Nell'ultimo capitolo di "Mimesis" - che è dedicato a un'analisi della "calza marrone" di Virginia Woolf, e che costituisce un passaggio del romanzo "Al faro" - Auerbach parla non solo di Woolf, Joyce e Proust, ma anche della scena modernista in generale – ad esempio, arriva addirittura a commentare dicendo che ci sono certi romanzieri che, pur essendo già esteticamente "pronti" (o "maturi"), utilizzano ad hoc alcune di quelle che sono delle "tecniche d'avanguardia" (l'esempio principale, per Auerbach, è Thomas Mann). Tuttavia, si tratta solo di un capitolo d'addio e, pertanto, complesso ed eterogeneo; Auerbach fa addirittura un parallelo con Omero, riprendendo la scena del riconoscimento di Ulisse grazie alla sua cicatrice (e così facendo, quindi, Auerbach lega il punto finale al punto di partenza di tutto il suo progetto). Il parallelo con Ulisse può essere determinante, a partire dal fatto che Auerbach, esiliato e inquieto (oltre che cosmopolita e poliglotta), assume alla fine, come proprio, il destino del vagabondo. Ulisse, tornando a casa, prima di tornare in quel letto che egli stesso ha costruito (a partire dall'albero che cresce proprio nel luogo dove si trova la stanza), racconta a Penelope come egli abbia appreso, dalle parole di Tiresia all'inferno, di aver bisogno – anche dopo essere ritornato a casa – di continuare il proprio viaggio. Similmente, riprendendo l'inizio di "Mimesis" alla fine di "Mimesis", Auerbach ci mostra, in maniera distorta, in che modo l'opera debba continuare; ci mostra che che la "fine" è solo un "inizio"dislocato: Ulisse ha bisogno di continuare il suo viaggio, subito il giorno dopo, dopo la notte d'amore con la moglie, per trovare chi non ha mai visto un remo – e che pertanto egli deve necessariamente portare con sé, per mostrarlo – in quanto remo, ma sempre solo come se fosse una "pala per il grano"). La fine di "Mimesis" segna un nuovo inizio, al punto che Auerbach definisce il proprio lavoro come una filologia basata sugli schemi delle avanguardie. E questo lo fa proprio perché egli non conosce quali siano gli orientamenti del romanzo contemporaneo, non conosce nemmeno l'esatta direzione in cui va il proprio lavoro! In altre parole, Auerbach sostiene che la sua opera non è totalizzante, o storica, ma rappresenta piuttosto l'indagine su un qualche dettaglio, su alcune scene e su certi problemi; e questo è qualcosa che, del resto, viene esemplificato ed evidenziato proprio dal dramma di Virginia Woolf in quella "calza marrone", nella quale Auerbach vede il proprio destino; e arriva a questo, analizzando un'intera esistenza condensata, prima in una sola scena, e infine in un solo dettaglio: la cicatrice, il calzino marrone, l'ariete di Dindenault nell'analisi di Rabelais, e così via).
Nessun commento:
Posta un commento