domenica 6 luglio 2014

Un pacchetto vuoto

KURZspara

Intervista di IHU Online, del 30 marzo 2009, a Robert Kurz

IHU- On-Line: L'attuale crisi finanziaria ed ecologica è in relazione con il "crollo della modernità"?

Robert Kurz: Il termine crollo è un cliché provocatorio, generalmente usato in senso peggiorativo, col fine di squalificare in quanto "apocalittico" quello che non dev'essere preso sul serio dai rappresentanti di una teoria radicale della crisi. Non solo le élite capitaliste, ma anche i rappresentanti della sinistra, preferiscono credere che il capitalismo possa rinnovarsi eternamente. E' chiaro che un sistema sociale globale non collassa da un'ora all'altra come una persona infartuata. Ma l'era del capitalismo è finita. Dopotutto, la modernizzazione non fu altro che l'implementazione e lo sviluppo di questo sistema, senza che fosse rilevante se i meccanismi erano del capitalismo privato o del capitalismo di Stato.
A prescindere di tutte le differenze esteriori, il fondamento comune consiste nella "valorizzazione del valore", cioè, nella trasformazione del "lavoro astratto" in "valore aggiunto". Tuttavia, questa non è una finalità soggettiva, ma un fine in sé stesso che è diventato indipendente. Tanto i capitalisti quanto i salariati, così come gli agenti statali, sono funzionari di un tale fine in sé che si è sganciato ed è incontrollabile: quello che Marx ha chiamato il "soggetto automatico". In questo caso, la concorrenza universale obbliga ad una dinamica cieca di sviluppo della capacità produttiva, la quale genera costantemente nuove condizioni di valorizzazione per incontrare alla fine una barriera storica assoluta.
La barriera economica interna consiste nel fatto di portare allo sviluppo delle forze produttive fino ad un punto in cui il "lavoro astratto" in quanto "sostanza" del "valore aggiunto" diventa talmente ridotto, mediante la razionalizzazione del processo produttivo, che risulta impossibile aumentare la valorizzazione reale. Questa "desustanzializzazione del capitale", o "svalorizzazione del lavoro", significa che i prodotti in sé cessano di essere merci che possono essere rappresentate in forma monetaria come forma generica di valore, e si limitano ad essere meri beni di consumo. La finalità della produzione capitalista, tuttavia, non è la fabbricazione di beni di consumo per soddisfare le necessità, ma il suo fine in sé è la valorizzazione. Pertanto, secondo i criteri capitalisti, per raggiungere la barriera economica interna è necessario fermare la produzione e, quindi, il processo vitale della società, finché tutti i mezzi non saranno di nuovo disponibili.
In termini reali, questa situazione si era venuta a creare a metà degli anni 1980, con la terza rivoluzione industriale. Il capitalismo ha prolungato la sua vita in forma "virtuale", da un lato mediante un indebitamento storicamente senza precedenti (anticipo del futuro valore aggiunto, che nella realtà non potrà mai essere riscattato); dall'altro lato, con il rigonfiamento, anch'esso mai visto, delle cosiddette bolle finanziarie (azioni e beni immobiliari). Questa pseudo accumulazione di capitale monetario "sprovvisto di sostanza" è stata utilizzata per alimentare anche la produzione reale di merci.
Da questo, è risultata una situazione deficitaria globale con flussi unidirezionali di esportazione, principalmente verso gli Stati Uniti. Le zone di trasformazione , ai fini dell'esportazione della Cina e dell'India, tuttavia, non rappresentano un'espansione reale del "lavoro astratto", perché il loro punto di partenza non è il potere reale d'acquisto, ma si tratta di capitale monetario "sprovvisto di sostanza", rappresentato dall'indebitamento e dalle bolle finanziarie. Nel corso di più di due decadi, è stata alimentata un'illusione per cui la "crescita spinta semplicemente dalla finanza" sarebbe stata possibile. In qualche modo, la fine di questa illusione ha coinciso unicamente con una crisi finanziaria. La celebre "economia reale", in realtà, non è molto reale ora, ma è stata alimentata con bolle finanziarie "prive di sostanza". Ora il capitalismo si è ridotto alle sue basi reali di valorizzazione. Il risultato è stato una nuova crisi dell'economia mondiale, senza che stia emergendo nessun reale nuovo potenziale di valorizzazione.
Allo stesso tempo, il capitalismo si scontra con il suo limite esterno naturale. Nella stessa misura in cui è diventato superfluo il "lavoro astratto", in quanto trasformazione dell'energia umana in "valore aggiunto", si è accelerata l'espansione dell'applicazione tecnologica dei combustibili fossili (petrolio, gas). La dinamica cieca dello sviluppo della capacità produttiva non controllata socialmente, ha portato, da un lato, al prevedibile esaurimento delle risorse energetiche fossili e, dall'altro, alla distruzione del clima globale e dell'ambiente naturale, ad un grado egualmente prevedibile.
La barriera naturale esterna e la barriera economica interna presentano un orizzonte temporale diverso. Mentre la fine della reale "valorizzazione del valore" ha già avuto luogo in passato e l'economia capitalista attraversa ora la sua crisi storica, che si dispiegherà nello spazio di pochi anni (grosso modo alla fine della prossima decade), la barriera naturale assoluta verrà raggiunta in futuro (in un periodo massimo cha va da due a tre decadi). La crisi economica e la chiusura concomitante della capacità di produzione, rallentano l'esaurimento delle risorse energetiche - a spese della crescente miseria sociale globale sotto forma capitalista. Simultaneamente, tuttavia, i processi di distruzione delle basi naturali e del clima mostrano un avanzamento tale che non può essere fermato, per cui la barriera naturale esterna verrà raggiunta nonostante tutto.
La fine della modernizzazione significa allora - oltre che superare la forma capitalista di riproduzione - che per molto tempo una società post-capitalista dovrà fare i conti con le conseguenze della distruzione capitalista della natura. Per l'analisi e per la critica teorica della crisi, è importante individuare l'interconnessione interna delle due barriere storiche del capitalismo. Esiste, tuttavia, il pericolo di veder giocati uno contro l'altro questi due aspetti della crisi storica; questo vale per entrambi i lati: per le élite capitaliste come per i rappresentanti di un "riduzionismo ecologico", che ammettono solo la barriera naturale esterna. La gestione capitalista della crisi ed il riduzionismo ecologico potrebbero entrare in un'alleanza perversa, che porterebbe a negare la barriera economica e, in nome della crisi ecologica predicare alle masse impoverite ed in miseria un'ideologia della "rinuncia sociale". Contro questo, dobbiamo sostenere che la crisi, la critica e il superamento della struttura capitalista hanno la priorità, poiché la distruzione della natura è una conseguenza, e non la causa della barriera interna di questo sistema.

IHU- On-Line: Perché dici che la vergogna della crisi è anche la vergogna della sinistra postmoderna?

Robert Kurz: La crisi non è nessuna vergogna, ma è un processo oggettivo risultante dalla dinamica cieca della concorrenza e dello sviluppo incontrollato della capacità di produzione. Rispetto alla sinistra postmoderna, si può parlare di vergogna nella misura in cui essa ha respinto, nella sua maggior parte, la critica dell'economia politica. "L'economicismo" dei partiti marxisti tradizionali venne criticato solo per eliminare assolutamente l'oggettività negativa delle categorie capitaliste di "lavoro astratto" e di "valorizzazione del valore". La dinamica della crisi inerente al capitalismo passò del tutto inosservata, essendo stata tradotta in "possibilità illimitate". Come le élite neoliberiste, la sinistra postmoderna ha creduto nella "crescita appoggiata dalla finanza" e si è convertita nell'espressione ideologica del capitale fittizio. Il virtualismo economico è stato integrato dal virtualismo tecnologico di Internet. La "Second Life" dello spazio virtuale ha subito la mutazione in forma di vita "propriamente detta", il presunto "lavoro immateriale" di Antonio Negri ha finito per essere la continuazione dell'ontologia capitalista del lavoro. Il vero problema della sostanza del "lavoro astratto" è stato negato; un "antisustanzialismo" ideologico (o anti-essenzialismo) in contrasto con Marx, ha denunciato questo problema di sostanza come semplice metafisica di un pensiero superato, invece di riconoscere in esso una "metafisica reale" del capitalismo, la quale non smette di essere abbastanza materiale. Allo stesso tempo, c'è stato un orientamento verso la sfera della circolazione. L'illusione finanziaria capitalista per cui degli atti di compravendita potrebbero anche generare crescita, come fa la produzione reale delle merci, costituisce anche la premessa implicita del pensiero postmoderno. Il soggetto indebitato del mercato e del consumo appare come il portatore della riproduzione e di una possibile emancipazione, quando nessuno può dire in che cosa questa consisterebbe.
Il falso virtualismo economico e tecnologico ha avuto il suo omologo filosofico in un'epistemologia che non intendeva criticare e superare la feticista "apparenza reale" del capitale, però seduceva le persone facendo loro credere che poteva "realizzarsi" in quelle condizioni. Seguendo le illusioni virtualiste, la "gabbia di ferro" (Max Weber) del sistema produttore di merci è stata ridefinita come "ambivalenza" e "contingenza", aperta a tutto in qualsiasi momento. In realtà, anche per la verità negativa della critica, non c'era alcuna base oggettiva nelle condizioni esistenti, però poteva essere "prodotta" e "negoziata". Per la sinistra postmoderna, la natura negativa del capitale si dissolveva in una "pluralità" indefinibile (diversità) di fenomeni, in contrasto con una "pluralità" disconnessa dei movimenti sociale, senza mai identificare il nucleo concreto del capitale.
In termini sociali, la sinistra postmoderna è stata un indicatore della moda (precorrendola) dell'individualizzazione e della flessibilità capitalista. L'individuo flessibile astratto non è stato riconosciuto come forma del soggetto borghese in crisi, però ha ricevuto l'aureola di anticipazione della libertà individuale già all'interno del capitalismo. Invece di apparire come forma ultima dell'esistenza del mercato totalitario e come la minacciosa "guerra di tutti contro tutti" nella concorrenza universale della crisi, l'individualizzazione appariva come forma atomizzata della "auto-realizzazione" e dell' "essere umano flessibile" (Richard Sennet), si presentava non come oggetto impotente di fronte alle imposizioni capitaliste, ma come il suo proprio "sovrano", che avrebbe potuto conquistare nuovi spazi e trasformare sé stesso in quel che voleva. La vicinanza del pensiero postmoderno all'ideologia neoliberista è sempre stato indiscutibile, nonostante i contrasti esteriori. Ora la sinistra postmoderna si trova faccia a faccia con le sue illusioni e si confronta con la dura realtà di una crisi monumentale, che non ha voluto ammettere fin dal principio e rispetto alla quale, pertanto, non era preparata.

IHU- On-Line: La sinistra, oggi, vive una crisi esistenziale? Prima di suggerire alternative all'attuale crisi mondiale, la sinistra doveva risolvere i propri problemi? Esiste, per te, un vuoto teorico della sinistra o una "discrepanza metodologixa" nella ricerca di una base comune ai fini di una teoria?

Robert Kurz: Oggi, la crisi esistenziale della sinistra consiste precisamente nel fatto che non ha potuto trasformare il marxismo e riformulare la critica dell'economia politica dentro gli standard del XXI secolo. Naturalmente, non si può ritornare ai paradigmi di un'epoca passata. L'etichetta della "post-modernità" era falsa, poiché la reale trasformazione sociale del capitalismo non ha inaugurato dei nuovi spazi sociali, se non altro perché ha segnato il passaggio alla sua rovina storica. Né la fine del vecchio movimento dei lavoratori né il naufragio del "socialismo" sono stati digeriti criticamente. La transizione postmoderna non ha superato il marxismo tradizionale, gli ha solo dato continuità dentro una forma vuota. Mentre spariva del tutto alla vista l'obiettivo socialista e si dissolveva quella falsa "pluralità" di aspirazioni meramente particolari, il paradigma della "classe operaia" si trasformava in un'insostenibile moltitudine di soggetti sociali posticci; nel caso di Negri questo ha culminato nel concetto vuoto di "moltitudine", che significa tutto e niente. Lo svuotamento del soggetto ha la sua correlazione nella virtualizzazione delle lotte sociali, che in gran misura hanno solo carattere simbolico, essendo sempre meno capaci di intervento reale.
Caratterizzare questa situazione con "l'impasse" della sinistra è un eufemismo. Tanto la vecchia sinistra come quella postmoderna, sono finite. Non esiste più il soggetto ontologico del "lavoro", perché il "lavoro" è finito, rivelandosi sostanza storica del capitale e diventando obsoleto. Con ciò, anche il concetto marxista paradossale del "soggetto oggettivo" in sé, è oramai liquidato in termini storici e non può proseguire tramite dei succedanei. In tal senso, il "vuoto teorico" della sinistra è identico alla sua "inadeguatezza metodologica". La sinistra non è mai riuscita a catturare la dialettica soggetto-oggetto del feticismo moderno. Il risultato è stato quello di cadere in un oggettivismo grezzo o in un soggettivismo altrettanto rozzo. L'oscillazione fra questi due poli del feticismo segna il destino di buona parte delle discussioni della sinistra che non è riuscita a lasciarsi alle spalle questa polarità.
Per un nuovo movimento sociale emancipatore, quello che conta non è aspettare di farsi risvegliare dal bacio di un "soggetto oggettivo", ma fare una critica della forma soggetto, senza una salvaguardia ontologica, e interpretarla come una forma dell'esistenza capitalista. La forma "soggetto" può solo essere sempre un agente del "soggetto automatico" della valorizzazione del capitale, e non può essere confuso con la volontà dell'azione emancipatrice, la quale necessita di costituirsi per sé stessa e non può avere fondamento ontologico. Questo è difficile anche da essere pensato, perché la sinistra postmoderna ha desistito proprio dalla critica del soggetto (il Foucault tardivo è tornato ad appellarsi al soggetto particolarizzato). Questa critica ha fallito principalmente per non essere riuscita a connettersi con la critica dell'economia politica.
Questo problema è anche legato alla critica della moderna relazione tra i generi. E' certo che la sinistra tradizionale e anche la sinistra postmoderna abbiano fatto i loro ossequi obbligatori al femminismo, ma non hanno mai preso sul serio la sua tematica. Inoltre, il femminismo stesso, nonostante le sue analisi meritorie, si è in gran parte limitato a definire le donne come "soggetto oggettivo", paradossale come la "classe operaia". Il postulato di una "formazione del soggetto" femminile, perciò, porta allo stesso vicolo cieco. Il femminismo è stato vittimizzato dalla transizione postmoderna e ha dissolto la forma di esistenza femminile "divergente" dentro il capitalismo in una "diversità" delle aspirazioni emancipatrici particolari che non comprendono il problema centrale.
Sarebbe anche importante collegare la critica del patriarcato moderno con la critica dell'economia politica, e non trattarla come una questione "derivata" secondaria. In questo caso, è fondamentale il concetto per cui le categorie apparentemente neutre del capitale e della sua rispettiva forma "soggetto", in sé sono già "maschili", e che la "ragione" capitalista è androcentrica fin dalla sua origine. La dissoluzione della famiglia tradizionale e dei rispettivi ruoli di genere non cambia niente, perché il carattere androcentrico continua sotto altre forma. La critica di tali forme sociali e la critica della relazione capitalista dei generi si condizionano a vicenda e richiedono di essere pensate insieme.
La critica del "soggetto oggettivo" del "lavoro" e dell'esistenza femminile "divergente" non è un gioco di parole, ma ha enormi conseguenze pratiche ai fini del superamento del capitalismo. Risulta che venne liquidata in questo modo anche il concetto del vecchio marxismo dell'emancipazione sociale e del socialismo "dentro" le categorie capitaliste, che avrebbero richiesto solo di essere regolate e moderate in un altro modo. Arrivati al limite storico del capitalismo, la sfida che si pone è quella della "critica categoriale" della connessione fra "lavoro astratto", forma merce e "valorizzazione del valore", così come della relazione fra i sessi in questo contesto. Anche questo è difficile da essere pensato, perché queste condizioni esistenziali sono interiorizzate, essendo state approvate dal pensiero postmoderno. Ma la formulazione del nuovo obiettivo socialista sulla base di una "critica categoriale" può portare ad uno sviluppo delle esigenze immanenti della transizione che siano anche adeguate al processo della crisi storica, riuscendo così a poter realmente imporsi. Senza il fuoco unificato sopra il nucleo del capitalismo, i movimenti sociali rimangono indifesi e particolarizzati. C'è da temere, tuttavia, che la sinistra colta di sorpresa dalla crisi, finisca per confidare in concezioni austere ai fini di una presunta "salvezza", riaffermando così la sua impotenza storica.

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IHU- On-Line: In che senso la situazione attuale ha contribuito al fatto che la politica diventasse un modello in via d'estinzione? Possiamo dire che l'economia abbia colonizzato la politica? La politica va ripensata, a partire da quello che sta succedendo?

Robert Kurz: La politica centrata sullo Stato, in quanto istanza sintetizzatrice, sta uscendo dall'orizzonte, non per essere stata colonizzata dall'economia, ma per aver fallito da molto tempo in funzione delle sue premesse. Il problema non riguarda solo la condizione esteriore della globalizzazione del capitale, che ha infranto gli spazi dell'economia nazionale. La forza regolatrice dello Stato si estingue soprattutto per il fatto che sostanzialmente non c'è niente che dev'essere regolato. La valorizzazione capitalista nelle forme del "lavoro astratto" del denaro ha sempre costituito la premessa dello Stato, una premessa che non può essere elusa. Quando il capitale si svalorizza a causa del proprio sviluppo della capacità produttiva, lo Stato può reagire solo per mezzo di emissione inflazionistica di denaro da parte della sua banca centrale. Questo non ovvia alla mancanza di sostanza del capitale virtualizzato, ma finisce per aggravarla, svalutando il mezzo - fine a sé stesso - chiamato denaro. Avviene che l'autorità della banca centrale è puramente formale; il suo stampare moneta può essere solo espressione della produzione sostanziale di valore aggiunto per mezzo del "lavoro astratto", che non può essere sostituito.
I limiti del credito statale sono già stati raggiunti alla fine degli anni 1970. In quell'epoca, l'espansione del credito statale, sprovvisto di sostanza, venne castigata dall'ondata inflazionistica. L'illusione del neoliberismo ha consistito nell'attribuire l'inflazione esclusivamente all'attività dello Stato. La de-regolazione neoliberista ha solo trasferito il problema del credito statale ai mercati finanziari. Anche il castigo dell'inflazione è stato trasferito, a causa del carattere transnazionale dell'economia, sulle bolle finanziarie, il cui potenziale inflazionistico ha cominciato a manifestarsi nella situazione deficitaria globale a partire dal 2008. Questo processo, in un primo momento, si è interrotto, perché a quel tempo il capitale virtuale, e con esso la congiuntura mondiale, stava esalando il suo ultimo respiro. Ma se ora lo Stato viene nuovamente invocato come "ultima istanza" e deus ex machina, le sue misure di emergenza e di salvezza vanno nuovamente a provocare la svalorizzazione del proprio denaro; solo che questo ora avverrà in una fase di sviluppo più elevata ed in una proporzione molto maggiore rispetto a trent'anni fa.
In questo scenario, la speranza per la "rinascita della politica" è la più grande di tutte le bolle. I danni causati dalla politica di limitazione del danno saranno ancora più grandi rispetto a quelli sofferti durante la crisi corrente. Lo Stato sarà solo capace di regolamentare la morte definitiva del capitalismo. Sotto questo aspetto, anche la sinistra rimane disorientata mentre non riesce a mettere in discussione le fondamenta stesse del sistema. Nella stessa misura in cui la supposta "autonomia" dei movimenti sociali particolari e simbolici sparisce a causa del limite interno della valorizzazione, c'è da temere che la sinistra soffra di una regressione verso il suo tradizionale statalismo, perché non riesce a pensare nient'altro. Già adesso, la maggior parte di quello che pretende essere critica sociale di sinistra, praticamente non è altro che un pizzico di nostalgia keynesiana. Se la sinistra spera di lanciare le sue "riforme sociali" salendo sul treno dell'amministrazione statalista, finirà per deragliare insieme a quel treno, e una volta passato il carnevale del virtualismo, si convertirà in un maestro di cerimonia delle politiche inflazionistiche. E c'è da dire che merita abbastanza un simile destino.

IHU- On-Line: Quali altre forze di sinistra possono emergere in questo momento?

Robert Kurz: Dal momento che la sinistra ha fallito, prigioniera globale delle categorie capitaliste, la gente si chiederà naturalmente se ci sono altre forze di emancipazione sociale. Sicuramente ci saranno rivolte e conflitti sociali, quando le persone rimangono prive delle loro condizioni elementari di vita, per quanto precarie che siano. Queste eruzioni possono anche prendere il sentiero di destra, manifestandosi come razzismo, antisemitismo e nazionalismo, sebbene non ci sia la più piccola possibilità di un superamento reazionario della crisi. Ci saranno anche sollevazioni sociali spontanee che intenderanno sé stesse come vagamente di sinistra, come sta accadendo in Grecia negli ultimi mesi. Questi giovani marginali che reagiscono visceralmente contro l'oppressione delle necessità vitali, vengono già mitizzati da alcuni esponenti di sinistra, che li usano contro la necessaria trasformazione teorica.
Ma il culto della spontaneità va sempre oltre ogni vergogna. Le rivolte spontanee della gioventù, per quanto organizzate che siano, si risolveranno in niente, se non potranno acquisire una concezione critica della situazione in conformità con i tempi. Perciò, non esiste alternativa, se non quella di sviluppare un nuovo obiettivo socialista per mezzo di una critica categoriale che non può essere vincolata al "falso carattere immediato" della prassi spontanea. E' necessario assumersi questo compito stressante per impedire che l'emergere di una resistenza sociale venga soffocata dalla sua propria aria calda che cerca di gonfiare il palloncino della "filosofia di vita".

IHU- On-Line: Tu dici che la società mondiale ha bisogno di liberarsi dal giogo dell'economicismo reale e di organizzare le sue proprie risorse in modo nuovo, oltre lo Stato e oltre il Mercato. In tal senso, come può la sinistra sviluppare un lavoro rivoluzionario e cambiare la situazione attuale? Quale sarebbe, in questo caso, la proposta della sinistra a fronte della crisi finanziaria internazionale?

Robert Kurz: Va sottolineato che è proprio la società che necessita di essere liberata globalmente dall'economicismo reale del capitale. E' vero che solo una nuova forma di riproduzione può riuscirvi, olte il Mercato e oltre lo Stato. Negli ultimi anni, questa formula è stata ogni volta utilizzata sempre più con il senso di un'economia alternativa cooperativista, per così dire "a lato" della sintesi sociale fatta dal capitale, e che in qualche modo si sarebbe gradualmente espansa. Ma questo dà solo continuità al "colorito" particolarismo postmoderno. Tuttavia, la formazione di una società negativa del capitalismo può solo essere abolita completamente, oppure non sarà superata. L'economia alternativa cooperativa ha già una sua lunga storia, e ha sempre fallito, l'ultima volta negli anni 1980.
Questa crisi di proporzioni storiche non migliora le condizioni per idee simili, anzi. Questo perché una riproduzione "alternativa" ristretta ad un piccolo spazio non solo è vincolata a dei costi sociali occulti, ma rimane anche soggetta alle funzioni del Mercato e dello Stato, in quanto che per conto proprio può soddisfare solo alcune necessità vitali. La riproduzione reale degli individui è inserita in una catena che Marx, sotto le condizioni capitaliste, ha chiamato "lavoro sociale". Questa struttura può essere trasformata solo per intero; non si può cominciare con le patate e con il software e poi scoprire che si è creato un "modello" su scala ridotta, che basterà applicare alla società come un tutto. Il "platonismo del modello" è il prodotto della teoria economica borghese, non della critica radicale.
Quando in piena crisi, per mancanza di "finanziamenti", si taglia acqua e luce, quando c'è il collasso dell'assistenza sanitaria e della distribuzione capitalista dei prodotti alimentari, quando in agenda non c'è il graduale "mettere in rete" i beni comuni che si pretende riformino la vita, oppure la "formazione di reti" di scambio virtuale, ma c'è invece in agenda la trasformazione del modo capitalista della "formazione di reti" della società nel suo insieme. Allora, è necessaria una resistenza organizzata di tutta la società contro l'amministrazione della crisi che stabilisca obiettivi propri a livello di sintesi sociale.
Perciò, i placebo particolaristi tipo "economia solidale" - che generalmente consistono in un guazzabuglio di economia di sussistenza, di "riforme monetarie" illusorie e di astratta ideologia comunitaria - servono solo a deviare l'attenzione. Noi vogliamo fare della sfortuna, una benedizione. E' molto coerente che queste proposte si innamorino di "soluzioni per la crisi finanziaria" intrise di nostalgia keynesiana. Non esiste alcuna soluzione per la crisi finanziaria; bisogna attaccare il criterio stesso di "finanziamento", se quello che si vuole proporre è seriamente un nuovo modo di riproduzione che vada oltre il Mercato e lo Stato.

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IHU- On-Line: Considerando che ci troviamo nell'era dell'informazione e che stiamo vivendo la crisi del capitale, quali nuove strade si manifestano nel mondo del lavoro, che si riferiscono al rapporto capitale-lavoro? Considerando l'inclusione di nuove tecnologie nella società attuale, ma anche nella crisi, è possibile la de-globalizzazione nell'era dell'informatizzazione? Possiamo pensare ad una nuova economia globale?

Robert Kurz: L'informatica, in quanto base della terza rivoluzione industriale, ha appunto generato lo sviluppo della capacità produttiva che doveva portare necessariamente ad incontrare il limite interno del capitalismo. In condizioni capitaliste, si tratta di pura "tecnologia della crisi" che solo andando oltre la valorizzazione avrebbe potuto sviluppare potenziali positivi. L'illusione postmoderna e del capitalismo finanziario, ha consistito nel pensare che l'informatica avrebbe implicato nuove forme di "lavoro immateriale", in una cosiddetta società dell'informazione, nonché nuove relazioni tra il capitale ed il lavoro, con una maggiore "auto-determinazione" dei lavoratori. In realtà, "l'era dell'informazione" già in passato aveva portato alla disoccupazione di massa e alla precarietà delle relazioni lavorative. E la supposta auto-determinazione ha portato ad una compulsiva "auto-responsabilizzazione" degli individui nei confronti del processo di valorizzazione. Antonio Negri ha preteso di caratterizzare quest'evoluzione negativa come un'opzione per una "autovalorizzazione autonoma". Questo ha finito per diventare un termine di modo per l'amministrazione repressiva del lavoro, che poi è diventata la proposta di definire gli individui come "imprenditori autonomi della loro forza lavoro" e come "manager del loro proprio capitale umano", finendo per lasciarli completamente alla mercé delle condizioni del capitalismo in crisi. La nuova crisi ha esacerbato drammaticamente tali tendenze e ha smentito una volta per tutte i tentativi di percepire, nella forma capitalista della società dell'informazione, un' "ambivalenza" con potenziale di emancipazione. La metafisica postmoderna dell'ambivalenza è arrivata al capolinea.
La globalizzazione non può essere ridotta alla tecnologia dell'informazione. In condizioni capitaliste, essa può essere solo globalizzazione del capitale, sotto il cui comando si trova anche l'informazione. C'è da aspettarsi che, con la politica inflazionista dello Stato, il processo di crisi porti ad una "de-globalizzazione" come risultato di uno sforzo fatto per ritirarsi verso l'egoismo protezionista delle economie nazionali, che sono ancora solo formali; e tutto questo verrà accompagnato da ideologie neo-nazionaliste. Solo che questo non può superare la crasi, anzi la aggraverà. Anche se ci possiamo chiedere se Internet sia sostenibile - non a causa di un possibile collasso tecnologico (sebbene ci siano anche segni di un esaurimento delle capacità), ma perché dipende da una formidabile infrastruttura, il cui "finanziamento" diventa dubbio come qualsiasi altro. Una globalizzazione meramente virtuale non è sostenibile se non è legata alla riproduzione transnazionale di materiale che vada oltre il capitalismo. I pappagalli della blogosfera e gli intolleranti freaks di Internet potrebbero anche avere una brutta sorpresa.

IHU- On-Line: Come si può parlare di etica nei modelli attuali di società capitalista?

Robert Kurz: In tutte le formazioni storiche feticiste, l'etica non è mai andata oltre un tentativo di convivere socialmente con le condizioni di riproduzione date, presupposte ciecamente, senza una prospettiva di superamento. Anche l'etica borghese pretende di risolvere contraddizioni e crisi senza toccare le cause costitutive. In essa, il luogo della critica radicale dev'essere assunto da un canone di norme di condotta morale per gli individui, in modo che, dentro le forme esistenti, una persona possa essere vivibile per le altre persone. Quel che è suscettibile di fallimento non è il sistema, ma solo la morale degli individui. La crisi attuale, tra l'altro, è stata attribuita anche ad un deficit etico dei banchieri e dei manager. Non è un caso che il più cospicuo "pacchetto di salvataggio" si rivolga all'etica che, tanto per cambiare, è in crescita. Purtroppo, un tale pacchetto è completamente vuoto. Il "soggetto automatico" non è accessibile da qualsiasi imperativo etico; l'etica, pertanto, è più o meno l'ultima cosa di cui la teoria dovrebbe occuparsi.

- Robert Kurz - 30 marzo 2009 -

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