«La logica binaria è letale. Sempre alla ricerca della terza parte segretamente inclusa.» (Basarab Nicolescu)
Pertanto, «per vedere, bisogna volgersi sia verso la luce che verso l'ombra, vedere contemporaneamente il bianco e il nero». Diversamente, finiamo per cadere - e ricadremo sempre - in quell'«omogeneizzazione totalitaria» che rende la nostra vista grigia, per quanto profondi siano i colori che vengono visti sui nostri monitor. Si tratta di lavorare per questa specie di «dialettica dell'equilibrio» dove ci si può avvicinare al dinamismo della vita solo invocando la complessa nozione del «terzo incluso» (ereditata da Stéphane Lupasco), che qui ci limitiamo a sottolineare come essa rovini l'assolutezza del principio di non contraddizione, invitandoci a lasciare la binarietà, assumendo quella tensione creativa che non solo permette il superamento, ma vive di vita propria.
Da qui, un pensiero dell'interstizio, dell'«intervallo» attraverso il quale « è possibile estraniarsi dal sogno imposto dalla "Società dello Spettacolo" ». Sembra che questa nozione di intervallo si trovi anche, e in misura persistente, nell'antica cultura giapponese: il cosiddetto "Ma"; lo spazio tra le cose, che è simultaneamente ciò che le collega e il luogo dove si concentra la tensione essenziale. A tutto ciò si aggiunge anche la nozione di soglia; il punto attraverso cui... si entra.
E a tale idea di intervallo si aggiunge quella di "Talvera", cui non va attribuito solo un'accezione negativa, vale a dire, di «spazio che non può essere arato». Anche perché, «il verbo talverar esiste in occitano e significa “lavorare i bordi di un campo”. Infatti, se il bordo del campo può essere lasciato incolto per servire da percorso tra gli appezzamenti coltivati, è possibile lavorarlo in un altro modo rispetto al campo. Così, i solchi arati nel senso della lunghezza possono essere sostituiti da altri, tracciati nel senso della larghezza scavando, zappando e diserbando il terreno. Per poi coltivare così delle colture minori: cavoli, barbabietole, patate, ecc.». Continua Alain Santacreu:
«L'abbandono della talvera - non solo del concetto ma anche della parola che la indica - va visto nel contesto di quelle che sono state tutte le dominazioni elitarie che privilegiano il centro, a scapito della periferia. Il concetto di talvera dimostra la necessaria eterogeneità dello spazio sociale. Rompe l'uniformità imposta dalla riduzione centralizzante di un unico modello.»
Ragion per cui, perciò, ci troviamo qui ai margini di un altro mondo, dove esiste un varco a partire dal quale, secondo le parole di Gustav Landauer, «viene concepita, rinasce e viene vissuta la comunità primordiale e universale: la comunità con il genere umano e con l'universo». E per quanto possiamo trovarci intrappolati nel «campo globalizzato», tuttavia ne «la realizzazione finale dello spazio capitalista, lo spazio di eccezione analizzato da Agamben», ne «la zona di indistinzione indefinita della merce», si può notare come «ognuno di noi occupa un punto del campo-spazio a partire dal quale spetta a noi sollevarci per rinascere come umani».
1 commento:
vedi: https://www.amazon.it/En-qu%C3%AAte-dune-gnose-anarchiste/dp/2955980072/ref=sr_1_3?Adv-Srch-Books-Submit.x=20&Adv-Srch-Books-Submit.y=14&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85Z%C3%95%C3%91&page_nav_name=Libri+in+italiano&qid=1680455641&refinements=p_27%3AAlain+Santacreu&s=books&sr=1-3&unfiltered=1
Posta un commento