel suo testo “Spitzenfrauen” (Exit No. 18 2021, si veda anche wertkritik.org ). È noto che la violenza contro le donne e i femminicidi sono in aumento. Bisognerebbe essere ciechi per non vederlo; sulla scia di una svolta generale a destra, anche l’antisemitismo e il razzismo stanno aumentando. Questo per quanto riguarda la vuota astrazione di Jappe secondo cui «la logica feticistica si è staccata dai suoi supporti» (una visione che era presente nella Critica del Valore, soprattutto negli anni '80). Qui, ”l'empirismo” che egli altrimenti apprezza così tanto, ovviamente non interessa. Vuole sostenere una critica astratta e androcentrica del valore, e così facendo dà mostra di volersi aggrappare alle tradizionali poltrone della supremazia maschile; in realtà, questa stessa “logica feticistica” si basa, fin dall’inizio, sulla logica della scissione del valore. Donne e classe operaia, non possono essere semplicemente equiparate; anzi, quanto più questa classe si è diradata economicamente negli ultimi decenni, tanto più è diventato chiaro il problema del sessismo, ma anche del razzismo, il quale è sempre esistito, ma che finora, nella migliore delle ipotesi, è stato emarginato. Con l’aumento dei movimenti di destra, ma anche con il recente emergere di una sinistra retrò, questi problemi vengono nuovamente ancora una volta relegati in secondo piano, se non addirittura negati. Dovremmo opporci con veemenza a questo! Negli ultimi anni, anche Krisis si è apparentemente sentita in dovere di includere le questioni femministe e il razzismo su una scala più ampia (anche se, significativamente, non ci sono riferimenti ad elaborazioni che provengano dalla critica della scissione-valore che aveva messo tali questioni all’ordine del giorno fin dall'inizio). L'ultimo esempio: Ernst Lohoff, che ha combattuto per anni la critica della scissione-valore, ora la affronta nel testo "Jenseits des Homo faber oder die Rückgewinnung der Lebenszeit” ["Oltre l'homo faber, o il recupero del tempo della vita]", 2024, e la rivendica per sé senza citare l'autore – vedi www.krisis.org). La dissociazione-valore conferisce uguale spazio anche ad altre disparità (comprese quelle socioeconomiche), rispetto alla relazione gerarchica di genere (non posso approfondire ulteriormente questo argomento qui, e ho già discusso questa connessione in dettaglio nel il mio libro Krise der Differenzen ["Crisi delle differenze"], 2005). Non c’è da stupirsi che Jappe citi invece all’improvviso, contro la critica della scissione-valore, le analisi “concrete” di Mies e Federici, dal momento che esse sostengono un approccio di sussistenza la quale anche Jappe tiene molto. Negli approcci che tollerano le attività riproduttive femminili la “scissione”, a differenza di Jappe, ha un posto decisivo. Jappe, che diversamente non vuole saperne molto di femminismo, adotta semplicemente questi approcci per il suo punto di vista. Tuttavia, a mio avviso, tali approcci di sussistenza sono delle pseudo-soluzioni che andrebbero criticate per la loro ristrettezza e nel loro orientarsi verso la filosofia di vita e il vitalismo, anziché tentare di cercare un dialogo. È scandaloso che egli affermi che l’approccio della scissione-valore, dopo il mio testo “Il valore è l’uomo” (1992), non sia più stato ulteriormente sviluppato. Ho scritto un intero libro su “Il genere del capitalismo” (la prima edizione è stata pubblicata nel 2000!) nel quale ho sviluppato ulteriormente la critica alla separazione del valore, in discussione con altre teorie femministe; un libro che al momento andò incontro a un netto rifiuto da parte dell'associazione maschile Krisis. Gli studi empirici da me citati, ai quali peraltro Jappe attribuisce così tanta importanza, a quanto pare non rientrano nei suoi concetti. La critica della dissociazione del valore segue – se si vuole – un approccio multilivello, il quale assegna anche tanta rilevanza sia al livello storico ed empirico-sociologico, quanto alla dissociazione del valore in quanto principio della forma di società a livello macro. Inoltre, può servire ad affrontare tanto il sessismo quotidiano quanto la "micro-misoginia" (Carola Padtberg), così come essa si sta diffondendo oggi che il sessismo grossolano non riesce più a passare così facilmente, allo stesso modo dell'aggressività maschile fluttuante, che non è legata agli impegni sociali. Nel suo sviluppo, la teoria della dissociazione del valore tiene effettivamente conto dell'empirismo, anche se lo fa senza ipostatizzarlo, insistendo nel riferirsi ad esso al livello della forma. Secondo Jappe, ovviamente, la gerarchia di genere generalizzata non richiede una percezione sistematica e categoriale, dal momento che non sono solo le donne ad essere attive in ambiti privi di valore. Il fatto che la teoria debba sempre essere necessariamente un'astrazione, viene qui del tutto "dimenticato". Ecco perché una relazione sociale così talmente centrale, come la relazione gerarchica di genere, non avrebbe bisogno di essere determinata teoricamente e categorialmente. Per Jappe, in ogni caso, rientra nella rubrica dell'ontologia e dell'antropologia, come diventerà chiaro più avanti nel suo testo. Naturalmente, l'omofobia e la transfobia per lui non sono un problema. Assume di per sé la posizione tipo di un "maschio etero compulsivo", così come venne polemicamente formulata da Robert Kurz. Come già accennato, la dissociazione del valore ha anche un lato culturale-simbolico e psicosociale. Questo fatto dimostra anche la sua rilevanza ai fini della critica del tema illuminista. L'analisi del discorso può essere utilizzata per mostrare come si costituiscano le idee di mascolinità e di femminilità, di gerarchia di genere e di dominazione maschile: dal punto di vista psicoanalitico, per assumere il ruolo femminile, la ragazza si identifica con sua madre; Il ragazzo, invece, deve allontanarsi dalla madre e identificarsi con il padre in modo da poter così diventare un "uomo", e nessuno così venga attratto da idee astratte di genere. È quindi necessario distinguere tra il soggetto e l'individuo, senza però che gli individui concreti riescano a sfuggire completamente alle standardizzazioni tipiche del genere. Questi due livelli sono decisivi per la costituzione del soggetto (Illuminismo), o del soggetto maschio-bianco-occidentale (MBO), come lo chiama anche Kurz; un soggetto che nel capitalismo e nel patriarcato moderno si presenta come l'Uno, si vede come l'essere umano in sé, e pretende di rappresentare l'universale, immaginandosi superiore a tutti gli altri, e razionalmente, "per natura", in quanto dominante egli ne deriva il suo diritto di governare il mondo. Anche se si deve fare una distinzione tra soggetto e individuo - ossia che l'individuo non viene assorbito dai concetti di genere - gli individui vengono comunque influenzati dalle attribuzioni corrispondenti. Il livello culturale-simbolico e psicosociale, è pertanto perfettamente inserito nella critica della dissociazione del valore, come chiede Jappe, ma lo è in modo completamente diverso da quello che lui immagina, nella sua visione antropologica e ontologizzante.
5. La critica all'illuminismo e al soggetto si spinge troppo oltre
Jappe insiste sull'ambivalenza dell'Illuminismo. Il fatto che Kurz critichi radicalmente il tema dell'illuminismo costituisce per lui una spina nel fianco. Lo accusa persino di non aver preso sul serio la dissociazione-valore. Così, ad esempio, Kurz, nelle sue analisi politico-economiche si troverebbe nel suo elemento, un uomo "completo", "reale", per così dire; ma nella sua critica all'Illuminismo, e al soggetto maschile dell'Illuminismo, invece, emergerebbe un Kurz "essoterico", che al massimo rimane alla superficie e diventa, per così dire, donna (probabilmente tutto questo glielo ha sussurrato in qualche modo la moglie), che in quanto tale esce dal livello categoriale fondamentale, meramente critico valoriale, che si suppone sia quello reale. È possibile che, per quanto riguarda i dibattiti sulle categorie interne del marxismo (lavoro astratto, denaro, ecc.), Kurz abbia accennato solo di sfuggita alla dissociazione. Ma nel suo libro Das Weltkapital (2005), l'ha presa come punto di partenza; per questo è stata criticata da alcuni critici (nel 2005 il femminismo era ancora marginale, cosa che sarebbe cambiata negli anni successivi). Tuttavia, egli aveva riconosciuto da tempo che, all'interno del marxismo, i contenuti dei dibattiti non sono tutto, né costituiscono la totalità. Questo vale anche allorché prende di mira criticamente l'Illuminismo. Kurz, qui si occupa di una critica radicale della forma soggetto maschile, che può essere studiata in Kant, per così dire, sotto una lente d'ingrandimento. Per lui si tratta quindi di rompere con il «modo feticistico di pensare e di agire» (Tabula rasa). Ecco perché «ciò che conta è, da un lato, rivederlo in tutti i suoi angoli e le sue fessure (dell'Illuminismo, R.S.), argomentando con particolare cura, e tenendo conto di tutti i suoi livelli e non lasciando aperta, con una subdola scusa, nemmeno una porta di servizio». In tal modo egli difende un approccio differenziato, ma subito prosegue: «Questo, tuttavia, non può in alcun modo significare una rinuncia alle tesi di affinamento... D'altra parte, la critica dell'Illuminismo deve agire anche in modo particolarmente aggressivo, dacché solo a questo punto si raggiunge la fonte di tutta la paralisi, e la cecità di quello che avrebbe dovuto essere il pensiero emancipatore della modernità» (ibid.). Il razzismo, l'antisemitismo, il sessismo, ecc., non sono solo una conseguenza dell'Illuminismo, come dice Jappe, ma sono ad esso inerenti. Il discorso dell'Illuminismo non è certo una costruzione uniforme e anche lì troviamo affermazioni che possono essere imputate a Jappe, con il suo androcentrismo. Poullain de la Barre afferma, da una prospettiva cartesiana: «L'uomo è sempre giudice e parte in causa allo stesso tempo». In Germania, Hippel si oppose al biologismo e sostenne il "miglioramento delle donne". Ma questo non altera la corrente dominante dell'Illuminismo, che ha prevalso, né la forma del soggetto maschile che l'accompagna. Jappe cita la fine della schiavitù come un successo del pensiero illuminista. Ma il fatto è che, tuttavia, negli Stati Uniti, molti neri anche successivamente continuarono a vivere nelle stesse condizioni di prima. La segregazione razziale negli USA venne abolita solo nel 1964, vale a dire, alle soglie del postmodernismo, quando allora veniva messo in discussione l’Illuminismo. Rousseau viene generalmente considerato come classico moderno della “polarizzazione dei caratteri sessuali” (Karin Hausen) e come il fondatore del patriarcato moderno. E solo sulla base di questa “polarizzazione” che i diritti delle donne sono aumentati. La possibilità, che avevano gli uomini, di vietare alle mogli di lavorare è stata rivista solo nel 1977 nella Repubblica Federale Tedesca. Nei tempi moderni, le relazioni di genere asimmetriche dell’era premoderna sono state trasformate in una qualità completamente nuova. Bisogna tenere conto di questa nuova qualità. Jappe sostiene di vedere “l’ambivalenza dell’Illuminismo” e si chiede «su che cosa dovrebbe realmente basarsi la promessa di una anti-modernità emancipatrice», sostenuta da Kurz, e che rimane sospesa nell’aria senza ricorrere all’Illuminismo. All’inizio degli anni Duemila la critica all’Illuminismo era ancora ai margini e veniva portata avanti soprattutto da posizioni post-strutturaliste e post-coloniali, che in questo paese erano marginalizzate e di natura diversa dalla critica della dissociazione del valore. Ma nel frattempo le cose sono cambiate. Anche Axel Honneth scrive: «... è stato il colonialismo che ha creato per primo la prosperità economica dell'Occidente, e quindi la base sicura su cui siamo stati in grado di forgiare i nostri ideali morali di un ordine pacifico fatto di libertà e uguaglianza. Non solo la nostra ricchezza, ma anche i principi normativi su cui abbiamo sempre basato il nostro ruolo pionieristico a livello mondiale, sono nati sul terreno sanguinario dello sfruttamento coloniale. È quindi più che opportuno esaminare criticamente questi ideali, il nostro pensiero e le nostre azioni fino ad ora. Un semplice sguardo alla forgiatura delle idee occidentali mostra fino a che punto questo compito risale al nostro passato: nel Leviatano di Thomas Hobbes, il testo fondante della moderna tradizione del pensiero politico in Europa, la sottomissione dei popoli era tacitamente giustificata per i popoli indigeni del Nord America. Dopotutto, si presumeva che fossero ancora nel cosiddetto stato di natura. In termini di teoria della storia, già nel XVII secolo ciò aprì la strada alla filosofia politica e alla teoria sociale per arrivare alla convinzione che l'Occidente rappresentava la norma di tutte le conquiste socio-culturali» (da "Ein Sockel muss bleiben" ["Una base deve essere mantenuta"]: in zeit.de). Certo, Honneth non sarebbe Honneth se non volesse mantenere l'illuminismo almeno come "base", soprattutto la sua capacità di distanziamento, mentre Kurz va oltre e parla del fatto che ci deve essere anche un «distanziamento dalla capacità di distanziamento» (senza però cadere in un pensiero di autenticità e genuinità (che non può essere approfondito qui), e che pertanto il distanziamento stesso deve essere seriamente messo in discussione a livello teorico astratto (Kurz: "Tabula rasa", vedi sopra). Così, Daniel Loik, che appartiene all'ultima generazione della Scuola di Francoforte, scrive con un po' di giri di parole: «La critica di Du Bois rivolta alla linea del colore, ricorda alla società americana il principio di uguaglianza per il quale essa si è impegnata nella sua Costituzione e nei suoi ideali ufficiali. Tuttavia, questa critica non implica semplicemente una richiesta per il completamento o la realizzazione di questi ideali. Al contrario, come materialista, mostra perché questa contraddizione deve sorgere nelle condizioni economiche e politiche esistenti.La sua critica... ci spinge a superare condizioni che violano costantemente le loro norme. Non vuole completare un mondo, ma piuttosto 'crearne' uno nuovo» (Daniel Loik: Die Überlegenheit der Unterlegenen [La superiorità degli inferiori] 2004). Non è quindi possibile limitarsi a mantenere la libertà, l'uguaglianza, i diritti umani, eccetera. Le trappole anti-emancipatorie dell'Illuminismo sono ora diventate fin troppo evidenti. In suo nome si sono scatenate guerre e massacrati popoli con fervore missionario. Anche Honneth ora deve prendere le distanze da sé stesso, almeno in parte, sotto la pressione del "potere normativo dei fatti", per così dire, quando gli Altri sollevano sempre più obiezioni. Al giorno d'oggi, una critica sociale non può più fare una critica immanente ingenuamente sulla base dell'Illuminismo; è diventato fin troppo chiaro che la libertà e l'uguaglianza sono esse stesse coinvolte nello sfruttamento e nella discriminazione degli Altri. Una critica emancipatrice immanente oggi può essere raggiunta solo riconoscendo questa contraddizione e non prendendo l'Illuminismo e i suoi valori come standard, come fa Jappe. Lo stesso Kurz vide perfettamente le contraddizioni del pensiero illuminista: «... È anche importante evidenziare la contraddizione interna della stessa filosofia illuminista. Ma questo semplicemente non può avvenire nello stesso modo in cui è accaduto fino ad oggi, così come quando, ad esempio, anche lo stesso Adorno ha cercato di estrarre da questo corpus repressivo di idee caratterizzate da un'ideologia autoritaria un presunto elemento "buono" ed emancipatore. Piuttosto, può essere solo una questione di dimostrare come l'Illuminismo sia impigliato in antinomie e aporie impossibili da superare nella propria sfera, svelando così involontariamente come il totalitarismo della socializzazione del valore non funzioni e non possa funzionare» (Negative Ontologie, 2004) [Ontologia Negativa, 2004, obeco-online.org]. Si raccomanda vivamente di leggere i testi originali implicitamente criticati da Jappe piuttosto che credere all'interpretazione di Jappe.
6. Ritorno all'ontologia, all'antropologia, ai contadini e agli artigiani
Ma se si osserva Jappe più da vicino, ci si accorge, tuttavia, che la sua insistenza sull'ambivalenza dell'Illuminismo costituisce più che altro un adesione ideologica alle idee del romanticismo agrario. Non sorprende che egli citi positivamente il filosofo illuminista Denis Diderot, il quale – anche questo fa parte della tradizione illuminista - difende e sostiene il "buon selvaggio". Già nel 2003, Robert Kurz, in risposta alle obiezioni di Jappe scriveva: «L'apologetica e l'affermazione più o meno chiara di questa ‘falsa’ forma dell'io (la forma soggetto, R.S.) e va di pari passo con un'esigenza ontologica che in qualche modo vuole affidarsi alla falsa continuità della coscienza, che tuttavia non può che essere a sua volta solo una continuità della forma con la quale bisogna rompere. Anche all'interno della critica, questa esigenza ontologica si manifesta come spinta a costruire una logica positiva di sviluppo, una sorta di galleria ancestrale, una sequenza generativa all'interno della quale potersi in qualche modo collocare». ("Tabula rasa", vedi sopra). Scrive ancora Kurz: «La rottura ontologica va quindi evitata, localizzando il positivo retroterra ontologico nel pre-passato, in un modo quasi agrario-romantico. Jappe formula in questo modo la sua anti-critica della critica radicale dell'Illuminismo, in contrasto con gli apologeti della modernità, non tanto per amore dell'Illuminismo, quanto piuttosto per salvare la società agraria premoderna intesa come quadro di riferimento ampiamente positivo, e quasi come punto di riferimento per la critica dell'Illuminismo... ma dal momento che non ci può comunque essere un ritorno alle forme premoderne, ecco che, in ultima analisi e in una simile argomentazione, il momento apologetico della forma minaccia di fiancheggiare involontariamente il soggetto logico della scissione del valore...» (ivi). Jappe vuole tornare alle vecchie società di contadini e artigiani, che fanno anche a meno di quegli utili artefatti tecnologici non "avvelenati dalla forma" (Robert Kurz) (andrebbero usati, tutt'al più per sostenere l'artigianato e l'agricoltura). In questo contesto, va compresa anche la sua insistenza sull'antropologia, la quale si accompagna a un'ipostatizzazione della "cultura", sebbene sia costretto ad ammettere che la costituzione psichica è molto plastica.
7. Universalismo e particolarismo: sì, ma in una veste culturalmente conservatrice.
È in questo contesto che va anche vista la sua critica a presupporre un'universalizzazione assoluta della forma valore, che astrarrebbe dalle singole culture. Ho già scritto nel mio libro "Das Geschlecht des Kapitalismus" (2000/2011) ["Il sesso del capitalismo", 2025]: «Pertanto, la dissociazione del valore va vista globalmente, come un principio formale del patriarcato produttore di merci, e questo anche considerando che lo sviluppo nella forma della merce patriarcale non si è verificato uniformemente nelle diverse regioni del mondo ..., anche nelle società (precedentemente) con simmetria di genere, in cui le moderne idee occidentali di genere non erano state, o non sono state, pienamente adottate fino ad oggi» (Scholz 2011/2000: 127). Nel mio libro "Differenze di crisi – Crisi delle differenze", ho difeso la diversità, anche per quanto riguarda l'Europa, ma senza assolutizzare questa diversità. È importante considerare i rispettivi contesti, ma vedendoli sullo sfondo della dissociazione del valore in quanto contesto formale, cosa che include naturalmente il livello culturale-simbolico. Nelle mie osservazioni, nel “Gender Book”, ad esempio, ho usato la Giamaica come esempio concreto ed empirico in cui Irmgard Schulz dimostra la ferocia del patriarcato. Nel mio saggio "Forma sociale e totalità concreta", io stessa ho insistito sull'inclusione dei livelli empirici e concreti, visti sullo sfondo della forma sociale: «Essa viene trattata nel suo punto fondamentale... per cui in generale i piani più concreti, e i loro riferimenti ai contenuti nello sviluppo della totalità capitalistica, compreso ciò che non è assorbito in essa, non possono in nessun caso essere trascurati come non essenziali, così come, al contrario, tutto ciò non può essere denunciato come "esoterismo" astratto e vuoto. Al contrario, l'analisi concreta che non vi è assorbita, è sempre riferita a quel contesto» (Scholz: "Gesellschaftliche Form und konkrete Totalität" Exit! 6/2009 ["Forma sociale e totalità concreta", obeco-online.org, 2009]). Il fatto che si debba prendere in considerazione ciò che non si fonde in questa forma, deriva dalla critica della logica dell'identità, la quale è essenziale alla critica della dissociazione del valore. Jappe semplicemente ignora tutto questo, o non l'ha letto o non vuole prenderne nota. Ciò probabilmente perché Jappe essenzializza in maniera efficace la cultura. Bisogna anche riconoscere che le culture e le società tradizionali non sono mai state un paese delle meraviglie. Ad esempio, Kurz scrive che: «Sarà difficile invocare, per esempio, la mutilazione sessuale delle ragazze come se fosse un "contenuto culturale" positivo, e certamente non come un meraviglioso potenziale di resistenza di una cultura agricola premoderna che non è stata ancora corrotta dalla il rapporto valoriale contro le esigenze moderne». ("Tabula rasa", vedi sopra). A questo punto va criticato il fatto che nel femminismo e nella sinistra in generale, oggi prevalga un tabù dell'astrazione, e che ci sia una rinnovata insistenza sulla classe, sull'identità, ma anche sull'autentico, sul genuino e simili, in un modo pseudo-concreto, e astraente dalla forma. Il pensiero vitalistico e concreto di Jappe sostiene i risentimenti antisemiti, i quali sono strettamente legati a quello che è un sentimento contro l'astratto. Da un lato, nel testo qui analizzato, Jappe difende una critica del valore non personalizzante, ma in altri testi egli assume quello che appare come un tradizionale antagonismo di classe, ivi comprese le fantasie cospirative ("Haben sie Gesundheitsdiktatur gesagt?" [Avete detto dittatura sanitaria?] wertkritik.org). È evidente come qui ci sia una dissonanza cognitiva che non può più essere spiegata razionalmente.
8. “Scomparire dalla Terra” non ha nulla a che fare con il malthusianesimo e il darwinismo sociale?
Jappe si difende con le unghie e con i denti dall'accusa di malthusianesimo e di darwinismo sociale, per quanto esse si trovano chiaramente espresse nella sua opera. Nel testo "Von Mixern und Sozialdarwinisten [Sui miscelatori sociali e i darwinisti]" scrive cinicamente: «Naturalmente, non c'è bisogno di essere malthusiani per rendersi conto che otto miliardi di persone sono davvero tante. Il forte aumento della popolazione non è affatto "naturale", ma rappresenta una conseguenza della diffusione globale del capitalismo, la quale in tutti i paesi ha attraversato una fase in cui la popolazione è raddoppiata, o triplicata nel giro di pochi decenni. Ma ci sono anche buone ragioni per credere che l'agricoltura non industriale, su piccola scala, e a bassa tecnologia, possa nutrire non meno , ma forse anche più persone dell'attuale agroindustria high-tech». Tuttavia, ben presto scrive nuovamente: «Non c'è bisogno di negare il fatto che l'attuale dimensione della popolazione pone un problema per una trasformazione post-capitalista, nel contesto della quale anche il potenziale tecnologico dovrebbe essere radicalmente ridotto». In una discussione tortuosa e incoerente, vorrebbe poi venderci i suoi artigiani e le sue comunità contadine, come se fossero «l'opposto del darwinismo sociale»: «Questo sarebbe esattamente l'opposto del darwinismo sociale. Di fronte a otto miliardi di persone e alle scarse risorse, dovremmo innanzitutto concentrarci prima sulla cosa più importante: fornire a tutti cibo e beni di prima necessità attraverso l'artigianato. Naturalmente, questo deve essere fatto su una base egualitaria e accompagnato dall'abolizione dei privilegi e delle gerarchie. E naturalmente c'è bisogno anche di un nuovo equilibrio tra città e campagna, vale a dire di un ritorno alla campagna». Sarebbe questo il modo in cui viene presentata la sua combinazione di illuminismo e contro-illuminismo, anche se va detto che illuminismo e darwinismo sociale non si escludono a vicenda. Il darwinismo sociale e la «scomparsa dalla faccia della terra» (Robert Kurz, Schwarzbuch Kapitalismus [Il libro nero del capitalismo] 2000) non sono mai stati estranei al «vero Eden dei diritti umani» (Marx). Jappe critica il fatto che Exit! si preoccupi di «prevenire immediatamente la sofferenza da parte delle persone specifiche». La resistenza alle condizioni sociali è sempre stata associata a delle "reazioni violente". In tutta serietà, l'apologeta dell'Illuminismo Jappe propone il suo malthusiano «scomparire dalla faccia della Terra» in relazione al fatto che potrebbero essere necessarie delle «reazioni violente» contro il fascismo, per esempio. Con la sua ossessione per la natura, non solo egli accetta le morti causate dal coronavirus, ma cammina anche sui cadaveri in altri modi. Chiunque non voglia partecipare è accusato di «ricatto morale». All'inizio degli anni '90, Robert Kurz ebbe a scrivere contro le chiacchiere astratte sulla giustizia: «Ma un '"diritto" alla vita, al cibo, all'abitazione, ecc. è di per sé assurdo; ha senso solo in un sistema di riferimento sociale che tende a non dare per scontati tutti questi fondamenti elementari della riproduzione umana, ma al contrario li mette costantemente in discussione oggettivamente» (Kurz 1993: 31). Jappe e i suoi seguaci stanno ora contestando questa evidenza, che non ha bisogno di giustificazione morale, e lo fanno in nome della critica del valore, con argomenti darwinisti sociali e malthusiani, e la denunciano, bollandola come morale. Ciò non solo è cinico, ma porta direttamente alla barbarie. Simili atteggiamenti rivelano una “rozza borghesia ” (Wilhelm Heitmeyer), che corrisponde direttamente agli imperativi brutali di un capitalismo in decadenza. Naturalmente anche la questione sociale non interessa a Jappe. Un critico del libro, "Cemento", di Jappe (Concrete 2024) riassume la cosa così: Jappe «rimane... al livello cinico di un borghese di classe superiore che raccomanda ai miserabili residenti di periferia di fuggire più spesso nelle loro case di campagna». (Tilman Hahn: "Schade, dass Beton nicht brennt [È un peccato che il cemento non bruci]", Soziopolis, 2023).
9. Conclusione
Quando si legge il testo di Jappe, è come se si entrasse in una tomba. Egli parte da una critica del valore universalista, per la quale le disparità economiche, il razzismo, l'antisemitismo e l'antiziganismo non costituiscono dei temi. Nel suo lavoro, il particolare può essere trovato nella sua comprensione fondamentalmente conservatrice dell'antropologia culturale, una comprensione che è di fatto essenzialista; anche se deve ammettere che la "natura" umana è caratterizzata dalla plasticità. Vuole tornare con nostalgia alle società artigianali e agricole. Per lui, ecologia significa biocentrismo, una situazione in cui però non rifugge dai presupposti malthusiani. Per lui, non c'è un limite interno al capitalismo, bensì solo un limite esterno, ecologico. Jappe crede che una critica del valore dovrebbe prendere sul serio le sue obiezioni, in modo da poter così uscire dall'angolo sporco in cui si è cacciata. A partire da questi orientamenti, la critica del valore potrebbe forse effettivamente inserirsi in certe correnti dello Zeitgeist. Vista da una prospettiva di critica del valore, simili ideologie lavorano a favore dei movimenti di destra. Ad esempio, non esiste solo il negazionismo climatico di destra, che attualmente è molto diffuso, ma ci sono anche, come è noto, le correnti del romanticismo agrario di destra. Tuttavia, come dimostrano gli studi, quanto più la questione sociale occupa il primo piano, tanto minore è l'interesse per l'ecologia. E, come tutti sappiamo, le questioni affrontate dalla sinistra dipendono sempre in larga misura dallo Spirito del Tempo.Certo, è concepibile che l'importanza dell'ecologia oggi debba essere ribadita nel discorso della sinistra alla vecchia maniera. Pertanto, ciò che in questo momento è "all'ordine del giorno", non può mai essere un criterio per una seria critica sociale, anche se ciò avviene al costo di rimanere in disparte. Quando Jappe chiede che la critica del valore debba essere ri-orientata, ciò riguarda, a mio avviso, soprattutto la valutazione e la diffusione degli sviluppi della destra. Su questo argomento, ci sono alcuni testi precedenti. Io stessa ho scritto il testo "De Metamorphosen des teutonischen Yuppie" (Krisis n. 16/17 1995, exit-online.org ) [Le metamorfosi dello Yuppie teutonico, obeco-online.org ] oltre al testo "Rückkehr des Jorge" (Exit! n. 3, 2006, exit-online.org ) [Il ritorno di Giorgio, obeco-online.org ], ma in passato tale argomento ha ricevuto pochissima attenzione ( cosa che però è cambiata negli ultimi anni). Si può presumere che il caos che si crea a partire dal declino del capitalismo, spinga a un appello per l'ordine e l'autorità; cosa che naturalmente non fa altro che alimentare questo declino. Alla fase caotica di Eltsin, non a caso è seguito Putin. Se oggi la Russia dovesse ascendere a potenza mondiale, vista sullo sfondo della crisi mondiale, essa si reggerebbe su dei piedi d'argilla. Anche la Cina è scossa da contraddizioni interne.Nel momento in cui questi Stati vengono spiegati principalmente in base alle loro differenze culturali, si cade nel ridicolo. Ciò che è in gioco oggi è la concorrenza sul mercato mondiale, per quanto diverse possano essere le culture, le quali da tempo sono già state a loro volta superate dalla società mondiale, e ora conducono la loro vita perversa in quella che è una forma modificata, la quale non ha nulla a che vedere con la loro originalità immaginaria; così come nel caso del fondamentalismo islamico. La Cina di oggi non può essere spiegata semplicemente a partire dalle dinastie precedenti - e questo nonostante tutte le differenze con l'Occidente - le quali tuttavia non dovrebbero essere ignorate, ma nemmeno dovrebbero essere ipostatizzate, come sembra avvenga nel caso di Jappe. Le tendenze alla deglobalizzazione e al protezionismo - che sono anche una conseguenza del crollo del 2008 - non risolvono alcun problema, ma spingono ancora più avanti la crisi mondiale. La Cina non sta diventando semplicemente l'egemone a livello mondiale, ma sta emergendo in quella che è una crisi di egemonia. Tomasz Konicz, in particolare, ha pubblicato molto su questi temi, oltre che sull'ecologia e sulla svolta a destra. Negli ultimi anni, ci sono anche state molte pubblicazioni su tecnologia, intelligenza artificiale e digitalizzazione; tutte cose che Jappe forse semplicemente ignora. Tuttavia, a tal proposito Meyer non punta tanto su una "autonomizzazione della tecnologia" (Jappe), quanto piuttosto all'apparire di una "autonomizzazione delle tecnologie" nella società feticista. La critica del valore potrebbe essere ulteriormente approfondita in tutti i campi: arte, letteratura, stato, politica, psicologia sociale e molto altro. Ma non siamo una fabbrica di idee e il nostro team è limitato. Non impediamo a chiunque veda la necessità di espandere questi temi di lavorare su tali argomenti, anziché lamentarsi e lamentare di come essi verrebbero presumibilmente ignorati. Quando Jappe vuole vedere affrontato il tema della struttura pulsionale e della socializzazione del valore, dovendo ammettere che la pulsione è qualcosa di plastico, non si preoccupa di una società libera emancipata, in cui il lavoro potrebbe essere trasformato in gioco, e le energie aggressive potrebbero essere reindirizzate, come faceva il vecchio Marcuse ("Triebstruktur und Gesellschaft" 1965). [Eros e civiltà]", ma piuttosto a una "natura umana", che per lui rappresenta un limite del genere umano. A questo proposito, l'approccio di Marcuse dovrebbe essere riesaminato, in modo da vedere se, almeno in parte, potrebbe essere utile per la critica della dissociazione del valore. Su questo, Leni Wissen, nella sua analisi dell'individuo (postmoderno), è molto freudiano, e lo è sulla base della dinamica pulsionale (Exit No. 14, 2017). Anche qui è ovvio che Jappe non ha letto questo, eppure sta cercando di denunciare la critica della dissociazione del valore. Ultimo ma non meno importante, la psicologia di massa e la formazione dell’ideologia sarebbero argomenti che potrebbero essere affrontati durante la cosiddetta svolta autoritaria. Come ogni altra teoria, la critica (della dissociazione e) del valore ha un nucleo temporale, come dice la famosa formulazione. Alcune cose devono essere riconsiderate, e devono anche essere ulteriormente sviluppate. Come mostra lo stesso testo di Jappe, la critica della dissociazione-valore non è sempre rimasta la stessa nei suoi quasi 40 anni di storia. E tuttavia, la critica di Jappe alla critica della dissociazione del valore non lo porta a un nuovo livello, ma si accompagna piuttosto a quello, ormai veramente vecchio, dei vecchi giochi di parole, che non rappresentano assolutamente nulla di nuovo, e finiscono solo per mostrare il loro fianco scoperto rispetto a certi orientamenti di destra.
- Roswitha Scholz - Pubblicato su Exit! dicembre 2024 -
Originale "Wertkritik nach Altherrenart. Bemerkungen zum Linkskonservativismus Anselm Jappes" in exit-online.org
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