Lute è il responsabile del reparto Vendite e Qualità dell’Aletta, un’azienda farmaceutica olandese i cui uffici, affacciati sugli splendidi boschi della Veluwe, ospitano schiere di dipendenti devoti e tutelati da ottimi contratti. Ma da un giorno all’altro la società viene rilevata da un investitore svizzero, e l’intero reparto viene dichiarato in esubero. Ora, per ottenere il massimo profitto dalla vendita, Lute è costretto a un compito gravoso: convincere decine di fidati colleghi a dimettersi. E così quando Lombard, un cacciatore di teste freelance incontrato per caso, gli offre i suoi servizi, Lute li accetta con sollievo. Ma non sa che Lombard prende la sua professione terribilmente sul serio. Giorno dopo giorno, mentre il cacciatore di teste si insedia nel suo ufficio in compagnia di un cowboy armato di fucile e un minaccioso cane nero, una serie di episodi inquietanti comincia a funestare i corridoi aziendali… In un romanzo grottesco e divertentissimo, dal sapore cinematografico, Tom Hofland descrive un mondo lavorativo surreale eppure fin troppo familiare, denunciando, con la sua prosa irresistibile ed esplosiva, la disumanizzante dittatura del profitto e dell’efficienza che caratterizza il nostro tempo.
(dal risvolto di copertina di: Tom Hofland, “Il cannibale”. Trad.: Laura Pignatti. Carbonio Editore, pagg.208 €18)
Il diavolo è un tagliatore di teste
- di Alberto Anile -
Malgrado il titolo, "Il cannibale", il romanzo di Tom Hofland non contiene episodi di antropofagia. In olandese, "De menseneter" si traduce alla lettera "il cannibale" ma anche "l'orco"; forse sarebbe stato meglio "il tagliatore di teste", la locuzione con cui da noi si indica il professionista incaricato di licenziare i dipendenti di un'azienda. Dopo un prologo in flashforward davanti a un commissariato di polizia, il romanzo riparte infatti dalla Aletta, un'azienda che produce capsule per pillole, in procinto di essere acquistata da una casa svizzera che però impone come condizione l'eliminazione del reparto vendita e qualità: in tutto trentadue persone da convincere, con le buone o con le cattive, a farsi riallocare altrove o a lasciare semplicemente il lavoro. Il responsabile del reparto è il pusillanime Lute, incapace di condurre in porto una direttiva del genere né tantomeno di ribellarvisi. «A volte vorrei smettere di vivere, ma senza morire», dice. È perciò sollevato quando scopre di poter affidare l'ingrato compito a una specie di cowboy conosciuto (forse) per caso, che a sua volta gli porta in ufficio l'ineffabile Lombard, sessantenne deciso ed efficiente, che di mestiere fa proprio il tagliatore di teste. Lombard chiede carta bianca e Lute, sconsideratamente, gliela concede: gli effetti di questa delega saranno a dir poco orripilanti. Non molto altro si dovrebbe rivelare per non guastare la sorpresa di un romanzo che passa dall'osservazione umoristica al tono grottesco fino al grand guignol, e dove la denuncia della disumanizzazione del lavoro a un certo punto prende a braccetto il fantastico e si mette a volteggiare al ritmo di un valzer sanguinolento.
La progressione verso l'incubo è cauta, e non senza affondi improvvisi: la rievocazione dell'omicidio commesso da Gesualdo da Venosa, l'apertura dio un'arancia raccontata come un'aggressione omicida («Luke prende un coltello e lo affonda nell'arancia. Non per benino, delicatamente a casaccio, a fondo»), e una onnipresente fascinazione per gli animali: i cinghiali che fanno capolino dalla foresta prospiciente l'azienda, il grosso cane barbone nero che accompagna Lombard, il ricordo infantile delle lepri date in pasto alle iene dello zoo, la scimmia morta citata da un romanzo italiano (Zama, di Antonio Di Benedetto, Einaudi, 1977).
Tom Hofland ha trentatré anni, è olandese, scrive romanzi, opere teatrali, programmi radiofonici e podcast. "Il cannibale" è il suo terzo libro, insignito in patria del premio letterario Bng Bank, e il primo ad arrivare in Italia, pubblicato dall'intrepida Carbonio Editore. Malgrado l’alto spargimento di plasma, il romanzo contiene anche due, forse tre, storie d'amore, omo ed etero, e soprattutto una bella dose di comico sarcasmo, come la clinica per disintossicare gli innamorati, i cui gestori fanno di tutto per svalutare nei loro clienti il ricordo dell'amato/a. Il personaggio di Lute, soprattutto, è la cartina di tornasole delle assurdità globali di ultima generazione, con il calendario degli impegni familiari appuntati su un'agenda elettronica di fatto ingestibile, la casa ipertecnologica in cui non si possono aprire le finestre, le tonnellate di mail che si ammucchiano su computer e cellulare.
Semplificando, "Il cannibale"sembra una storia di Daniel Pennac riscritta da Stephen King, dove il sapido umorismo del primo cede poco a poco all'orrore metaforico del secondo. Se un connubio tanto azzardato funziona, è grazie all'abilità artigianale dello scrittore che cesella le descrizioni di dettagli realistici, con un gusto del particolare che fa tornare in mente David Foster Wallace, e un'analoga inclinazione per l'assurdo tanto più efficace in quanto apparentemente gratuita. Poi, certo, a far spalancare gli occhi sono i colpi di scena violenti, il dolore in agguato, gli squarci visionari, il demoniaco che può presentarsi improvvisamente nel più prosaico e noioso dei contesti a spadroneggiare senza ritegno, soprattutto se davanti si trova lo smidollato Lute, uno di quelli che piagnucola: se non lo faccio io, lo farà qualcun altro. In mezzo ad aggressioni, fucilate e colpi di pietra, il passo più orrendo rimane comunque la teorizzazione del licenziamento fatta dal mefistofelico Lombard, incarnazione di un Male che non si ferma davanti a nulla: «Nel sistema le persone devono migliorare per esclusione, non per collaborazione. O almeno devono crederlo! Un imprenditore che induce cento dipendenti ad andarsene con il mobbing per risparmiare sulla buonuscita. Un lavoratore che si ammazza letteralmente di lavoro perché ci sono dieci altri pronti a prendere il suo posto, e lo accetta! In una sistema del genere il male diventa ovvio... E le anime stritolate dal sistema? Non sono altro che cibo per cani».
- Alberto Anile - Pubblicato su Robinson del 28/4/2024 -
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