Note di lettura
Capitolo 3. Friedrich Pollock e l'analisi del capitalismo postliberale
Moishe Postone - Tempo, lavoro e dominio sociale. Una reinterpretazione della teoria critica di Marx -
di Clément Homs
Sulla base dei suoi studi del 1929 sulla pianificazione sovietica, Friedrich Pollock cercherà di cogliere, a partire dagli inizi degli anni 1930, le trasformazioni del capitalismo in Occidente, con il crollo del vecchio capitalismo liberale del XIX secolo, nel corso della Grande depressione e dell'emergere dello Stato interventista. Altri due membri dell'Istituto di Francoforte, Gerhard Meyer e Kurt Mandelbaum, si occuperanno di questo progetto, pubblicando numerosi articoli sulla rivista dell'Istituto. Sarà nel 1932 e nel 1933 che Pollock darà per la prima volta un quadro generale della sua interpretazione della Grande Depressione e del capitalismo post-liberale, e per tutto il decennio seguente i suoi testi saranno consacrati a questa sola tematica. La sua analisi verrà infine affinata nel 1941, nei suoi due saggi, "Capitalismo di Stato. Le sue possibilità e i suoi limiti" e "Il nazionalsocialismo è un nuovo ordine?", che Postone commenta abbondantemente nel suo libro. Questi testi danno un'interpretazione delle mutazioni del capitalismo, verso un capitalismo post-liberale, che, come è stato notato da numerosi commentatori, andra ad influenzare profondamente gli altri membri dell'Istituto. L'insieme delle posizioni di Horkheimer, Adorno o Marcuse - che non avevano alcuna formazione economica propriamente detta - avranno come riferimento le tesi di Pollock.
Numerosi commentatori (come, per esempio, Jean-Marie Vincent) hanno invece spiegato la "svolta pessimista" della Scuola di Francoforte verificatasi alla fine degli anni 1930, a partire dalle circostanze storiche della Germania nazista, dell'Europa o dell'esilio dell'Istituto negli Stati Uniti. La tesi delle circostanze storiche, secondo Postone, non spiega tutto, ma bisogna ricercare le origini di un tale pessimismo nella stessa teorizzazione. Il "riesame dei fondamenti del marxismo", sostenuto dalla nuova équipe alla testa dell'Istituto, non era del tutto andato a buon fine. Per capire l'incapacità di Horkheimer - Adorno viene relativamente risparmiato - a cogliere la svolta del "capitalismo post-liberale" che appare tra il 1914 e gli anni 1970, Postone, nel terzo capitolo del suo libro, ritorna a monte della questione, riprendendo il materiale di studio di Pollock. Tornando a questo punto d'origine, intende mostrare come si siano sbagliati e siano andati troppo affrettatamente ad assolutizzare teoricamente certe motivazioni, rimanendo prigionieri di numerosi presupposti del marxismo tradizionale di cui pensavano di essersi sbarazzati.(1)
L'avvento dello Stato interventista e l'esperienza sovietica della pianificazione, spingono Pollock a pensare, negli anni 1930, che la sfera politica diventi il luogo della regolazione economica e della risoluzione dei problemi sociali, e che oltrepassi la sfera economica. Nel suo saggio della maturità del 1941, dove rimette insieme tutte le sue analisi precedenti, egli caratterizza questo cambiamento come primato del politico sull'economico. E' sull'impianto teorico della genesi di questa tesi che parte la critica di Postone. Lungi dal vedere, a giusto titolo, l'incapacità del marxismo ad afferrare la società post-liberale, e perciò permettere il suo completo superamento, Pollock sostiene, al contrario, che la sua tesi sarebbe il culmine logico di numerosi presupposti del marxismo stesso. Ben lontano dal superare il marxismo tradizionale, ne rimane profondamente prigioniero. I presupposti di Pollock costituiscono in effetti una doppia assimilazione, assai classica nel marxismo tradizionale. Da un lato, si assimilano le forze produttive allo sviluppo industriale ed al lavoro, che si suppongono eterogenei al capitalismo; dall'altra parte, si assimilano i rapporti sociali di produzione ad un modo di distribuzione seduto sul mercato e sulla proprietà privata, e si identifica in quest'ultimi, in modo erroneo, la natura profonda del capitalismo. Nel quadro di questa doppia assimilazione, tutte le categorie utilizzate da Marx per descrivere il capitalismo vengono comprese come descriventi il mercato, cioè a dire che alla fine si intende il capitalismo come un semplice modo particolare di distribuzione (il mercato) dei beni e delle risorse. Ciò che appare come contingente, storico ed artificiale, è questo modo di distribuzione, mentre il lavoro (e l'industria) viene considerato come non specificamente capitalista. Esso appare come la vera sostanza eterna e trans-storica di tutte le società umane. Da questa doppia assimilazione, risulta così che - come per il marxismo tradizionale - Pollock fa sempre una critica dei rapporti sociali capitalisti assimilati al mercato, dal punto di vista del lavoro e dell'industria. Poiché l'impianto teorico di Pollock rimane la riaffermazione del primato della distribuzione come caratteristica di ciò che è fondamentale per il capitalismo, allora il capitalismo post-liberale verrà logicamente compreso, seguendo il filo del primo errore, come una semplice mutazione della forma di distribuzione.
E questa concezione tronca ed erronea della natura del capitalismo, propria al marxismo tradizionale, viene mantenuta da Pollock quando egli descrive la nascita del capitalismo post-liberale a partire dalla matrice del vecchio capitalismo liberale che sta per crollare. In questo modo assai classico, ci si ostina a credere che la contraddizione fondamentale del capitalismo si situi fra la sfera della produzione e quella della circolazione. Pollock ci spiega allora che i rapporti sociali di produzione assimilati al mercato e alla proprietà privata, sono, con lo sviluppo delle forze produttive eterogenee al capitalismo, sempre più non funzionali, anacronistiche ed inadeguate. Questa presunta contraddizione porterebbe allora a delle crisi disarmoniche e sempre più distruttive. Essa si esprimerebbe sotto forma di una depressione mondiale e di una crisi di sovrapproduzione che porterebbe, a sua volta, ad un a riduzione violenta delle forze produttive (sotto-utilizzazione delle macchine, distruzione delle materie prime, aumento della massa dei disoccupati), e porterebbe ad un allentamento delle restrizioni su queste forze produttive, per mezzo di una modifica dei rapporti di produzione (mercato e proprietà privata) grazie ad una nuova logica di intervento dello Stato, le sole in grado di porre fine alla logica di contraddizione crescente fra le forze produttive e i rapporti sociali di produzione. E' la stessa logica del vecchio capitalismo liberale s spingere verso un'economia pianificata, afferma Pollock. In questa meccanica implacabile si vede una forma lineare di dinamica, lo Stato diviene ormai l'agente logico e necessario della distribuzione, al posto del mercato, diventato obsoleto. Alla fine, in questo capitalismo post-liberale nato dalla logica capitalista, l'economia è sotto controllo, perché un modo cosciente di distribuzione e di regolazione rimpiazza un modo incosciente che era messo in opera dal mercato.
Nel quadro di questo schema della dinamica e della mutazione, che conserva perciò tutti i tratti del marxismo tradizionale, Pollock, negli anni 193o, analizza le forme multiple prese da questo capitalismo postliberale. Lo sviluppo delle forze produttive assimilate al modo di produzione industriale rende possibili e necessarie due forme di economia pianificata che si oppongono solo provvisoriamente:
« Un'economia capitalista pianificata sulla base della proprietà privata dei mezzi di produzione (nel quadro della società di classe, dunque) ed un'economia socialista pianificata caratterizzata dalla proprietà sociale dei mezzi di produzione (nel quadro di una società senza classi)»
Nel 1941, nella sua "teoria della maturità", Pollock non opporrà più economia capitalista pianificata ed economia socialista pianificata, e parlerà di due tipi-ideali di capitalismo post-liberale:
- il capitalismo di Stato totalitario
- il capitalismo di Stato democratico.
Tutta la regolamentazione della produzione e della distribuzione è ormai assicurata, secondo Pollock, dallo Stato e dal suo Piano, e non più dalla "anarchia del mercato". L'economia è perciò definitivamente sotto controllo statale, non è più una sfera autonoma semovente. Sotto le due forme ideal-tipiche di capitalismo di Stato, lo Stato, ed in particolare la gerarchia delle strutture politiche e burocratiche, diventa la nuova base della strutturazione della vita sociale. In questa visione, molto comune all'epoca, "le relazioni di mercato" - nota Postone - "vengono rimpiazzate dalle relazioni di una gerarchia della gestione, dove (...) regna una razionalità tecnica unilaterale." Tutta questa sequenza d'interpretazione, è quindi segnata dalla "tesi della regolabilità dell'economia".
La seconda caratteristica di questa mutazione verso il capitalismo post-liberale, per Pollock, è che essa non ha niente di emancipatore. Il dominio e la crisi prendono altre forme, rispetto al capitalismo liberale. Il dominio diventa diretto e la messa al lavoro della popolazione si ottiene per mezzo del terrore politico e della manipolazione psicologica delle masse, in particolare nella variante totalitaria del capitalismo di Stato. Questa forma di dominio, pertanto, rimane, secondo lui, insidiosa e opaca perché rimane nascosta agli individui. La perdita di autonomia da parte degli individui viene compensata attraverso la trasgressione, ammessa, di alcune norme sociali, segnatamente quelle sessuali; cosa che annuncia molto direttamente il concetto, caro a Marcuse, della "tolleranza repressiva", che già troviamo implicitamente nella teoria di Pollock, cui si ispirerà. A causa del primato della politica sull'economia, il sistema - ci ritorneremo - viene descritto come se fosse senza alcuna contraddizione interna, poiché "i problemi di amministrazione hanno sostituito quelli del processo di scambio". Vale a dire che per Pollock, lo Stato disporrà di tutti i mezzi per controllare le cause economiche delle depressioni economiche. Tuttavia, retorizza anche la possibilità di una crisi in questo capitalismo post-liberale. E dal momento che non riconosce più alcuna contraddizione in seno all'economia, la crisi non può essere, propriamente parlando, una crisi economica. Diventa la crisi della nuova forma di dominio diretto, quindi una crisi politica, una crisi di legittimità dello Stato.
Visto che conserva numerosi presupposti del marxismo tradizionale, questa teorizzazione del capitalismo post-liberale, secondo Postone, solleva due difficoltà insormontabili che la rovinano e che rendono fortemente fragili una gran parte dell'apparato teorico della prima generazione della Teoria critica. Da una parte, se, come è sostenuto da Pollock, il capitalismo si confonde con i rapporti di produzione assimilati al mercato e alla proprietà privata, allora, una volta che il mercato e la proprietà privata sono stati superati, perché continuare a qualificare come capitalista, la situazione post-liberale? Questa è la prima impasse cui ci porta il postulato marxista tradizionale di partenza. Eppure Pollock non demorde affatto: "Quel che arriva alla sua fine, non è il capitalismo, ma la sua fase liberale". Però, se tale constatazione è corretta, la natura capitalista del "capitalismo di Stato" non è mai seriamente fondata, il "capitale" che secondo Pollock è oramai regolato politicamente non viene mai veramente definito. Avanzando attraverso il periodo liberale e post-liberale, gli rimane sempre una costante, l'appetito per il "profitto"; tuttavia, la chiarificazione di tale nozione non avviene. Pollock le attribuisce in maniera indeterminata un "contenuto superficiale". Ala fine si arriva a capire che la ricerca del profitto sarebbe semplicemente una forma specifica e derivata di una ricerca trans-storica del potere per il potere. Gli è che, in questa forma di teorizzazione, "le categorie economiche (il profitto)" - sottolinea Postone - "sono diventate delle sotto-rubriche delle categorie politiche (il potere)", cosa che già costituisce uno spostamento verso una metafisica del potere, esteriore alla specificità storica di una forma di sintesi sociale data.
Ma, ancora una volta, in questa definizione, il carattere capitalista del "capitalismo di Stato" non è allora veramente necessario. Pollock cerca di dare una ragione un po' più sviluppata, per mostrare che la situazione post-liberale deve continuare ad essere qualificata di "capitalista", ma il suo solo argomento è quello di constatare che la formazione sociale post-liberale rimane sempre una società antagonista, cioè, ai suoi occhi, una società di classi. Quest'assimilazione tra il concetto trans-storico di "antagonismo sociale" e il concetto di "classe", specifico alla società capitalista-di mercato e alla sua forma storica particolare di antagonismo sociale, viene fatta troppo velocemente. E' ancora uno dei principali postulati del marxismo tradizionale, che non sa cogliere altro che l'antagonismo sociale - che interpreta più come una contraddizione sociale fra il proletariato e la classe capitalista - e non permette di distinguere il capitalismo dalle altre formazioni sociali non capitaliste, dal momento che numerose società non capitaliste conoscono anche la presenza di un antagonismo sociale, ed anche in modo più visibile e brutale. Il nocciolo del capitalismo, in realtà è molto più specifico di così, e non si distingue dalle altre società per un simile tratto. Secondo Postone, bisogna distinguere più nettamente tra antagonismo sociale e contraddizione sociale, perché "la contraddizione fondamentale della società capitalista dev'essere concepita come inerente al regno della produzione, e non semplicemente come una contraddizione fra le sfere della produzione e della distribuzione". Una dinamica immanente, contraddittoria e che sfugge al controllo cosciente rinvia, per Pollock, al solo modo di distribuzione mediato dal mercato, riconosciuto come l'origine delle strutture sociali non-coscienti. Espressione del nuovo principio di dominio, la pianificazione, al contrario, esercita il controllo sociale totale - per mezzo della burocrazia, dei trust, ecc. -, forzatamente, lo sviluppo storico è diventato così coscientemente regolato. Pollock si rappresenta così la nuova società, come una società antagonista ma senza dinamica immanente, una società non libera ma che non ha alcuna contraddizione inerente. Le fonti del pessimismo di Pollock e della "Scuola di Francoforte" vanno perciò ricercate nell'idea di assenza di una dinamica immanente nel capitalismo di Stato. Si tratta di fonti teoriche, e non solo storiche, del pessimismo della prima generazione, e che sono le basi, per esempio, del futuro concetto di "società unidimensionale".
Nel 1955. quasi quindici anni dopo il suo grande studio sul capitalismo di Stato, Pollock intraprende uno studio sull'automazione negli Stati Uniti, commissionatogli da Horkheimer e dall'Istituto. E' una delle rare opere tradotte in francese (N.d.T.: e anche in italiano, col titolo "Automazione", e pubblicato da Einaudi). Essa mostra un mutamento completo e sorprendente. Non solo, in questo studio di sociologia molto universitario, non si ritrova più il concetto di "capitalismo di Stato", ma scompare anche il termine "capitalismo" per lasciare il posto alla categoria di "paesi industriali organizzati secondo l'economia di mercato". Il libro descrive un'economia post-bellica ormai centrata sul mercato e non più su una forma burocratica organizzata dallo Stato. Quest'ultima forma, che gli ha permesso di descrivere il capitalismo post-liberale dal 1926 al 1941, ai suoi occhi, alla fine, non appare più come la realtà del presente - che rimane centrata sul mercato - ma come quello che potrebbe diventare il capitalismo se si lascia fare alle forze motrici del mercato, in particolare all'utilizzo dell'automazione. In questo studio molto minuzioso per quanto riguarda il materiale empirico che raccoglie, egli si interessa assai poco all'elaborazione di una teoria della forma-automazione della produzione, e preferisce concentrarsi sulle conseguenze economiche e sociali dell'automazione. Tuttavia, quando ne ha interesse, evoca due ragioni per l'impennata avuta da quest'automazione della produzione: "l'automazione viene irresistibilmente stimolata dalla lotta concorrenziale e dalla corsa agli armamenti più letale". Ci troviamo, evidentemente, nel contesto della Guerra Fredda, per quel che riguarda il perseguimento della militarizzazione delle economie e la costituzione di potenti complessi militari-industriali. Per quel che riguarda la determinazione della concorrenza sul mercato, è "grazie alle nuove tecnologie, che si possono generalmente abbassare i prezzi, fabbricare in serie nuovi prodotti, ed ampliare così il mercato". (2) Tuttavia, Pollock tratta qui dell'automazione - così come del lavoro e dell'industria - come appartenente alle forme produttive non intrinsecamente capitaliste, che sarebbero, in quanto semplici strumenti, catturate dall'esterno dai rapporti sociali capitalisti sempre assimilati al mercato. Segnata dall'individualismo metodologico, la sua spiegazione della comparsa dell'automazione riposa su delle semplici "robinsonate" che mettono in evidenza solo delle forme di coscienza e di strategia padronale empirica, senza però sviluppare una teoria adeguata dell'automazione che possa spiegare le forme fenomeniche ed empiriche, a partire dalla dinamica delle forme sociali duplici ed iniziali del capitalismo e del suo nucleo sociale profondo. La sociologia empirica dell'automazione che fa Pollock, e che ignora la presenza di qualsiasi sociale nei fenomeni considerati isolatamente, è semplicemente il contrario della critica in Adorno, e porta a constatare l'apparenza tecnologica del capitalismo, dietro la quale non vede in alcun modo una forma specifica di rapporti sociali. L'automazione è solo riconosciuta come semplice applicazione della tecnica che appare come una potenza neutra, essa diviene l'applicazione di una razionalità vincolante. La tecnica non viene perciò compresa come un rapporto sociale mediato dal capitale, come il risultato ed il presupposto intrinseco alla sua logica interna, ma come uno strumento al servizio del profitto, espressione del puro gusto del potere. Ma, paradossalmente, uno strumento che potrebbe avere un utilizzo emancipatore, presunta ambivalenza della tecnica che reca sempre il marchio dell'applicazione dei presupposti del marxismo tradizionale.(3) Sotto la sua penna, tutta la storia dei diversi modi di produzione nel XIX e XX secolo, viene ridotto a fare la storia di "una lunga serie di scoperte scientifiche e di invenzioni tecniche che si "concentrerebbero" in un nuovo sistema di produzione, provocando così delle profonde trasformazioni nella struttura dell'economia e della società". Ma se in questo scritto post-bellico, le due forme ideal-tipiche del "capitalismo di Stato" esplicitate nel 1941 non ci sono più per descrivere il presente, ecco che tornano al galoppo quando si tratta di sforzarsi di mostrare come, a causa dell'automazione, "la struttura dell'economia e della società si veda messa in discussione". Se non si fa attenzione e se lo Stato, attraverso il Piano, non inquadra rapidamente le forze del mercato, allora vedremo nascere una "società dell'automazione" che funzionerà secondo le sue proprie basi e che avrà tutti i tratti del "capitalismo di Stato totalitario" definito da Pollock nel 1941:
« In un'economia di mercato, caratterizzata dalla predominanza dell'automazione, potrebbe costituirsi una società, la cui struttura si esprimerebbe al meglio attraverso la formazione di una gerarchia militare autoritaria. Al vertice di questa piramide sociale, noi troveremmo uno "stato maggiore generale" economico, composta dai veri padroni delle macchine e degli uomini. Questo gruppo relativamente piccolo sarà il solo, con il suo "corpo di ufficiali" [comprensivo dei manager, degli operai specializzati molto qualificati e degli ingegneri], in grado di abbracciare l'insieme dei fenomeni tecnici ed economici, e prendere tutte le decisioni che interessano la politica economica. Grazie ai calcolatori elettronici, disporrà di informazioni che lo terranno esattamente al corrente di tutti i fenomeni economici e che lo informeranno molto velocemente sulle possibilità di applicazione e sui costi di un progetto complesso [...] Poiché tutto sembra calcolabile, un tale strato sociale dirigente adotterà naturalmente il punto di vista dominante, che saprà gestire le masse umane. Il pericolo è quello di essere disprezzata da una massa senza giudizio, facilmente influenzata dalla tecnica moderna di propaganda, e che si trova mantenuta di buon umore, poiché partecipa al consumo di un flusso sempre più crescente di merci.»
Nell'incubo di questa società a venire, ritroviamo il primato della politica e della tecnica, l'idea della "regolabilità economica" oramai permessa grazie a delle "macchine per governare" (supercalcolatori) e soprattutto la strutturazione della società attraverso il dominio diretto. La società dell'automazione sarà la vera società totalitaria:
« L'ingegnere dell'automazione [...] il suo pensiero è orientato nel senso del dominio della natura [...] L'aria di "severa oggettività" che riesce a nascondere l'enormità della sua volontà di potenza, la perfetta eccentricità dei suoi piani e delle sue costruzioni che sottintendono questa volontà di potenza. Lo strumento che ha costruito ... è un apparecchio che permette al suo padrone, collocato in una situazione molto centralizzata, di trattare l'uomo stesso come uno strumento. Un colpo d'occhio sulla letteratura dei "tecnocrati", e l'affinità comprovata fra gli ingegneri ed i despoti totalitari mostrano come non si tratti, nei fatti, di un fenomeno nuovo.»
In questa società avremo "lo stato maggiore generale" in cima alla piramide, poi "il corpo di ufficiali", poi quello dei "sottoufficiali", ed infine, in fondo, l'enorme massa dei lavoratori "liberati dai settori economici tecnicamente più sviluppati dal flusso del lavoro alla catena" grazie all'automazione.
« I cambiamenti di struttura della società, che abbiamo visto qui delineati, si produrranno senza dubbio se non verranno prese in tempo delle energiche contromisure. Esse non fanno altro che amplificare un movimento già innescato da molto tempo nella società industriale: la separazione in due categorie della popolazione attiva. Da un lato la minoranza, quelli che eseguono le funzioni essenziali nella "produzione" e nella "amministrazione", quelli che appartengono, per il loro stato, ai professionali (professioni liberali ed altri servizi molto qualificati). Dall'altra, la triste maggioranza, quelli che non offrono nessuna qualificazione, che non sono in grado di comprendere il funzionamento dell'economia e della società, e che effettuano per la più parte un lavoro "improduttivo" nel senso in cui lo intende l'economia classica. Nel sistema di produzione automatica pienamente raggiunto, la minoranza "produttiva" degli ingegneri, amministratori, operai specializzati e il resto degli operai qualificati impiegati nella produzione produrrà tutti i beni necessari a mantenere, e se possibile all'elevazione del loro proprio livello di vita e di quello della grande maggioranza delle persone che lavorano fuori della produzione propriamente detta [...] E la grande maggioranza degli uomini dovrebbe in cambio fornire alla minoranza dei servizi. Evidentemente, una struttura sociali di questo genere offrirebbe una base assai fragile per una società libera. Il potere continuamente crescente della minoranza e l'impoverimento della maggioranza potrebbero, prima di raggiungere la fine dell'evoluzione, arrivare ad un punto in cui il passaggio ad un sistema sociale autoritario diverrebbe realtà."
- Clément Homs -
(1) Nel 2009, in un saggio dal titolo "La teoria critica ed il XX secolo", Postone annuncia di voler ampliare in una futura opera la sua interpretazione della Teoria critica, dei suoi errori e della sua incapacità ad afferrare il capitalismo post-liberale, a partire dallo studio dell'opera giovanile di Georg Lukács, "il più grande precursore della Teoria critica" in termini di comprensione del capitalismo post-liberale. E' in "Storia e coscienza di classe" che Lukács ha cercato, per mezzo di una sintesi di Weber e di Marx, di dar conto del "passaggio storico del capitalismo da una forma centrata sul mercato ad una forma burocratica" (Postone). Sappiamo anche che in questo libro di Lukács, che ha il grande merito di aver messo al centro della teoria marxista la teoria del feticismo e le discussioni intorno al concetto di lavoro astratto, quest'ultimo è stato particolarmente male interpretato (un fatto comune a tutta la tradizione marxista). Lukács ha forgiato il concetto di "lavoro astratto sul concetto di "razionalizzazione" di Weber, che però non è la stessa cosa. Il lavoro astratto è per Marx una forma sociale, e questa è veramente diversa da un'astrazione razionalizzata di gesti che avrebbero per fine quello di intensificare la loro produttività del valore d'uso in ciascuna unità di tempo (ed è anche diversa da una semplice astrazione nominale nel pensiero, o di un'unità di misura). Infine, Lukács assimilava in maniera erronea il lavoro astratto alla dimensione sociale del volto concreto assunto dal lavoro. Quello di cui parla Lukács è, in realtà, il divenire concreto del lavoro astratto iscritto soprattutto in seno alla logica dinamica del "mulino delle discipline" di cui parla Postone.
(2) "Quando è possibile impiegare razionalmente l'automazione, essa offre dei vantaggi decisivi nei confronti del vecchio sistema di produzione [la razionalizzazione]; con dei costi equivalenti, si possono fabbricare prima dei prodotti di miglior qualità; oppure, se si vuole, una stessa quantità di qualità superiore può essere prodotta con costi minori. Non vengono realizzati risparmi solo sui salari e sugli stipendi, ma anche sul capitale e sulla circolazione. La riduzione delle scorte e delle materie prime utilizzate nella fabbricazione, e la soppressione dei rifiuti fa economizzare il capitale in circolazione. Le economizzazioni di capitale fisso vengono ottenute grazie ad un minor ingombro delle istallazioni, e grazie alla riduzione degli investimenti per unità di prodotto".
(3) "Solo un Piano d'insieme, elaborato su un lungo periodo, può mettere d'accordo l'automazione con una società libera, e fare della seconda rivoluzione industriale la promessa di un ordine sociale razionale". Perché "l'automazione perseguita non significa necessariamente la fine della libertà personale. Se il sistema di produzione automatico viene messo coscientemente al servizio dell'uomo, esso può aiutare a far sparire la miseria economica, molto rapidamente dal mondo [...] E' facile vedere che questo fine non può essere raggiunto, se si abbandona al meccanismo classico del mercato la direzione delle forze messe in moto. Bisogna acconsentire anche ad una distruzione delle forze produttive di tale portata, che le devastazioni della crisi degli anni 1930 sembreranno minime a confronto. Interventi del governo nella politica economica e sociale, che sono oggi giudicati praticamente inevitabili in tutti gli Stati industriali, potrebbero forse aiutare il meccanismo del mercato a promuovere, a lungo termine, la riconversione della mano d'opera liberata ed un aumento del livello generale di vita [...] Se si afferma, sul piano sociale, una volontà decisiva di sfruttare, direttamente e metodicamente per il bene dell'umanità, il sistema di produzione automatica, l'automazione potrebbe far nascere la prosperità." E conclude: "Cosa è stato finora [nel mercato] il più grande ostacolo che ha impedito la direzione razionale di un'economia orientata verso dei fini non militari? La difficoltà di fornire ai servizi responsabili delle decisioni [le amministrazioni] tutte le informazioni necessarie. Se nella costituzione e nella condotta dei Piani si fosse dovuto tener conto dei desideri dei consumatori, il compito sarebbe stato pressoché impossibile. Oggi, la potenza dei supercalcolatori elettronici ha infranto l'ostacolo. I cervelli giganti possono essere installati al fine di pianificare produzione e distribuzione [...] Solo un piano d'insieme, elaborato con l'aiuto dei nuovi metodi, e concepito per un lungo periodo, può mettere d'accordo l'automazione con una società libera, e fare della seconda rivoluzione industriale la promotrice di un ordine sociale razionale."
Ritroviamo qui l'utopia dell'abbondanza per mezzo della tecnologia della produzione capitalista che aveva marchiato tutto il movimento operaio e i suoi programmatismi fin dal XIX secolo. Tale utopia, cui sottoscrivono anche Pollock e Horkheimer, avviene qui per mezzo dei calcolatori giganti, molto vicina la "distributismo" della rivista "Prosper". (Per una critica del distributismo, leggere Deun, « Le distributisme ou l’envoûtement logistique », in revue Sortir de l’économie, n°2, 2008)
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