lunedì 3 gennaio 2022

Una polemica ?!??

Dopo l'11 settembre 2001, con un'arroganza senza precedenti, gli ideologi dell'economia di mercato e della democrazia rivendicano le loro radici nella grande filosofia dell'Illuminismo . Dimenticate la "Dialettica dell'Illuminismo" di Adorno e Horkheimer, dimenticate la critica dell'eurocentrismo: perfino alcuni settori della sinistra si aggrappano a una presunta promessa di felicità borghese, anche mentre la globalizzazione del capitale devasta il pianeta.
Robert Kurz, diventato noto per le sue analisi critiche del capitalismo e della sua storia ("La sostanza del capitale", "Il Collasso della modernizzazione"), affronta qui i "valori occidentali" in controtendenza con la corrente intellettuale dominante, e al di là della precedente critica dell'Illuminismo. In questi saggi teorici polemici e decisivi, viene abbozzata una nuova critica radicale della forma-soggetto moderna (determinata dal genere maschile), non per rendere omaggio a un qualche romanticismo reazionario, ma per mostrare che l'Illuminismo e il contro-illuminismo borghese non sono altro che due facce della stessa medaglia. Il fine perseguito è quello di una «anti-modernità emancipatrice» che rifiuti le false alternative, le quali si trovano tutte situate sul terreno del sistema patriarcale produttore di merci.

Indice:
Préface de Robert Kurz (qui sotto)
1. Raison sanglante. Vingt thèses contre la prétendue Aufklärung et les « valeurs occidentales »
2. Ontologie négative. Les obscurantistes des Lumières et la métaphysique de l’Histoire à l’époque moderne
3. Tabula Rasa. Jusqu’où peut et doit aller la critique des Lumières ?
4. Domination sans sujet. Pour le dépassement d’une critique sociale tronquée

Prefazione a "Raison sanglante"
- Testi per una critica emancipatrice della modernità capitalista e dell'illuminismo borghese -
di Robert Kurz

In gran parte, questo libro è una polemica, un pamphlet teorico. Pertanto, costituisce in tutto il mondo esattamente ciò che ripugna all'accademismo grassoccio, equilibrato, noioso, impendendone così le sue recensioni e le sue attenzioni subdole e disoneste; quell'accademismo che ha l'abitudine di smussare ogni contenuto fino a renderlo irriconoscibile. Mentre in Francia il tono provocatorio viene tradizionalmente accettato - essendo visto se non altro come forma letteraria di ragionamento politico e filosofico da boulevard -  nel mondo di lingua tedesca nemmeno la soap opera ha interiorizzato le cerimonie cortigiane dell'ambiente scientifico ufficiale e i suoi costumi obsoleti e antiquati. Una coscienza socializzata che segue le norme di scrittura degli studenti delle medie vorrebbe che anche le questioni esistenziali dell'umanità venissero seguendo l'etichetta del galateo e delle buone maniere borghesi. Sono almeno duecento anni, che la borghesia istruita tedesca mantiene a zero il suo termometro che misura la febbre della paura. Oggi, tuttavia, a essere in gioco non è più solo la forma di esposizione, né sapere se questa sia indecente, oppure si tratti anche di una questione per i tribunali. A dire il vero, non c'è quasi più alcun confronto teorico che sia degno di questo nome. E se non ha più luogo alcuna riflessione concettuale, ecco che allora essa non si può nemmeno esacerbare in modo polemico. Tuttavia, non è solo una specialità teutonica, ma si tratta di un fenomeno ormai su scala mondiale. Non è solo negli ambiti scientifici e intellettuali ufficiali che troviamo questa situazione, ma perfino anche nella sinistra radicale. Mentre in superficie c'è si richiama in maniere solenne al rispetto reciproco,in realtà si tratta di fare accettare una linea di ragionamento lacunoso, privo di ogni concetto, che non merita alcun rispetto. Lo scopo di questa manovra ideologica non è il reciproco riconoscimento personale o la solidarietà reciproca, ma piuttosto l'occultamento di contenuti fastidiosi.Anziché apparire in forma esacerbata, le contraddizioni devono rimanere tali.
Queste tendenze vanno di pari passo con una personalizzazione dei contenuti e dei confronti in tutti gli ambiti sociali. Il motto degli anni Sessanta per cui il privato è politico sembra essere stato accantonato: ora, al contrario, è la politica che viene privatizzata. Non si parla più di posizioni, bensì di personaggi e della loro immagine confezionata (il top e il flop della settimana). Nella sfera teorica, questo diventa ancora più vero. I filosofi entrano nella mischia come se fossero dei calciatori o dei piloti di Formula 1. Quanto alla crisi, viene percepita come un fallimento personale. Non è un caso che, contrariamente al passato, perfino le ben note scissioni all'interno della sinistra non vengono più risolte nella forma di differenze sostanziali portate sull'arena pubblica. Ora, invece, i protagonisti usano sempre più spesso i problemi personali come una scusa: la lotta relazionale e sentimentale, insieme al torbido intrigo sono all'ordine del giorno.
Lo scenario di questa personalizzazione è lo stesso dell'individualizzazione e della dissociazione generale, vale a dire,  la dissoluzione di ogni pensiero e di ogni azione nella soggettività dell'auto-valorizzazione. La critica è diventata una merce e, come tale, oggetto di una concorrenza, aperta o velata che sia. Questo processo di riduzione all'homo economicus e all'individuo astratto che si autoafferma, è accompagnato da una paralisi della riflessione critica, sostituita dal volontarismo e dalla vuota declamazione; così, per esempio, il libro di Hardt e Negri sull'Impero deve il suo status di "cult"[*1] proprio a questo. A livello di concetti, non c'è più niente in gioco, proprio perché non dovrebbe esserci niente in gioco. Il desiderio di emancipazione è stato ridotto a una bella formula. Tutto ciò che è pericoloso si riduce a un'emozione superficiale, e l'emozione ribelle a sua volta viene ridotta a un'oggettività altrettanto superficiale.
Il tradizionale impulso critico va scomparendo; esso era legato alla storia dell'istituzione del moderno sistema di produzione di merci. Allora, tutto ciò che ostacolava il processo di modernizzazione, di capitalizzazione totale del mondo, poteva e doveva essere criticato. Il concetto di critica veniva in gran parte ridotta a quella situazione; era impossibile dirigerla, con la radicalità richiesta, contro la locomotrice stessa della dinamica sociale moderna. La parola magica della modernizzazione ha ormai perso il suo potere evocativo; è diventata la parolaccia del degrado sociale, della gestione repressiva delle crisi e, più in generale, della devastazione del mondo. L'obiettivo è stato raggiunto, il sistema produttore di merci, della «valorizzazione del valore» (Marx) e della «ricchezza astratta» (Marx) si è evoluto in un sistema-mondo immediato e unitario. Ma alla fine di questa strada, l'umanità si ritrova ora davanti al paesaggio in rovina di un imbarbarimento globale. La crisi mondiale della terza rivoluzione industriale si rivela come una crisi di nuovo tipo. Non si tratta più di una crisi dell'instaurazione di una rottura strutturale nel processo di modernizzazione, ma del limite storico di questo stesso processo. Arrivata davanti a questo limite, la ragione critica del passato non può fare altro che sbagliare e andare in pezzi, poiché essa stessa ha già servito da supporto allo sviluppo che ora è arrivato al capolinea.
A suo modo, anche la sinistra è stata uno dei motori di questa storia. La critica del capitalismo riguardava solo il modo prevalente della socializzazione capitalista, che era ancora incompiuto, ma non si rivolgeva mai contro le determinazioni categoriche essenziali della relazione del capitale. La sinistra viveva dentro la gabbia delle categorie borghesi del valore (valorizzazione), della merce, del denaro, dell'economia imprenditoriale, del «lavoro astratto» (Marx), del mercato, dello Stato, della nazione, della democrazia, della politica e della relazione borghese di genere tra i sessi; essa aspirava a dirigere in maniera diversa tutte queste categorie reali della socializzazione capitalista, e a ridefinirle, ma non ad abolirle in quanto tali. Ed è proprio per questo che ora - che ci troviamo di fronte alla fine catastrofica della modernizzazione - si trova a mani vuote. La sua critica è diventata altrettanto vecchia, obsoleta e stantia dell'autolegittimazione borghese di fronte al "sottosviluppo". La "valorizzazione" globale in quanto presunto processo di civilizzazione smentisce sé stessa. L'ottundimento della critica dell'ideologia del progresso è una necessità; ma di questa necessità se ne fa una virtù. Anziché indirizzare la critica sull'essenziale innaturalità del capitale stesso, esacerbandola quindi in maniera categoriale, l'insipienza democratica viene invece elevata a ideale. Proclamato regolarmente, il risveglio della primavera che viene, appare alimentato solo da slogan alla moda che vengono ben presto dimenticati. È in questo che coincidono la coscienza borghese comune e i suoi derivati della sinistra radicale. Che si tratti di un presidente conservatore che esorta la società a «rimboccarsi le maniche», o di ideologi economici che sognano un'«esplosione di auto-responsabilità», oppure della sinistra che scopre l'«appropriazione» senza mediazioni e dichiara che «un altro mondo» è possibile; ecco che ogni volta gli slogan assomigliano disperatamente a quelli delle campagne pubblicitarie, dal momento che le determinazioni rimangono arbitrarie e scollegate, essi si limitano a creare solo delle semplici "atmosfere" che non possono essere sostenibili. La riduzione fenomenologica del pensiero a tutto ciò associato, segna la capitolazione di una critica che ha rinunciato essa stessa ad essere concettuale.
La generale benevolenza democratica, con tutta la sua retorica del rispetto e del riconoscimento, viene bruscamente contraddetta dalla cattiveria quotidiana della concorrenza universale della crisi, la quale si fa sentire anche in quel rimane della sinistra, dove si simulano partenze verso un domani più luminoso. Allo stesso tempo, la ragione borghese sprofonda in un manicheismo che sostituisce la riflessione critica con la definizione di un "male" che viene identificato nel terrorismo delle «culture straniere». A partire dall'11 settembre, l'Occidente ha confermato il proprio pacifismo liberale facendo piovere, nelle zone pericolosamente vicine del collasso del mercato globale, bombe sia sui giusti che sugli ingiusti.
Ciò che vediamo qui affermarsi, attraverso questa feroce militanza di crisi che si presenta come al solito indossando la maschera della civiltà, è un contenuto ideologico che, come pensiero legittimante, ha accompagnato tutto il processo di modernizzazione: si tratta della filosofia dell'Illuminismo, la quale è alla base di tutta la teoria moderna. A questo proposito, il conflitto tra gli Stati Uniti d'America, l'ultima superpotenza, e la vecchia Europa, così tanto spesso invocato, ruota unicamente intorno alla questione di chi meglio affermi i «valori occidentali» - e chi sia a farlo nella maniera più appropriata - all'interno di quel fronte comune contro gli spettri del declino che vengono generati dalle dinamiche del capitale globale stesso. È l'ignoranza illuminata, quella che vorrebbe far passare il crollo dell'ontologia capitalista come se fosse l suo trionfo. In questo 2004 - che è stato dichiarato l'«anno di Kant» - in mezzo alle rovine di una società-mondo in via di disfacimento, l'Occidente celebra, insieme al pensatore della Ragione borghese, ance quello che sarebbe il proprio presuntuoso dominio globale, del quale tuttavia  non può non perdere il controllo. Ciò che vediamo ripetersi alla fine, al più elevato livello di quello che è stato un cieco sviluppo, è di nuovo l'inizio: la colonizzazione, sia all'interno che all'esterno, riappare sotto forma di una gestione della crisi planetaria priva di qualsiasi prospettiva.
L'impotente anticapitalismo della sinistra sta sfondando delle porte aperte, a partire dal fatto che nella storia della modernizzazione che si è conclusa ha perso tutti i suoi punti di riferimento (movimento operaio, socialismo reale, movimenti di liberazione nazionale). Questi punti di riferimento, si trovavano ancora, essi stessi, sotto l'incantesimo dell'illuminismo borghese, il quale ora irrompe con forza  per un'ultima volta anche a sinistra. Dimenticatevi della "Dialettica della Ragione" (Adorno e Horkheimer), dimenticate la critica dell'eurocentrismo: questi erano in ogni caso solo dei gesti timidi e incompleti per poter uscire dalla fatalità della pseudo-razionalità capitalista. Ciò che dovrebbe essere all'ordine del giorno d'ora in poi, è la distruzione radicale (e quindi l'andare al fondo delle cose) del pensiero illuminista e della sua neo-lingua orwelliana, dal momento che ogni critica della ragione borghese e dei suoi risultati, fatta attraverso i mezzi della ragione borghese, è ormai impossibile.
Piuttosto, una parte della sinistra, di fronte alla sua propria stessa ragione borghese, si rifugia in un balbettio e in un chiacchiericcio pseudo-emancipatore, riproponendo i concetti ormai insipidi del defunto marxismo operaio oppure, ancora peggio, arricchendoli con esaltazioni del gusto postmoderno; il culto dell'ambivalenza può diventare un alibi del disarmo concettuale per evitare di affrontare la richiesta di una rottura categoriale. Un'altra frazione della sinistra, preferisce invece trincerarsi insieme agli ideologi democratici ufficiali dietro l'ultima linea di difesa della ragione modernizzatrice. Numerosi ex critici, invocano ad alta voce la cosiddetta «promessa borghese della felicità», nello stesso momento in cui la globalizzazione del capitale sta demolendo tutte le relazioni sociali, distruggendo le basi stesse della vita.
È scontato che la questione di una critica radicale dell'Illuminismo conduce alla frontiera laddove inizia il vero tabù della modernità. Questa frontiera è doppiamente protetta, a partire dal fatto che ogni critica coerente dell'Illuminismo, con il suo pessimismo culturale, viene denunciata come reazionaria, in quanto contro-illuminista e antimoderna, quando in realtà questi ultimi sono solo i prodotti dello stesso Illuminismo. Ogni anti-modernità emancipatrice deve sembrare inconcepibile, ma è proprio la concezione di una tale presunta impossibilità che costituisce l'attuale compito storico. È la forma-soggetto capitalisticamente costituita, a costituire il denominatore comune tra l'illuminismo borghese e il contro-illuminismo altrettanto borghese, e questa forma include anche la sinistra così come l'abbiamo conosciuta finora. Questo tabù può essere infranto solamente se l'impulso emancipatore arriva a inquadrare nel mirino quella forma-soggetto che è propria del moderno sistema di produzione di merci.
Sotto il nome di «critica del valore», la critica categoriale delle determinazioni essenziali della modernità capitalista ha già acquisito una certa forza di irradiazione nella sfera della riflessione critica. La critica del valore si riferisce alla forma-valore della merce in quanto forma di socializzazione nell'epoca moderna. Ma questa non è affatto una determinazione economica in senso stretto. Il concetto di valore, o di valorizzazione, è piuttosto un concetto della totalità negativa del rapporto di capitale, o della «socializzazione del valore». Nazione, Stato e politica non sono immediatamente subordinati all'economia empirica, ma appartengono piuttosto alla stessa totalità feticistica presupposta dal valore. È per questo che la forma politica non può essere una forma di emancipazione, non più di quello che può esserlo la cosiddetta Nazione. La stessa cosa vale anche per l'ontologia capitalista del "Lavoro". Quanto al concetto di lavoro astratto, esso non costituisce - e ancor meno se lo si assume in senso trans-storico - una leva di emancipazione. Il Lavoro, la Nazione e la Politica sono solo delle categorie del sistema di produzione della merce;  in quanto categorie sociali, esse diventano obsolete insieme a tale sistema.
Nel mondo di lingua tedesca, la critica del valore, che aveva cominciato a emergere dal marxismo tradizionale immanente al valore, è stata portata avanti per più di un decennio dalla rivista teorica Krisis. Ma anche all'interno di questo piccolo cerchio di elaborazione teorica, il tabù della modernità aveva finito per diventare percepibile. Non appena la critica del lavoro e della politica si erano allontanate, andando oltre i concetti della critica dell'economia politica e della forma borghese del diritto, ed erano andate verso una critica della forma-soggetto e dell'Illuminismo, ecco che allora le contraddizioni di questo soggetto hanno cominciato a farsi sentire in maniera distruttiva, e ciò nonostante la pretesa di rappresentare una nuova critica radicale. A questo proposito, i saggi qui pubblicati assumono già una certa importanza. La loro pubblicazione in tre numeri successivi di Krisis (2002 e 2003), riflette un momento di aspro conflitto. La pubblicazione del testo "Ragione sanguinosa", dapprima venne bloccata, e venne resa possibile solo dopo al termine di un'accanita resistenza; quanto al testo "Tabula rasa", esso avrebbe provocato delle reazioni difensive ancora più forti, e avrebbe causato molti rancori. Uno degli aspetti di questi conflitti, è stato che la critica del soggetto e dell'Illuminismo, qui parzialmente sviluppata, non si limitò più all'orizzonte dell'universalismo androcentrico che, come è noto, caratterizza il pensiero illuminista strutturalmente maschile. L'individuo astratto dell'epoca moderna si basa sulla forma-soggetto maschile, bianco, occidentale (MBO). È proprio il tener conto della relazione di genere a livello di astrazione dei concetti capitalistici essenziali, a delimitare in modo decisivo questa critica emancipatrice dell'Illuminismo e del contro-illuminismo borghese, che si definiscono sempre come profondamente androcentrici e che, proprio per questo, rimangono sempre legati in modo sotteso all'Illuminismo. Nella stessa misura in cui il concetto di "dissociazione" sessuale, sviluppato da Roswitha Scholz [*2], è stato poi sistematicamente integrato nella critica dell'Illuminismo, anche i tentativi di frenare il progetto della critica del valore di Krisis si fecero sempre più forti. Le furie del falso universalismo androcentrico si scatenarono allorché divenne chiaro che la teoria della dissociazione, fino ad allora piuttosto tollerata come una sorta di corpo estraneo (e in caso di dubbio retrocessa dal piano concettuale a quello storico-empirico), minacciarono di mandare in frantumi anche quella concezione della critica del valore che era essa stessa ancora astrattamente universalista.
Ciò che fu significativo, è che il rifiuto di questa netta determinazione della critica del soggetto e dell'illuminismo era stata inizialmente formulata, sebbene non in modo aperto, vale a dire, come se fosse un dissenso sulla sostanza, ma piuttosto come l'accusa di una "esacerbazione", e come un tentativo di denuncia ad hominem. Questo modo di condurre il conflitto si inserisce nella corrente della privatizzazione dei problemi sociali e sostanziali, sia a sinistra che tra i comuni borghesi. Una critica del valore che si allontana dall'ultima decisiva rottura con la forma-soggetto moderno e con la sua autolegittimazione illuminata non può che ricadere nell'ontologia borghese. Mimando la serietà formale, il gesto conciliante della correttezza può forse contribuire a un piccolo momento di spacconeria all'interno del discorso precedente che parla di una sinistra incurante di qualsiasi chiarimento teorico, ma non fa avanzare la critica. Un discorso critico del valore rimasto impantanato nell'universalismo androcentrico, e che vorrebbe incorporare elementi di una critica dell'Illuminismo, può che trovare materiale solo nei pensatori del contro-illuminismo borghese, e quindi non può che sconfessare definitivamente sé stesso sul piano teorico.
L'iniziale contesto di elaborazione teorica intorno alla rivista Krisis non esiste più; chi continua a servirsi di questa etichetta mette in atto un inganno circa quella merce, dal momento che che la maggior parte della redazione e degli autori essenziali sono stati rimossi dal putsch messo in atto dai rappresentanti di una critica del valore volgarizzata e rimasta bloccata sul terreno dell'universalismo astratto, e che per farlo hanno fatto ricorso ai mezzi legali formali. Pertanto, Krisis è oramai, in maniera poco gloriosa, storia; e per quel che riguarda l'elaborazione teorica della critica del valore e della dissociazione, essa proseguirà sella rivista teorica Exit! [*3] I testi che vengono qui presentati, segnano una linea di rottura e il punto di inversione che porta a una critica emancipatrice dell'Illuminismo e della forma-soggetto maschile, bianco e occidentale (MBO). Una critica più puntuale e che va oltre.
Per le lettrici e i lettori che fanno parte di un pubblico più ampio - e per i quali questi testi non costituiscono i documenti di un conflitto interno all'elaborazione teorica della critica del valore -  possono servire come l'introduzione diretta a un discorso sovversivo che rifiuta le false alternative della modernità produttrice di merci. Non è mai esistito un progresso borghese che avrebbe potuto servire come base per l'emancipazione sociale dell'umanità. Alla fine della storia della modernizzazione, il necessario pathos della liberazione deve finalmente e coerentemente diventare anti-ontologico. Né Adorno né i teorici postmoderni sono riusciti ad attuare questa implicazione anti-ontologica. Per ottenere una tale prospettiva, è necessario, nel contesto della critica del soggetto e dell'Illuminismo, ripercorrere ancora una volta la storia della teoria moderna, ivi compreso il marxismo. Va da sé che un simile compito non può essere realizzato solo per mezzo di alcuni testi isolati. Si tratta qui di dare, sotto forma di tesi e saggi, un primo sguardo a come si pone tale compito, ed evidenziare l'intenzione polemica di questo compito di fronte alla vecchia nozione di critica che è stata quella della ragione borghese. Il fatto che questi testi siano nati nella mischia e nella nube di polvere dei conflitti del dopo 11 settembre che hanno attraversato tutti i settori sociali, sottolinea questo carattere. Ciò non toglie nulla alla domanda teorica, al contrario: un'elaborazione teorica critica è possibile solo attraverso i conflitti del tempo. Ai tre recenti saggi conflittuali sul tema della critica illuminista, abbiamo aggiunto il testo "Dominazione senza soggetto". Esso risale al 1993 ed era precedentemente apparso in un numero ormai fuori stampa della vecchia rivista Krisis. Il tema della critica del soggetto veniva già affrontato lì, ma in un senso più ristretto, focalizzato sull'uscita dalla storia teorica marxista, e ancora privo della maggior parte delle implicazioni della critica dell'Illuminismo. Questo testo, che ha comunque un suo valore, potrebbe aiutare il lettore a seguire un percorso intellettuale verso la rottura con l'ontologia moderna proprio perché esso stesso contiene ancora alcuni momenti di ontologizzazione (soprattutto per quanto riguarda la nozione di soggetto). È anche degno di nota il fatto che, in "Dominazione senza soggetto", il concetto hegeliano di Aufhebung, che verrà esplicitamente rifiutato nella critica successiva, lì appare ancora come evidente.

- Robert Kurz - Norimberga, luglio 2004 -

NOTE:

[*1] Si veda: Robert Kurz e Anselm Jappe, Les Habits neufs de l'Empire. Osservazioni su Negri, Hardt e Ruffin, Parigi, Lignes, 2003.

[*2] Roswitha Scholz, Das Geschlecht des Kapitalismus. Feministische Theorien und die postmoderne Metamorphose des Kapitals, Bonn, Bad Honnef: Horlemann Verlag, 2000. Solo l'introduzione e il capitolo 1 di questo lavoro, intitolato "Sur le problème de la culturalisation du social depuis les années 1980" e "Remarques sur les notions de ''valeur'' et de ''valeur-dissociation''", sono disponibili in traduzione francese, rispettivamente in Katia Genel, Jean-Baptiste Vuillerod e Lucie Wezel (eds.), Retour vers la nature ? Questions féministes (Lormont, Bord de l'eau, 2020), e nella raccolta di Roswitha Scholz, Le Sexe du capitalisme. La "mascolinità" e la "femminilità" come pilastri del patriarcato produttore di merci, Albi, Crise & Critique, 2019 (NdÉ).

[*3] A causa delle differenze teoriche e delle diverse strategie di influenza, e infine a causa di una scissione nel gruppo Krisis, che includeva molti collaboratori storici del movimento della critica del valore, Robert Kurz, Roswitha Scholz, Claus Peter Ortlieb, Udo Winkel e altri hanno fondato nel 2004 il gruppo e la rivista Exit! (ora numero 18). A partire dalla nuova presentazione del suo progetto teorico ("Con Marx, oltre Marx", 2004, che sarà pubblicato nella rivista Jaggernaut), Exit! accentuerà allora il lato "valore-dissociazione" della sua teoria, cioè la denuncia del patriarcato produttore di merci, dispiegherà un concetto di lavoro astratto diverso da quello di Moishe Postone, svilupperà divergenze sulla teoria e l'analisi della crisi in relazione al libro di Ernst Lohoff e Norbert Trenkle, La Grande dévalorisation (Fécamp, Post-éditions, 2014), ecc. (NdÉ).


fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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