Nel suo racconto "De genio Socratis" (traduzione latina dal greco "Perí tou Sokrátous daimoníou"), Plutarco non solo riprende la figura di Socrate, ma lo fa a partire dal modello offerto dal Fedone platonico: una riflessione speculativa sul destino delle anime dopo la morte. Così, nella narrazione di Plutarco, alla fine, Socrate appare come se fosse oggetto di conversazione per un gruppo di cospiratori che stanno preparando un'insurrezione contro i tiranni che avevano preso il potere a Tebe (e tutto questo ci porta a pensare a certi racconti di Jorge Luis Borges o di Leonardo Sciascia). In un certo passaggio (11, 581, B), vediamo uno dei personaggi riferire una cosa che ha sentito da una megarese: l'informazione secondo cui il "genio" di Socrate (il suo daimon, l'energia soprannaturale che lo guidava e che lo proteggeva) era, in realtà, uno starnuto: vale a dire, se qualcuno starnutiva alla sua destra, o dietro di lui, o davanti a lui, ecco che subito Socrate sapeva che doveva reagire; e se lo starnuto veniva da sinistra, subito sapeva che egli doveva stare zitto e non fare assolutamente nulla. Va detto, comunque, che anche lo stesso personaggio arriva alla conclusione, nel corso del suo discorso, che l'intera idea sia assolutamente ridicola e che non corrisponda a ciò che noi sappiamo di Socrate.
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