Ragione sanguinosa
20 tesi contro il cosiddetto Illuminismo e i "valori occidentali"
di Robert Kurz
4.
Uno dei punti cruciali del malinteso circa la critica sociale dell'illuminismo, è la radicata interpretazione secondo la quale sarebbe stata una promessa emancipatrice, o addirittura una promessa di libertà, ai fini della ricerca della felicità da parte dell'uomo. Con il fine di una razionalità in quanto tale, e di una critica permanente, questa promessa fu sottoposta al giudizio della sua stessa razionalità, di modo che potesse sembrare che il pensiero illuminista dovesse andare avanti per sempre, perfino al di là dei suoi creatori e protagonisti, fino a che non si fosse "compiuto". Fu proprio per questo motivo che si poté mantenere l'equivoco fondamentale per cui l'illuminismo sarebbe stato qualcosa di distinto dall'autoriflessione positiva del capitalismo, o dalla logica del sistema produttore di merci, e che conterrebbe in sé dei momenti trascendenti di emancipazione che puntano oltre esso nella sua costituzione borghese. Sebbene il concetto vago ed opaco della razionalità del pensiero illuminista sia stato tematizzato innumerevoli volte, la sua propria critica di quest'aspetto ha continuato a rimanere poco incisiva, evitando così, invariabilmente, una definizione precisa del contenuto ridotto e prescrittivo del concetto illuminista di razionalità. Questa concezione di razionalità, tuttavia, in fondo non conteneva altro che l'affermazione militante della forma metafisica - questo è - della forma valore del moderno sistema produttore di merci, ovvero della forma resa irrazionalmente indipendente dal "soggetto automatico" (Marx); definizione questa che si riferisce al carattere assurdo del movimento valorizzatore del capitale che si collega a sé stesso in quanto fine in sé, e, quindi, allo stesso tempo, all'assurdità corrispondente della rispettiva forma del soggetto, apponendo il suo sigillo al pensiero e all'attuazione degli individui sociali inseriti in questo ingranaggio. Tale concetto distruttivo della razionalità è stato, essenzialmente, sviluppato in seno al pensiero illuminista, ritagliando il pensiero riflessivo a sua propria misura ed eliminando qualsiasi altro piano di riflessione, finché, col sistema di socializzazione del valore capitalista che si stava progressivamente imponendo, il "potere dei fatti" riuscì ad arrivare al pensiero, in quanto positivismo di questa razionalità "realizzata", e così si poté circoscrivere la riflessione, in generale, alla fornitura dei servizi minimi dovuti. Ciò detto, l'alba illuminista della razionalità costituì, allo stesso tempo, il crepuscolo della ragione, mediato dall'imprigionamento della capacità umana di raziocinio dentro la forma per niente razionale della socializzazione del valore. Per questo, non c'è alcun motivo per poter parlare di una permanenza trascendente dell'intento esplicativo della critica. L'illuminismo, in tutte le sue varianti e gradi di sviluppo, si è sempre limitato a sottoporre a critica quelle situazioni e quelle manifestazioni che in qualche modo si opponevano al meccanismo travolgente del movimento della valorizzazione. Per lo stesso motivo, la sua critica alle realtà anteriori alla modernità costituiva solo una critica al potere nella misura in cui le forme tradizionali del dominio venivano censurate per la loro mancanza di efficienza e per la loro mancanza di capacità nell'interferire con l'intimità degli individui. L'illuminismo è stato, fin dall'inizio, l'esame minuzioso dei punti deboli del potere, con l'intento di rafforzare quest'ultimo sotto una forma nuova, oggettivata, e allo stesso tempo ideologizzata come una forma naturale insuperabile. Di conseguenza, l'inizio della critica illuminista è stato simultaneamente la fine di tutte le critiche, la scomparsa della critica nella forma autoreferenziale della soggettività borghese. L'illuminismo, non limitandosi alla sola pretesa di respingere una critica fondamentale a questa forma, cercò di farla diventare letteralmente impensabile. Per tutto questo, la filosofia illuminista, in quanto atto fondatore dei valori occidentali, non costituendo una promessa neanche per la sua natura intrinseca, finì per trasformarsi in una minaccia; detto con più rigore: la minaccia assunse perfidamente la forma di una promessa. Non era la felicità quella che si prometteva, ma solo la sua ricerca sotto la forma di una concorrenza sfrenata e assassina che smentiva rapidamente il concetto di felicità. Il concetto di felicità, già di per sé vago e aleatorio, non ha mai designato una cosa diversa dal successo nella concorrenza, cosa che presuppone sempre l'oggetto della felicità in una forma capitalista, al di fuori della quale si dà per scontato che non esista forma alternativa. La coercizione cui si sottomettono gli individui perché ricerchino la loro felicità sotto la pressione del movimento di valorizzazione, è identica ad una mostruosa minaccia nella misura in cui, per prima cosa, prestabilisce la storia della felicità come una storia della sofferenza e dell'infamia e, secondo, pure all'interno della sofferenza e dell'infamia, non solo ammette come possibilità, anche fisica, il fallimento totale e la perdita dell'esistenza sociale, ma lo dà per scontato fin dall'inizio per quel che riguarda i perdenti necessari. Una volta decifrata come minaccia, la promessa illuminista di una libera ricerca della felicità non può più essere intesa come un ideale positivo (appare in qualche maniera vuoto di senso e di contenuto, ad immagine della perdita di contenuto della forma valore). Di conseguenza, quello che è in discussone non è, possibilmente, lo stabilire una differenza fra l'ideale borghese e la realtà borghese: sia con il fine di rivendicare l'ideale contro la realtà e costruire una realtà borghese ideale (la variante ingenua); sia sottomettendo tale ingenuità ad una critica apparente, col solo fine di realizzare l'ideale, che rimane borghese, apparentemente oltre la condizione borghese. Piuttosto, la missione della critica radicale consiste nel mettere allo scoperto il carattere negativo e distruttivo del proprio ideale borghese e illuminista e, insieme ad esso, l'identità di fatto tra ideale e realtà soprattutto nella storia della sofferenza e dell'infamia della modernità. Insieme alla forma moderna di felicità, la quale si presenta come una vera e propria disgrazia, anche la forma moderna della ricchezza dev'essere sottoposta ad una critica fondamentale. Questo presuppone una critica altrettanto fondamentale delle concezioni illuministe della razionalità, del soggetto e della storia.
- (continua …) - - Robert Kurz -
fonte: EXIT!
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