giovedì 13 gennaio 2022

Dibattiti

Cos'è che viene chiamato Lockdown?
- Un dibattito sul modello cinese e quello europeo -
tra Sandrine Aumercier e Frank Grohman, da un lato, e il Gruppo di Critica Feticista di Karlsruhe, dall'altro

Dopo la pubblicazione di una versione tedesca (condensata e modificata) del libro "De virus illustribus"[in italiano, "Capitalismo in quarantena", Ombre Corte] col titolo "De virus illustribus un anno e mezzo dopo", oltre al testo dell'aprile 2020 "La Cina, è un esempio?", si è svolta una vivace discussione nella quale sono intervenute diverse persone del gruppo tedesco Exit!. D'accordo con le persone coinvolte, viene in parte proposto qui lo scambio di opinioni tra, da una parte, Sandrine Aumercier e Frank Grohman, e dall'altra Gruppo di Critica Feticista di Karlsruhe (GFK); una discussione centrata sulle diverse gestioni della crisi che abbiamo visto nel contesto della forma merce. Il dibattito è avvenuto nel periodo intercorso tra l'ultima settimana di dicembre 2021 e la prima settimana di gennaio 2022; e viene qui presentato in ordine cronologico.

1. La reazione del Gruppo di Critica Feticista di Karlsruhe.
Abbiamo letto e discusso l'articolo di Sandrine Aumercier e Frank Grohmann, pubblicato sulla homepage di EXIT!, e troviamo che dice molte cose interessanti, ma anche alcune cose preoccupanti e talvolta sconsiderate. Innanzitutto, ci sembra strano descrivere il primo lockdown come un qualcosa di «speciale, inaudito, storico» o arrivare perfino ad associarlo al sentimentalismo di «un primo momento di sbigottimento». Riteniamo inappropriate tali descrizioni, e non facciamo certamente parte di quei «molti» che, secondo gli autori, sarebbero d'accordo con esse.
Ma è la carenza di analisi a essere ancora più grave di questo sfogo sentimentale. Certo, «alcuni di noi sono stati liberati da ogni loro incarico», ma bisognerebbe essenzialmente riferirsi a quei settori di produzione che non sono mai stati fermati [*1], almeno per quella che ha riguardato l'area di influenza della «comunità democratica di bombardieri» occidentale (Robert Kurz). Si tratta del settore automobilistico e dei veicoli, del settore della costruzione di impianti e macchinari e di quello agroalimentare; tutti settori «orientati all'esportazione», come vengono chiamati nel gergo dell'economia politica, o più precisamente settori della concorrenza diretta sul mercato globale [*2].
In tal senso, gli ulteriori «episodi» che ci sono stati non sono gli unici a non meritare il nome di «lockdown». Contrariamente a quanto sostengono gli autori, ciò vale già per il primo episodio di marzo/aprile 2020. Mentre la concorrenza cinese attuava efficacemente misure di quarantena nelle province colpite dalla malattia infettiva, vale a dire, sospendeva tutti i settori della società, compresa la produzione, e provocava così l'eliminazione del virus, la «comunità democratica dei bombardieri» occidentale (Robert Kurz, che noi stimiamo molto, se non altro per questa magnifica formulazione) si aspettava di ottenere un vantaggio nella competizione sul mercato globale. Andrebbe rivisto anche il nostro precedente giudizio secondo cui la strategia cinese non solo salva migliaia di vite umane, ma è anche quella che si dimostra globalmente più vantaggiosa per quanto riguarda la razionalità interna della ricchezza astratta, se si considera che lo sforzo della Cina, negli ultimi due anni, per eliminare costantemente il virus continua a mobilitare risorse considerevoli, e grandi parti del «Progetto Via della Seta» cinese sono state sospese. La strategia del capitale occidentale (che nel frattempo ha ucciso milioni di persone) si è comunque rivelata fin dall'inizio - a partire dalle dichiarazioni rese dalle maschere caratteriali dello spettro politico, e dei loro cantanti di corte opinionisti - come una strategia di «contenimento del virus», di «appiattimento della curva», volta a non sovraccaricare il già disorganizzato sistema sanitario già provato da massicci tagli dei costi e dalle privatizzazioni. La possibilità un'eliminazione del virus - la quale non è solo teoricamente comprensibile, ma è stata effettivamente provata - non è stata nemmeno menzionata, solo per essere alla fine liquidata come «totalmente irrealistica» (come tra gli altri ha detto il ministro della salute tedesco Jens Spahn).
Siamo però pienamente d'accordo con gli autori sul fatto che «l'immagine trionfante del mercato e della democrazia si è incrinata». Ma se, secondo gli autori, gli episodi successivi [di «lockdown light»] non meritano nemmeno il nome di "lockdown", come si fa ad arrivare a supporre, nel contesto della pandemia, uno «stato di eccezione permanente»? Un simile stato può anche diventare una realtà sanguinosa nella decomposizione inesorabile e irreversibile dei rapporti di capitale, ma non c'è ragione di pensare che questo stato di eccezione, e la legge marziale che lo accompagna sarebbero legittimati in altro modo che non sia quello dell'affermazione della «legge e dell'ordine». Non è che finora questa strategia non abbia funzionato. In tal senso, le tesi dei piccolo-borghesi feticisti della democrazia, secondo i quali le misure pandemiche servono a imporre questo «stato di eccezione permanente», non vanno lasciate senza risposta.
Contrariamente a quanto sostengono Aumercier e Grohmann [*3], non esiste alcuna certezza che il modo di produzione capitalista non possa sopportare un'interruzione così lunga quanto quella che sarebbe necessaria a causa della pandemia. La «contraddizione in processo» (Marx sui rapporti di capitale) alla fine collasserà a causa delle sue autocontraddizioni immanenti. Tuttavia, associare un «altro modo di produzione» che potrebbe, «nel giro di un anno [come hanno fatto gli autori a stabilire questa lunghezza di tempo?], senza preoccupazioni, farci smettere completamente di produrre, di viaggiare e fabbricare lavatrici, automobili, gadget e partite di calcio», pur continuando a esserci «ricchi» e «poveri» suona come una barzelletta che non fa ridere. Inoltre, non bisogna sopravvalutare la dipendenza dei «poveri» dalla miseria. Se si è immersi nell'acqua fino alle caviglie, un aumento del livello dell'acqua di, diciamo, 20 cm non è un problema, ma se arriva al collo, un simile aumento è incompatibile con la vita.
Infatti, se la situazione è davvero «da pazzi», allora tutto rientra nella natura delle relazioni folli, accecate dal feticismo. Ecco che si arriva così alla mostruosa discussione sulla vaccinazione obbligatoria, fatta con dei prodotti i cui effetti collaterali sono ancora in gran parte sconosciuti, ma a proposito dei quali le maschere di carattere politico hanno promesso meraviglie parlando della loro efficacia, soprattutto pe quanto concerne l'immunità collettiva che avrebbero ottenuto. Si tratta chiaramente di una campagna di disinformazione volta a stabilire un nesso causale tra la persistenza e l'ulteriore diffusione esponenziale dell'infezione, da una parte, e il tasso di mancata vaccinazione, dall'altra,  dato che anche paesi con dei tassi di vaccinazione dell'85-90%, come il Portogallo o la Spagna, mostrano degli aumenti di incidenza e di mortalità simili a quelli della RFT. La lista delle carenze a livello sanitario è lunga, come l'autorizzazione di metodi di test manifestamente insufficienti o l'ignoranza riguardo la standardizzazione di una determinazione uniforme degli anticorpi e, di conseguenza, della definizione adeguata di un indice anticorpale.
Se la constatazione degli autori secondo cui non abbiamo una «risposta e una spiegazione migliore» [*4] è più di una civetteria retorica, vale a dire è seria, allora sarebbe solo una pietosa ammissione di fallimento. Noi, che rappresentiamo la posizione della critica categorica dei rapporti capitalistici, abbiamo una risposta e una spiegazione migliore alla pandemia, e sebbene consideriamo la sfera della politica come una delle sfere della socializzazione feticistica del capitale e della sua divisione in «interessi» - e quindi da abolire - gli esempi della Cina e della Nuova Zelanda dimostrano che la ragione materiale è assolutamente possibile ai fini del superamento della pandemia, anche all'interno della forma merce. Non è pertanto del tutto chiaro se «La fede feticistica nella sostenibilità di questo sistema sia più tenace della sopravvivenza di coloro che esso pretende di servire». Perché un simile fatalismo? Qualsiasi mostruosità può essere eliminata, ivi compreso il feticismo del capitale, tanto più che si trova ormai da tempo in una situazione di agonia che corrisponde a un processo di disintegrazione agonale. Il futuro è aperto.

2. La risposta di Aumercier e Grohmann
La nostra risposta qui consisterà di tre riflessioni.
Lo «sbigottimento» [*5] di cui noi parliamo in relazione al primo lockdown è un tentativo di voler dare un nome a qualcosa che in realtà non era mai accaduto nella storia. Quando è stato che la metà del mondo capitalistico è stata rinchiusa, messa volontariamente agli arresti - anche se non proprio in maniera consenziente - dai suoi guardiani? Mai. Sosteniamo anche che probabilmente ciò non accadrà mai più. Ma l'osservazione dei nostri interlocutori secondo la quale anche questo primo fermo è stato solo parziale è del tutto corretta. Noi abbiamo pensato soprattutto alle misure di blocco del lavoro (con un indennizzo a partire da un sussidio di disoccupazione parziale). È ovvio che anche questo shutdown è stato solo parziale. Non di meno si è trattato di un fatto nuovo. Noi lo attribuiamo all'irruzione da parte di una situazione che ha causato gravi preoccupazioni politiche, e che dice molto sulle relazioni che la Cina ha con il mondo occidentale: quando i governi occidentali hanno constatato che la Cina aveva inizialmente negato il comparire della Sars-Cov-2, ma si sono anche resi conto che la situazione stava loro chiaramente sfuggendo di mano, hanno dovuto fare ricorso a un blocco generale; fino a nuovo ordine. Non riusciamo a immaginare come una misura così enorme (dal punto di vista dell'economia capitalista) possa essere spiegata, se non a partire dalla sorpresa e dalla legittima diffidenza verso la Cina. Da questo punto di vista, le analisi che insistono sul fatto che esistono degli scenari pandemici di lunga data che non sono stati presi abbastanza sul serio,  sembrano retroproiettare gli effetti della pandemia reale su dei modelli teorici che, per definizione, non sono mai stati preparati per un evento reale. Dopo che il fatto è avvenuto, si è sempre più intelligenti! È assurdo attribuire alla sfera politica un simile margine di intervento, quasi onnipotente (vale a dire, essa potrebbe non solo prevedere, ma anche risolvere degli eventi che non hanno ancora avuto luogo), semplicemente perché sta effettivamente modellizzando in modo permanente i rischi crescenti ai quali siamo esposti a causa della corsa a capofitto del modo di produzione capitalista.
La nostra seconda osservazione riguarda poi lo strano sguardo rivolto al modello cinese, che gli autori del gruppo di Karlsruhe ritengono addirittura che abbia debellato la pandemia! Finora, nessun paese può affermare di aver debellato la pandemia, perché la pandemia è globale - ed è per questo che riappare sempre, nelle sue successive "varianti" e "ondate". In questo senso, la pandemia risulta essere l'esatto riflesso delle condizioni di produzione del capitalismo globalizzato, che, alla stregua del coronavirus, non può scomparire regione per regione, ma che potrebbe essere abolito solo da un movimento transnazionale, per così dire, e in un colpo solo (cfr. Robert Kurz, «Appropriazione universale di una totalità di forze produttive», in "Lire Marx") [*6]. Possiamo vedere qui la differenza con altre epidemie, che sono state altrettanto "preoccupanti" - una differenza che è probabilmente dovuta sia alle caratteristiche particolari del virus Sars-Cov-2 (soprattutto: contagiosità, letalità, modalità di trasmissione, periodo di incubazione, ecc) che ai fattori ambientali, politici e geopolitici di propagazione. Questo virus ha, per sua stessa natura (contingente), tutto per poter essere una risposta «su misura» al capitalismo del XXI secolo; e non perché esso sarebbe stato fabbricato in tal senso, come alcuni vorrebbero credere, ma piuttosto nel senso in cui Jacques Lacan dice che «ciò che viene respinto nell'ordine simbolico, fa ritorno nel reale» (Seminario "Le psicosi") [*7].
La Cina, non solo ha ostacolato le indagini sull'origine della Sars-Cov-2, ma, fin dall'inizio della pandemia, ha anche fatto sparire coloro che erano a conoscenza del rischio, e ha proibito qualsiasi comunicazione sull'argomento. Non appena non gli è stato più possibile nascondere la realtà, ha applicato metodi aggressivi di confinamento e di tracciamento dei contatti che si sono potuti anche rivelare (temporaneamente) efficaci, ma che si basano sull'uso di strumenti digitali totalitari già implementati in precedenza, i quali, in Europa non hanno (ancora) la medesima accettazione sociale. Il sistema capitalista ormai dispone dei mezzi tecnologici per cercare di interrompere (temporaneamente) sempre più aggressivamente le catene di trasmissione virale (e la Francia non è rimasta indietro, così abbiamo visto, per esempio, i droni che controllano coloro che violano il lockdown). Ma queste capacità tecnologiche non costituiscono una prova del successo - da un lato, perché il virus, riapparendo, ha sistematicamente contrastato tali risposte, e in parte perché, in Cina, per alcune settimane, un lockdown completo è stato fatto solo per poi riprendere la produzione il più rapidamente possibile, e dimostrare così arrogantemente la propria superiorità sulla scena internazionale. Non c'è alcun motivo di opporre la strategia cinese a quella europea; entrambe sono ugualmente dipendenti dal mercato globale ed entrambe sono impegnate in una gara tecnologica per il vertice; cosa che è una chiara indicazione del fatto che il sistema globale nel suo insieme è sempre più fuori controllo.
Il nostro terzo argomento intende giustificare la frase secondo cui non abbiamo una «risposta migliore» di coloro che devono affrontare le esigenze contrastanti della pandemia, da un lato, e dell'economia dall'altro. Senza dubbio abbiamo un'analisi diversa dalla loro, altrimenti non ci preoccuperemmo di parlare di questo argomento. Ma pensiamo tuttavia che il loro «margine di manovra» sia assai più piccolo di quello che alcuni sono inclini ad attribuire loro. È assolutamente infantile attribuire alla classe dirigente, non solo il potere di anticipare tutto, ma perfino anche il potere di risolvere tutto nelle condizioni esistenti. Se non abbiamo una «risposta migliore», ciò è perché sappiamo che esiste un enorme divario tra la «critica categoriale» e la pratica trasformativa. Riconoscere l'impasse di questa civiltà non fornisce affatto la chiave per la sua effettiva trasformazione. «Il futuro è aperto», scrivono i nostri interlocutori, sì, teoricamente per così dire, ma lo è anche la coscienza? Robert Kurz ha teorizzato instancabilmente questa fondamentale difficoltà. Non ha mai smesso di ripetere che il ruolo della critica è quello di teorizzare le relazioni esistenti, e mostrare la necessità della loro negazione. Ma tutto ciò non può essere trasformato in uno slogan «buono per tutte le occasioni» e neppure in «Facciamolo!». In questo senso, non sappiamo meglio di altri dov'è che deve iniziare in pratica la necessaria trasformazione sociale.

3. Prosegue la discussione, il Gruppo della Critica Feticista di Karlsruhe.
Contribuiamo volentieri al dibattito sulla «Cina», e proponiamo di assicurarci innanzitutto di partire dai medesimi fatti. La seguente sequenza di eventi è quella che abbiamo analizzato. Se avete informazioni diverse, correggetele, indicando ovviamente la fonte corrispondente.
A partire dal 17 novembre 2019, ogni giorno nella provincia cinese di Wuhan, sono stati segnalati da uno a cinque casi di una nuova malattia polmonare, per i quali fino a oggi non si è potuto diagnosticare alcun agente patogeno rilevabile. Il 15 dicembre, il numero totale di infezioni era di 27. Al 20 dicembre erano stati confermati 60 casi. Il 27 dicembre, Zhang Jixian, un medico dell'ospedale della vicina provincia di Hubei, ha informato le autorità sanitarie locali che la malattia era stata causata da un nuovo coronavirus. A quel punto, più di 180 persone erano state infettate. Il 28 e 29 dicembre, altri tre pazienti si sono presentati alla clinica del medico. L'ospedale ha informato le commissioni sanitarie provinciali e municipali di Hubei. Il 29 dicembre, le commissioni sanitarie hanno chiesto a Wuhan e a Jianghan, così come all'ospedale Jinyintan, di condurre indagini epidemiologiche su sette pazienti. Sei di loro sono stati trasferiti a Jinyintan, in una struttura specializzata in malattie infettive. Un paziente ha rifiutato di essere trasferito. La sera del 30 dicembre, la Commissione Municipale della Sanità di Wuhan ha pubblicato su Internet degli avvisi in cui chiedeva a tutti gli ospedali di Wuhan di segnalare qualsiasi paziente con una polmonite di causa sconosciuta che avesse visitato il mercato del pesce di Wuhan. La Commissione sanitaria di Wuhan ha detto in un'intervista che l'indagine non era completa, e che per supportare l'indagine stavano arrivando gli esperti della Commissione sanitaria nazionale. Le autorità sanitarie locali, il 27 dicembre sono state informate della scoperta di un agente patogeno simile alla SARS. In seguito all'esperienza della precedente pandemia di SARS, la Cina aveva istituito un sistema di allarme rapido al fine di garantire che le informazioni sulle epidemie fossero immediatamente trasmesse a Pechino, al Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, indipendentemente dalle considerazioni politiche. Nel caso del nuovo virus corona, questo non è stato fatto immediatamente. Il 30 dicembre, in un gruppo WeChat con i colleghi, il medico Li Wenliang ha avvertito di un virus che al momento pensava essere la causa della sindrome respiratoria acuta grave (SARS), e questo a causa di un insolito accumulo di polmoniti nell'ospedale locale di Wuhan. Dopo che l'avvertimento di Li e dei suoi colleghi si è diffuso su Internet, lui e altri colleghi sono stati convocati dalla polizia locale. Sono stati accusati di «false dichiarazioni». Il 1° gennaio 2020, l'agenzia di stampa statale Xinhua ha riportato le presunte «false informazioni» dei medici, e ha ribadito che non c'era alcun segno di trasmissione inter-umano della nuova malattia. Li Wenliang, che era stato esposto a una notevole carica virale in quanto medico curante, è morto a causa della nuova malattia della SARS il 7 febbraio 2020 all'età di 33 anni.  Di propria iniziativa, i medici avevano continuato a inviare campioni dei pazienti ai laboratori di analisi, bypassando i canali ufficiali, per indagare da soli la causa della malattia. Sono stati riabilitati alla fine di gennaio dalla Corte Suprema del Popolo della Repubblica Popolare.
Secondo gli opinionisti occidentali, inizialmente le autorità cinesi hanno negato l'apparizione della malattia, permettendone così la sua rapida diffusione. Pertanto, nel testo di aprile 2020, "La Cina, un esempio?", si affermava: «Ricordiamo innanzitutto che la Cina ha iniziato col negare la comparsa del virus...» Questa critica alla politica di informazione della Cina del dicembre 2019, quando sono apparsi i primi casi di malattia, è giustificata. Ma di fronte a un numero iniziale di poche centinaia di casi di pazienti, fino alla fine di dicembre 2020, la dichiarazione di una situazione epidemica con tutte le conseguenze che ciò implica appare quanto meno problematica. Una società liberata dall'illusione della ricchezza astratta potrebbe in effetti agire con maggior cautela, ma la Cina, come tutti sanno, fa parte del sistema globale di produzione di merci della concorrenza. La risposta alla domanda circa quanti casi e quali dinamiche di sviluppo minaccino la popolazione con un'escalation epidemica - e quali misure radicali dovrebbero essere prese di conseguenza - è senza dubbio soggetta a delle influenze soggettive, e quindi alla possibilità di errore. Ogni volta che appaiono (nuovi) fenomeni patologici che indicano un'infezione, esiste un potenziale rischio di diffusione epidemica. Tuttavia, è solo a partire da un dato momento che la modalità di diffusione di una malattia, ad esempio per via aerea antropogenica, diviene identificabile e si può sospettare una possibile minaccia epizootica o pandemica. In che modo hanno proceduto le autorità cinesi? Dopo l'identificazione del nuovo ceppo del virus, il 7 gennaio 2020, l'OMS e tutti i suoi Stati membri ne sono stati immediatamente informati. Sulla base di questi dati, i virologi del Charité di Berlino, guidati da Christian Drosten, hanno sviluppato un test PCR, la cui specificità e sensibilità sono state oggetto di molte discussioni. Da quel momento in poi, e al più tardi con le misure drastiche prese in Cina il 23 gennaio (l'interdizione più ampia possibile delle attività di viaggio poco prima del Capodanno cinese, la quarantena mirata delle province colpite; soprattutto la provincia di Wuhan), non si può più parlare di minimizzazione da parte della Cina. Ancora una volta, nelle parole del testo "Cina, un esempio?" il governo cinese, che nel frattempo aveva ufficialmente ammesso l'esistenza del virus, alla fine di gennaio ha bruscamente preso delle misure di lockdown massicce, le quali sembravano essere in completa contraddizione con il discorso ufficiale. Che senso ha la scelta suggestiva delle parole «ufficialmente ammesso»? C'era qualcosa da nascondere, come ad esempio un guasto nel laboratorio di virologia di alta sicurezza BSL-4 a Wuhan? Questo non può essere escluso, ma è improbabile [*8].
Le misure che, secondo questa interpretazione, sono state prese «improvvisamente» alla fine di gennaio, erano già prima sotto gli occhi di tutti, non solo nel «discorso ufficiale» ma si potevano vedere anche nella costruzione di un ospedale di emergenza a Wuhan. Sono state il risultato dell'aumento esponenziale del numero di malattie, e soprattutto di morti. Per fermare un'epidemia imminente, è ovviamente necessario «isolare drasticamente le persone infette, rintracciare i loro contatti e confinare solo coloro che sono potenzialmente o effettivamente contagiati». Le misure di monitoraggio e sorveglianza digitale vengono così descritte: «Per isolare i casi positivi e i potenziali malati (e rimandare gli altri al lavoro il prima possibile), è infatti necessario essere in grado non solo di identificarli, ma anche di tracciarli»; queste misure non sono la conseguenza di una quarantena completa, di misure che sono state prese quindi nelle prime settimane, bensì da misure prese dopo, come possibilità di reagire in tempo reale a una nuova introduzione di un virus antropico. L'osservazione circa il "diktat" di un rapido ritorno al lavoro sembra piuttosto divertente. Ciò che la Cina ha effettivamente messo in atto per proteggersi dal contagio, cioè la sospensione (temporanea) della produzione, non è stata nemmeno presa in considerazione dalle maschere di carattere responsabili del «glorioso Occidente». Naturalmente, l'utilizzo del tracciamento digitale ai fini del controllo delle infezioni non prova «che questi nuovi sistemi verranno abbandonati una volta che l'epidemia sarà finita». Tenuto conto del sistema di credito sociale già adottato in precedenza, nel 2014, in Cina, non ce lo possiamo certo aspettare. In effetti, tali sistemi di controllo esistono a vari livelli anche nell'«Occidente democratico», come le verifiche normative sulla solidità politica e finanziaria (quale la Schufa in Germania), ecc. Facendo questa osservazione, non intendiamo relativizzare il controllo sociale (che disapproviamo anche in Cina). Ma piuttosto il fatto che il governo cinese ne postuli la necessità (vera o presunta) si riferisce in realtà all'instabilità dei rapporti sociali in Cina; un'instabilità la cui base poggia sui processi di trasformazione sociale che distruggono il capitalismo dello Stato in favore della creazione di particolari zone di concorrenza aperta orientata all'esportazione, il tutto in una relazione di capitale globalmente in decomposizione. Tuttavia, è interessante notare nel testo "La Cina, un esempio?" il piccolo accenno secondo cui «è previsto che le aziende stesse siano soggette al controllo sociale». Una piccola ma significativa differenza rispetto a ciò che accade in Occidente.
Veniamo ora a Li Wenliang. Riferendosi al suo caso, si afferma che «i giornalisti Chen Qiushi e Fang Bin, che avevano denunciato la gestione della crisi e sono scomparsi». Il medico Li Wenliang è morto il 7 febbraio all'inizio dell'epidemia (come molti altri operatori sanitari) a causa del Covid-19. Alla fine di gennaio, le autorità avevano presentato a Li le loro pubbliche scure, e lo avevano riabilitato insieme ai suoi colleghi [*9]. La sua morte, così come quella di numerosi altri, è stata particolarmente tragica nella misura in cui ci sono ancora alcuni di noi che pensano ancora di poter classificare il  Covid-19 come se fosse una semplice influenza [*10]. Per quanto riguarda Chen Qiushi, era arrivato a Wuhan il 23.1.2020 per rendersi conto delle condizioni lì esistenti. Era stato arrestato il 7 febbraio ed era stato messo in quarantena, a partire dal fatto che si trovava effettivamente nella zona di quarantena designata. In seguito è stato poi accusato di disinformazione e non è stato rilasciato fino a settembre del 2021. Fang Bin si trova ancora detenuto. Se questa azione delle autorità cinesi dev'essere fortemente criticata, a partire dal fatto che il termine "scomparsa", che tende a suggerire l'uccisione di individui, è discutibile
La reazione della Cina alle continue denunce di Trump («virus cinese»), che si è ad esempio riferita all'utilizzo di un'arma B «di basso livello», vista nel quadro di un'operazione di intelligence degli Stati Uniti, è parte di quella contro-strategia psicologica nel contesto di una «guerra fredda di propaganda», da tempo dichiarata dall'Occidente contro la crescente influenza globale della Cina (e della Russia) [*11]. Inoltre, tali utilizzi di armi B e C sono documentati, per esempio contro Cuba. Noi consideriamo le fonti cubane come credibili. Leggiamo inoltre nelle varie dichiarazioni degli autori:

1.  «Tutt'a un tratto, la Cina comincia a emergere come il campione universale della crisi del coronavirus ancor prima che l'epidemia venisse contenuta sul suo steso territorio.» (in "Cina, un esempio?") [*12]. Ciò significa che l'eliminazione del virus (e non il suo controllo, tra l'altro), purtroppo sempre temporaneo, viene riconosciuto come se fosse un fatto?

2. «Descrivere la politica cinese come un successo, ci sembra che faccia ancora una volta parte della strategia occidentale di rivendicare e giustificare questo tipo di gestione totalitaria delle crisi.» La «strategia occidentale» non è consistita nel «descrivere la politica cinese come un successo», ma piuttosto, al contrario, è stata quella di cominciare a «mettere in discussione le cifre cinesi», cosa che si ha naturalmente ben il diritto di fare (perché è così, a proposito? oh certo ovvio, sono dopo tutto dati statistici cinesi). «Meno morti» vorrebbe dire «soprattutto, se è così, un successo della propaganda cinese». Ciò che qui viene semplicemente respinto in quanto propaganda di «meno morti» e che nel frattempo non è stato più messo in discussione nemmeno dai media statali occidentali, sono 5.697 morti al 13.12.2021, e che rapportati alla popolazione della Germania corrisponderebbero a circa 400 morti. Se consideriamo le statistiche della Nuova Zelanda, che al 27.12.2021 parlano  di 51 (!) morti segnalate di Covid-19, ecco che otteniamo anche un ordine di grandezza non calcolato di qualche centinaia di morti (circa 600). Cosa possiamo concludere a partire da questo? O che le «cifre cinesi e neozelandesi» mentono allo stesso modo, oppure che entrambe riflettono la realtà. È interessante notare come le cifre neozelandesi non siano mai state messe in discussione, né dalle autorità occidentali e né da Aumercier e Grohmann.

3. Gli stessi continuano a scrivere: «Ora,  questo non è un "successo", ma piuttosto una guerra (principalmente contro la loro stessa propria popolazione) e una dimostrazione di forza sulla scena internazionale.» Noi, che abbiamo l'abitudine di associare la "guerra" alle morti in massa, piuttosto che al salvataggio in massa di vite, non possiamo e non vogliamo seguire questa retorica della "guerra" presentata con tutta questa verve emozionale.

4. L'assistenza fornita ad altri paesi da delle équipe non solo cinesi, ma anche russe e cubane, e che il testo "Cina, un esempio?", in maniera singolare tenta nuovamente di denunciare come una «dimostrazione di forza sulla scena internazionale»: «A partire dal mese di marzo, delle équipe mediche cinesi stavano già fornendo supporto in Italia, Iran, Iraq e Serbia, per non parlare dell'invio di attrezzature a molti paesi (tra cui un milione di maschere protettive alla Francia), e Xin Jinping stava facendo ampie promesse a Vladimir Putin e Angela Merkel di fornire il supporto e la competenza del suo paese. Questi gesti enfatici di solidarietà - in un contesto di accentuato sciovinismo statale - annunciano l'accettazione passiva di un modo totalitario di governo che pretende di essere l'unico in grado di tirare il mondo fuori dai guai». Considerato il mortale egoismo della «comunità degli Stati» europei all'epoca, non sarebbe più opportuno riconoscere l'aiuto di Cina, Russia e Cuba, o almeno tacere vergognosamente?

Ancora qualche altra osservazione sugli Uiguri, su Hong Kong e sulla politica estera (storica) della Cina. Uiguri: il conflitto cova con diversi gradi di intensità, dal 1949. Dagli anni 2000 in poi, ci sono stati numerosi attentati dinamitardi da parte di gruppi separatisti e islamisti uiguri (e non solo) nella regione autonoma dello Xinjiang Uyghur. Per contrastare la crescente influenza delle organizzazioni islamiste, le autorità cinesi ricorrono a delle "rieducazioni" che durano settimane o addirittura mesi. Dal momento che qualcuno ha menzionato anche Boko Haram, la questione fondamentale è come affrontare il problema dell'emergere di ideologie religiose pericolose per la società. Su un piano teorico critico, è decisivo decifrare la loro origine nella decomposizione della coerenza capitalista e comprenderle - a differenza dell'ideologia antidemocratica - come un prodotto originale della decomposizione della modernità capitalista, e non come un ritorno, o come una reliquia persistente della pre-modernità. Ma ciò comunque non ci esime dal rispondere alla domanda su come limitare un tale sviluppo omicida. D'altra parte, alcuni articoli sull'argomento mostrano una sconfinata euforia riguardo il «movimento democratico di Hong Kong». Questo ci sembra fuori luogo. Qualunque cosa si pensi della rivista Konkret, vale la pena menzionare le diverse visioni di questo "movimento" che vengono mostrate nella serie di articoli del numero 1/2020, e che, sotto il titolo "Trump, liberaci, la Pegida di Hong Kong", discute, tra l'altro, di pogrom razzisti commessi, da una parte di questo "movimento", contro i lavoratori migranti cinesi. Manca ancora, per relativizzare l'affermazione secondo cui noi staremmo «lodando il terrore di stato cinese» [*13], ma anche per prendere una posizione storica fondamentale, solo una piccola digressione storica. In Angola negli anni '60 e '70, la Cina ha sostenuto l'Unita, guidata da un certo Jonas Savimbi, che ha agito contro il MPLA, risultato alla fine vittorioso nella guerra contro il dominio coloniale portoghese. Secondo i documenti portoghesi dell'epoca, oggi disponibili al pubblico, l'Unita stipulò un accordo di collaborazione con il potere coloniale portoghese già nel 1970, nel pieno della guerra anticoloniale, contro il regime fascista di Salazar. Inizialmente, come già detto, aveva ricevuto l'aiuto della Repubblica Popolare Cinese, ma dopo il 1974 è stata sempre più recuperata, o si è fatta recuperare dalla Repubblica del Sudafrica (sotto il governo dell'apartheid dell'epoca), dagli ambienti conservatori di destra americani e dalla CIA, ma anche da agenti della Germania occidentale e dal Regno del Marocco, per scopi geo-strategici e regionali. Tra gli attori della Germania occidentale c'è stato Franz-Josef Strauß, il "maiale bavarese" ben noto ai più anziani di noi, che non solo forniva regolarmente armi allo stato fascista sudafricano dell'apartheid, la cui camarilla militare annetteva la Namibia e terrorizzava l'Angola meridionale con la cosiddetta Unita, ma che corteggiava letteralmente il suddetto Jonas Savimbi. Il ruolo avuto dalla Cina nel conflitto cambogiano, quando ha sostenuto i Khmer rossi di Pol Pot, i quali collaboravano con un certo Sihanouk, una pedina dell'imperialismo statunitense, non è ancora stato rivelato. Dopo che l'esercito vietnamita mise fine all'odioso regime di Pol Pot nel 1978, l'esercito cinese invase il Vietnam del Nord, ma venne fermato dalle forze vietnamite, che in seguito dichiararono una «azione punitiva limitata». In altre parole, noi non abbiamo molta simpatia per la Cina, ma un'analisi degli attuali processi geopolitici che non sia guidata dal risentimento deve concettualizzare la reale minaccia rappresentata dalla NATO nei confronti della Russia [*14] in particolare, ma anche della Cina.
Per concludere, torniamo al tema principale, cioè la pandemia, e riassumiamolo in una frase: riconosciamo i meriti materiali delle misure salvavita della Cina a questo proposito, né più né meno. 
Domanda finale: quale è lo Stato che conta di più a) in valore assoluto e ha il più grande numero di prigionieri b) in valore relativo? E quale Stato ha iniziato e condotto guerre ininterrottamente dal 1950? (Suggerimento: è la potenza leader della comunità democratica dei bombardieri).

4. Ultima risposta di Aumercier e Grohmann.
Entriamo volentieri in una discussione più dettagliata riguardo il caso cinese. Questa discussione è caratterizzata, in entrambe le parti, da una grande incertezza sui fatti in questione, come si è già detto. L'onere della prova può quindi essere nuovamente rinviato al servizio dei rispettivi pregiudizi e ideologie di entrambe le parti. Ovviamente, è questo quello che accade a livello internazionale. È a proposito di questo, che dobbiamo stare attenti tra di noi, e questa discussione dovrebbe servire a sfumare o chiarire le posizioni - almeno, si spera.
La vostra interpretazione riguardo l'inizio della pandemia in Cina, chiaramente sminuisce il fatto che il governo cinese abbia perseguitato, e persino fatto sparire delle persone, e abbia severamente censurato la diffusione di nuove informazioni. Questo fatto non può essere affrontato solo sulla base della questione di sapere «a partire da quanti casi e quali dinamiche di sviluppo» è il momento di intervenire. È quantomeno strano, a dir poco, rimandare tutto quanto a delle mere «valutazioni soggettive» e «possibilità di errore». Confondere quelli che sono stati degli interventi statali autoritari con delle «possibilità di errore» dimostra solo la vostra cecità. Attenzione: non stiamo dicendo che questo margine di errore non esista, neppure in Cina; stiamo dicendo che trattare queste incertezze di giudizio per mezzo della censura di Stato e il sequestro dei cittadini, non attiene più al regno dell'«errore». Nel momento in cui l'informazione viene fatta circolare, essa può anche essere negata, minimizzata, o la risposta può tardare (come è accaduto in altri paesi al momento dello scoppio della pandemia). Per esempio, l'allora ministro della sanità francese, Agnès Buzyn, nel settembre 2021, è stata incriminata per «aver messo in pericolo la vita altrui», avendo reagito in maniera troppo rassicurante e lassista ai primi segni della pandemia nel gennaio 2020. La Cina non ha esercitato questo tipo di negazione, ma lo ha fatto in quanto dittatura!
Per quel che riguarda la contestazione della parola «scomparsa», ci riferiamo a vari articoli della primavera del 2020: nessuno sapeva dove fossero quelle persone [*15] o se erano costrette alla "quarantena". Più di due persone sono "scomparse" in questo modo. Se alcuni di loro sono stati in seguito "riabilitati", come voi sottolineate due volte (che grande cosa il Partito comunista cinese e che meschinità da parte nostra averlo omesso!), ciò è avvenuto perché erano stati screditati pubblicamente, e fino a quel momento erano scomparsi dalla vita pubblica: sono stati messi in condizione di no "nuocere" fisicamente e socialmente alla propaganda di Stato. La vostra risposta è che Chen Qiushi è stato rilasciato nel settembre 2021 (un anno e mezzo dopo) e «Fang Bin è ancora detenuto» (dopo due anni): come dovremmo chiamare tutto questo? Cosa direste se si trattasse di un membro della vostra famiglia (perdonate il sentimentalismo fuori luogo)? Le detenzioni arbitrarie non sono mai cessate, e qualsiasi diffusione di informazioni che sfugge allo Stato viene ancora oggi duramente repressa. Nel 2020, Reporter sans Frontières ha dichiarato che la Cina è il paese con il più alto numero di giornalisti in prigione nel mondo [*16]. Cosa giustifica questo triste primato?   
Mentre il governo cinese, a partire dal 23 gennaio, cominciava a puntare tutto sul tentativo di fermare la pandemia, come voi scrivete, ecco cosa potrebbe ancora accadere: «In un discorso pronunciato il 3 febbraio 2020 - e pubblicato dodici giorni dopo dall'agenzia di stampa cinese - Xi Jinping ha annunciato che "il popolo sta conducendo una guerra" che si deve basare sulla "stabilità sociale". Il presidente cinese ha promesso di "reprimere tutti coloro che approfittano dell'epidemia per diffondere dicerie".» (La retorica della guerra contro il virus, l'abbiamo sentita altrove poco tempo dopo). Il discorso duplice consiste in questo: una reazione forte a livello dei servizi sanitari, e allo stesso tempo una reazione altrettanto massiccia di repressione di qualsiasi libero discorso libero su questo tema. Questo doppio discorso continua tuttora e le "riabilitazioni" non cambiano niente.
Riguardo la valutazione degli interventi dello Stato cinese in campo sanitario, riconosciamo che le testimonianze disponibili sono molto diverse e sembrano anche essere colorate dalle posizioni ideologiche dei testimoni in questione (proprio come accade per noi). Ad esempio, il collettivo comunista Chuang afferma che il «successo» sia dovuto all'auto-organizzazione comunitaria e popolare piuttosto che all'intervento statale, il quale è molto più caotico di quanto l'Occidente immagini. I "comitati dei residenti" formati ai tempi di Mao avrebbero giocato un ruolo importante. Lo Stato cinese non ha i mezzi per controllare questo immenso paese, se non delegando enormemente a livello locale. Quegli stessi autori rimproverano all'Occidente di diffondere la visione di uno Stato cinese totalitario che non corrisponderebbe alla realtà [*17]. Le loro priorità ideologiche sono ovviamente altre, visto che si concentrano sui sindacati e sulle lotte di classe. Gli attivisti dei diritti umani, naturalmente, suonano un'altra musica. Ognuno alla sua griglia ideologica. Non siamo lì per verificare di quale si tratta. Che il sistema di credito sociale non sia stato implementato in tutto il paese, ma è stato solo testato. è un fatto. Ed è anche un fatto che continui a esserci molta strada da fare prima che questo sistema arrivi a essere completamente centralizzato, e funzioni come previsto. Ma ciò non toglie niente alle prospettive a lungo termine di questo progetto, e allo sviluppo di una sorveglianza digitale senza alcuna restrizione. Ecco una descrizione eloquente (che, tra l'altro, non contraddice affatto quella fornita dal Collettivo Chuang): «Per esempio, nella città di Yichang nella provincia di Hubei, ogni manager è dotato di un apposito smartphone che viene utilizzato per raccogliere informazioni provenienti dai volontari e dai leader della comunità. I volontari, solitamente chiamati "informatori", vengono reclutati nella comunità, della quale rappresentano circa il 10% della popolazione. Inoltre, in molte città, la comunità ha creato una propria piattaforma di gestione delle informazioni online, che riunisce tutte le informazioni relative alla popolazione, agli alloggi, alla sicurezza sociale, alla pianificazione familiare e allo sviluppo economico. Queste informazioni possono essere condivise tra gli operatori della comunità ai fini di un'azione rapida; i residenti possono utilizzare la piattaforma anche per alcuni servizi. Questa combinazione di digitalizzazione e informatizzazione costituisce il cuore di ciò che viene ufficialmente chiamata "smart city". Infatti, come mostrano alcuni studi approfonditi sul sistema degli informatori, chiunque, non solo le persone reclutate dalla comunità, può (ed è incoraggiato dalle autorità a farlo) riferire informazioni su trasgressioni o su sospetti trasgressori, attraverso app mobili specializzate e piattaforme online; cosa che viene considerata conveniente.» [*18]
Siamo pienamente d'accordo con le osservazioni fatte dagli autori del GFK per quel che riguarda le «ispirazioni», e anche gli equivalenti americani ed europei di tali sistemi. Non stiamo dicendo niente di diverso! Noi pensiamo che la Cina, come potenza economica in ascesa, serva qui da paravento: è facile accusarla di «totalitarismo tecnologico», usando a cuor leggero e con le mani pulite le stesse tecnologie altrove. Ma questo non significa che non si tratti di totalitarismo tecnologico, anche se riconosciamo che una definizione di "totalitarismo" andrebbe concordata. Ripetiamo: solo perché l'Occidente usa la dittatura cinese come paravento, ciò non significa che la dittatura non esista.
Per quanto riguarda l'ipotesi del laboratorio, non ci ha mai appassionato molto, sia perché era l'ipotesi preferita dai teorici della cospirazione, e anche perché è stata confutata fin da subito. Oggi, però, è riemersa ufficialmente. Ci sono molte prove contro, ma anche alcune che non la escludono. La missione di esperti inviata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a Wuhan per indagare sulle origini del virus è tornata senza alcuna certezza. Le autorità cinesi erano poco trasparenti, e per uno degli investigatori, Peter Daszak, c'erano dei conflitti d'interesse. Solo una cosa è chiara: il governo cinese ha fatto di tutto per impedire che l'indagine si svolgesse in modo trasparente e indipendente.
Non contestiamo (fino a prova contraria) che la Cina o la Nuova Zelanda abbiano evitato numerose morti, ma contestiamo che questa «efficacia» sia un argomento a favore di questa politica sanitaria. Innanzi tutto, un commento sulla nostra riserva («fino a prova contraria»): è perfettamente lecito avere dubbi in proposito per quel che riguarda la Cina, e nella primavera del 2020 molti osservatori li hanno espressi. Il confronto con i registri della mortalità sembra suggerire che nei primi tre mesi i rapporti ufficiali siano stati raddoppiati [*19]. Uno studio basato sul numero di urne funerarie, ha dato una stima dello stesso ordine [*20]. All'inizio del 2021, l'emittente Free Asia Radio ha anche rivelato l'inquietante scomparsa dei nomi di 150.000 anziani beneficiari di una pensione di Stato [*21]. Non abbiamo controllato se questa informazione sia vera o falsa, ma può essere verificata. Stranamente, sembra impossibile trovare informazioni più recenti o discussioni serie in proposito. L'unica cosa certa è che non c'è motivo, ancora oggi, di credere al discorso ufficiale, e che chiunque apra la bocca sul posto rischia per l'appunti di «scomparire». Possiamo supporre - ma è solo un'ipotesi - che alla fine, dopo i dubbi espressi dalla comunità internazionale nella primavera del 2020, questa situazione oggi vada bene a tutti. Poiché se la Cina esce vittoriosa - in maniera reale o presunta - dalla «guerra contro il virus», ecco che allora diviene lecito interessarsi ai suoi metodi - reali o presunti - e persino importarli, continuando a fare i gargarismi circa la superiorità dei nostri «valori europei», i quali, essi sì, sarebbero assolutamente immuni al virus della dittatura cinese.  La strategia occidentale è stata ambivalente fin dall'inizio: da una parte lodando il successo del lockdown cinese, dall'altra dubitando apertamente delle cifre che venivano comunicate. È questa ambivalenza, che stiamo cercando di spiegare.
Ora, passiamo alla natura della risposta dello Stato cinese. Il normale tasso di crescita ha certamente dato alla Cina un vantaggio nell'affrontare la crisi sanitaria, dato che si trattava di dirottare e rilanciare aggressivamente sé stessa a livello internazionale. Nel 2020, la Cina è stata l'unica grande potenza a mostrare una crescita positiva, sebbene in rallentamento.Una cosa è certa: «La Cina è guidata dal rimbalzo delle sue esportazioni, che a dicembre [2020] sono aumentate del 18%, soprattutto per i prodotti medici, e  beneficia delle difficoltà logistiche sofferte dai suoi concorrenti.» [*22] Ma non si può certo dire che la Cina abbia praticato il contenimento della produzione per due anni. La cosa è durata solamente dal 23 gennaio all'8 di aprile. Dopo il primo lockdown a Wuhan, è stato fatto di tutto per far sì che la gente continuasse a lavorare normalmente; l'attenzione principale è stata posta su un controllo molto rigoroso delle frontiere e del traffico aereo, oltre che su un atteggiamento estremamente reattivo su ogni minima segnalazione di un caso. Questo può essere lodevole, ma nel contesto della politica interna ed estera della Cina, è chiaro che questa forma di controllo non è diversa da quella che abbiamo in atto qui: concentrarsi sulla ricerca di contatti, test, maschere e vaccinazioni, ma toccare il meno possibile l'apparato produttivo. Una cosa che non è mai stata menzionata in questa discussione, è la generalizzazione del telelavoro (e della consegna a domicilio). Questo sembra offrire più "libertà" ai lavoratori che lo hanno scelto, ma offre anche più libertà ai datori di lavoro, che potranno risparmiare spazio negli uffici. La banalizzazione del telelavoro è una delle cose che distingue il primo lockdown europeo (nel quale sono state messe in atto misure di lavoro a orario ridotto, almeno in alcuni settori) da quelli successivi, dove c'era un telelavoro quanto meno parziale, e nessuna disoccupazione. Una tendenza questa, che non scomparirà. Secondo noi, tutti i paesi che hanno attuato la strategia Zero Covid hanno puntato sulla informatizzazione massiccia delle attività, accompagnata da tutto l'armamentario autoritario riguardo i contatti e la vita quotidiana. Lo spazio privato (la casa) si confonde con lo spazio di produzione, e il resto della vita sociale è controllato, monitorato o addirittura soppresso per motivi di salute. Simultaneamente, nessuno spazio sfugge alla connettività. Questo è esattamente ciò che noi, da parte nostra, esitiamo a definire come un «vero lockdown». Soggettivamente, sì, abbiamo tutti molte ragioni per sentirci confinati, e per una buona ragione! Ma dal punto di vista della riproduzione oggettiva del sistema? La produzione non è stata confinata, ma solo limitata. Secondo noi, soltanto un arresto completo della produzione (eccetto, diciamo, la produzione alimentare e medica) meriterebbe il nome di «vero lockdown». Per questo non crediamo che tutto ciò che si chiama contenimento nel mondo, sia in Asia che in Europa, meriti tale nome. Ma piuttosto ci sembra che quello che abbiamo chiamato il «momento iniziale di sbigottimento» abbia coinciso con quel breve momento in cui si è praticato qualcosa di enorme, come mandare a casa la gente e lasciarla senza lavoro. La critica del lavoro, svolta a partire dalla critica del valore, deve, a nostro avviso, affrontare questa piccola differenza che costituisce la differenza.
Quale che sia il «sentimentalismo» nella nostra stima comparativa del primo lockdown in Cina e nel resto del mondo, «salvare delle vite» potrà avvenire solo al prezzo di un crescente controllo in tutti i settori, e di un aumento dell'autoritarismo che colpisca tutta la vita sociale. Approfondendosi, la crisi ecologica non potrà fare altro che costringere i governi a prendere le misure più liberticide, la cui utopia è rappresentata dalla «smart grid», dalla «smart city» e dallo «smart planet». In tale senso, ora forse è arrivato il nostro turno di restituire agli autori di Karlsruhe il nostro di stupore. per quello che è il loro «sentimentalismo», allorché lodano il modello sanitario cinese - indipendentemente da tutte le zone d'ombra che abbiamo menzionato - per aver «salvato così tante vite», proprio nel momento in cui questo modello autoritario e biopolitico (per non dire totalitario) è proprio quello che è stato messo in atto sotto i nostri occhi, e che è proprio al servizio della distruzione accelerata di tutte le basi della vita. Vedendola così - in questo modo - le «vite salvate» nel corso della crisi del coronavirus non sono altro che altrettante «vite rovinate» nel perseguimento della macchina di morte planetaria. Contrariamente a quello di gran parte della sinistra critica, il nostro progetto non è discutere i meriti di questa o di quella misura sanitaria più o meno efficace - e forse ci siamo lasciati trascinare troppo in questa discussione - bensì capire in che modo i "lockdown" siano stati tutti altrettante versioni di un'unica mutazione del capitalismo di crisi in una società del controllo. E questo non è necessariamente avvenuto solo in virtù di ideologie autoritarie, ma soprattutto a partire dalla sua logica interna di decomposizione.
Le altre questioni geopolitiche sollevate in seguito dagli autori (Uiguri, Hong Kong, ecc.) fuoriescono dal campo della discussione specifica circa la gestione della pandemia, e richiederebbero molto più tempo e competenze. Tuttavia, gli autori ci sembrano ancora preferire un atteggiamento caritatevole, o relativistico, nei confronti dei gravi abusi commessi dalla Cina, e tutt'a un tratto anche verso Cuba e la Russia. C'è rimasto qualcosa da salvare in questi paesi? Non è che forse abbiamo a che fare con la sopravvivenza di una vecchia sinistra inguaribile, la quale non ha ancora voltato la pagina della guerra fredda? Questo genere di compiacenza la si può trovare nel Comitato Internazionale della Quarta Internazionale [*23]. Denunciare l'ipocrisia occidentale non può servire a coprire le forme che il capitalismo assume nei paesi ex socialisti. Si può rifiutare risolutamente di «scegliere» tra le diverse forme concorrenti che il capitalismo in crisi assume, se non altro perché le loro rivalità commerciali e geopolitiche sono solo epifenomeni della loro dipendenza reciproca e globale (pertanto a livello «categoriale» dell'analisi). Non c'è bisogno di salvare i sistemi dittatoriali per accusare le democrazie liberali, così come non è necessario salvare le democrazie per accusare le dittature, nel momento in cui si tratta di criticare la forma Stato e la forma Merce.
Questo dibattito tocca l'essenziale. È facile per noi criticare questa o quella politica sanitaria, e pretendere che un'altra politica sia più razionale. Da due anni a questa parte, tutti quanti danno la loro opinione circa la «migliore gestione della salute», e anche una certa sinistra ama questo genere di esercizio. Vedendolo dal punto di vista rigoroso della «ragione materiale» capitalista, non crediamo di avere da offrire uno scenario alternativo per una migliore gestione della salute; lo abbiamo detto e voi avete reagito male. Ciò si inscrive, in ogni caso, nella stessa razionalità capitalista, la quale non può essere ridotta a quei compromessi particolari che hanno luogo a livello nazionale. Pertanto, nel modello cinese, neozelandese, ecc., esiste anche un altro aspetto - quello della chiusura delle frontiere e della costruzione di enormi centri di quarantena - che dovrebbe entrare a far parte della discussione. Vale a dire, che ciò che questo potrebbe significare per i migranti e per i lavoratori stranieri non viene neanche menzionato. Serve a ricordarci come il ripiegamento nazionale (temporaneo o selettivo) costituisca sempre il rovescio invisibile della globalizzazione. Quando si protesta contro un eventuale obbligo di vaccinazione, ma si suppone simultaneamente che un'altra gestione sarebbe possibile, ecco che si ammette implicitamente che la chiusura delle frontiere, i controlli generalizzati, la digitalizzazione delle attività, sono una soluzione preferibile (a meno di negare la realtà della pandemia). Ecco che allora la «dimostrazione della riduzione del numero di morti» tende a giustificare questa tendenza di fondo, la quale ci sembra non meno barbara delle così tanto disprezzate e denigrate politiche europee di vaccinazione. A nostro avviso, fanno tutte parte dello stesso «pacchetto» biopolitico. Giustificare una di queste politiche nazionali solo a partire dal conteggio del numero di morti evitate, non può essere altro che un'ammissione di fallimento, oltre che una forma di compiacenza a fronte della tendenza all'aumento di morti che poi giustificherà necessariamente tutte quelle misure che verranno prese per la «protezione della vita» (questa è infatti la retorica con cui il ministro francese della salute Olivier Véran giustifica la pletora di misure fastidiose e talvolta inverosimili).
Non si tratta di «proteggere la vita» - rifiutiamo ogni forma di vitalismo ed ecologismo - si tratta di mettere fine a questa macchina di produzione perché è una macchina di morte. La distruzione della natura è solamente la conseguenza della distruzione della società. Porre fine a una macchina di morte non è simmetrico a «proteggere la vita» o «proteggere la natura», ma significa difendere la possibilità della società. (Questa sfumatura sfugge alla maggior parte degli ambientalisti). Porre fine a questa macchina di morte significa, a nostro avviso, rompere nel punto giusto con la ripugnante retorica vitalista che ne è la sua moderna propaggine. La «vita nuda», come dice l'altro, non è il bene supremo. Le società non si sono mai organizzate simbolicamente e materialmente in termini di «salvare la vita», ma per permettere la continuazione della società.

In seguito a questa risposta, gli autori del Gruppo di Critica Feticista di Karlsruhe ci hanno inviato un lungo saggio sul fallimento della NATO nel mantenere le sue promesse (soprattutto per quanto riguarda la sua estensione all'Europa orientale). Abbiamo ammesso di aver trascurato l'aspetto geopolitico nelle nostre risposte, e non volevamo entrare in un nuovo dibattito. Lo scambio finì lì.

- Fonte: Grundrisse. Psychanalyse et capitalisme - 8 gennaio 2022 -

NOTE:

[*1] - Per non parlare della perdita di produzione dovuta ai problemi presso i fornitori, ai quali mancavano appunto i prodotti intermedi forniti dalla Cina.

[*2] - L'orientamento all'esportazione è pertanto il criterio decisivo per sottoporre i settori economici al lockdow e non, come dicono erroneamente gli autori, «tutto ciò che ha importanza economica deve continuare a funzionare il più a lungo possibile, mentre la vita quotidiana "senza valore" viene sempre più tagliata».

[*3] - Sarebbe necessaria una quarantena da 4 a 6 settimane (sulla base di un periodo di incubazione di 6 giorni in media) e non certo un anno, e nemmeno un «periodo di tempo indefinito», come viene formulato dgli autori. [Il nostro testo in tedesco afferma: «Questo modo di produzione non è in grado di assumere una pausa nell'attività economica che sia lunga il necessario, anche quando l'attività economica viene descritta come "non essenziale". In un altro modo di produzione, si potrebbe, per esempio, smettere completamente di costruire, di viaggiare, di produrre lavatrici, automobili, gadget e partite di calcio per un anno: la penuria sarebbe abbastanza sopportabile per i ricchi, e i poveri sono abituati a farne a meno! Ma nel regime capitalista, anche due giorni di interruzione sono una catastrofe». (SA & FG)

[*4] - Il testo tedesco argomenta: «Ma possiamo essere perplessi sulla gestione di questa pandemia senza negarne la realtà, al contrario di alcuni antivaxers. Non perché pensiamo di avere una risposta migliore e una spiegazione migliore di chi comanda, ma perché riconosciamo, al contrario, che nessuna risposta politica può essere adeguata alla crisi attuale.» (SA & FG).

[*5] -  Come hanno notato alcuni partecipanti, alcuni malintesi sono nati da un'errata traduzione della parola "sbigottimento" (SA & FG).

[*6] - Commento aggiunto qui: questo è il problema irrisolto del "socialismo in un solo paese".

[*7] - Commento aggiunto qui: ciò per dire che riceviamo in un momento "nel reale" esattamente ciò che non vogliamo conoscere "nel simbolico".

[*8] - Vedi il programma radiofonico di Deutschlandfunk "The Virus Trail, Part 2, the Laboratory Hypothesis": l'ipotesi del laboratorio ha avuto un'ascesa fulminea a partire dalle profondità dei social network per arrivare al briefing della stampa della Casa Bianca: all'epoca, Donald Trump era in carica. Dice di avere le prove che il Sars-Cov-2 è stato creato in un laboratorio dai cinesi. Ma non vuole rivelarlo. «Non posso dirlo. Non mi è permesso dirlo. A differenza di Trump, la grande maggioranza degli scienziati non crede molto nell'ipotesi di laboratorio. Per gli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, rimane estremamente improbabile dopo una prima missione di indagine a Wuhan. Più su questo, nel programma Deutschlandfunk in questione.»

[*9] - Perché questo non è degno di nota da parte di Aumercier e Grohmann?

[*10] - Questa evoluzione verso una bassa patogenicità e quindi, si spera, la fine di questa pandemia, sta arrivando con la variante omicron. Ma si tratta di qualcosa di diverso dalla ristretta ignoranza di un pericolo che finora è stato molto reale.

[*11] - Parola chiave: progetto cinese della Via della Seta.

[*12] - Nel "campionato mondiale" di autocelebrazione, è proprio la Germania Ovest che gioca un ruolo di primo piano, ma senza alcun fondamento.

[*13] - C'è almeno un punto su cui il "terrore di Stato cinese" differisce chiaramente dall'Occidente, cioè la questione della vaccinazione. Contrariamente alle campagne di disinformazione e di denuncia contro i non vaccinati qui, non esiste una vaccinazione obbligatoria contro il Sars-CoV-2 in Cina. Le autorità sanitarie cinesi hanno notato e comunicato fin dall'inizio l'inadeguatezza dei vaccini in termini di immunità sterile, e quindi la loro utilità per il contenimento o l'eliminazione del virus. La vaccinazione è stata lasciata alla discrezione di ogni individuo, in modo perfettamente adeguato e razionale, con il solo scopo di migliorare la protezione individuale.

[*14] - Potrebbe essere questo il prossimo campo minato per "scioccare" la gente? In vista delle attuali aggressioni della NATO, un'analisi di questi eventi sarebbe davvero di grande rilevanza.

[*15] - Vedi: https://www.leparisien.fr/international/coronavirus-deux-citoyens-journalistes-disparaissent-a-wuhan-pekin-accuse-de-censure-11-02-2020-8257686.php : "sono segnalati come scomparsi dai loro parenti".

[*16] -  Vedi https://www.rfa.org/english/news/china/crackdown-01132021105640.html ; https://www.rfa.org/english/news/china/covid19-detentions-06102021104346.html ; vedi anche: https://www.rfa.org/english/news/china/covid-india-05042021083521.html : «Il 28 dicembre 2020, la giornalista cittadina Zhang Zhan è stata condannata a quattro anni di reclusione dal Tribunale del Popolo del distretto di Pudong, che l'ha ritenuta colpevole di "aver creato liti e fomentato problemi", un'accusa frequentemente usata per colpire i critici del governo. (...) Nel frattempo, Chen Mei e Cai Wei, che hanno cercato di preservare le informazioni censurate di COVID, sono ancora in detenzione, ha detto CHRD. (...) La Cina è stata tra i più grandi carcerieri di giornalisti al mondo nel 2020, continuando un modello di controllo statale totale sui media iniziato sotto Xi, con più di 100 giornalisti e blogger attualmente dietro le sbarre, secondo il gruppo per la libertà di stampa con sede a Parigi, Reporter senza frontiere» (RSF).

[*17] - Vedi: https://chuangcn.org/2020/11/interview-with-asia-art-tours/

[*18] - Vedi Jue Jiang, «Una questione di diritti umani o di sinistra umana? - la "guerra del popolo contro il COVID-19" sotto il sistema di "gestione a griglia" in Cina», Journal of Contemporary China, 2021.

[*19] Vedi: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7900645/

[*20] - See: https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.05.28.20116012v1

[*21] - Vedi: https://www.rfa.org/english/news/china/doubts-02172021092531.html

[*22] - Vedi: https://www.lefigaro.fr/flash-eco/malgre-le-covid-la-chine-signe-une-croissance-positive-en-2020-20210118

[*23] - https://www.wsws.org/en/articles/2021/12/14/hluo-d14.html

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