«Un uomo che è ormai entrato nel quarto secolo di vita, senza dubbio alcuno è immortale.» ( Michail Bulgakov )
Scritto fra il 1932 e il 1933 ma pubblicato oltre vent’anni dopo la morte del suo autore a causa della censura, questo testo ripercorre la vita del drammaturgo francese dai suoi umili inizi ai successivi trionfi teatrali, senza trascurare le controversie politiche. Con una sapiente miscela di biografia e immaginazione romanzesca, l’eccentrica e satirica interpretazione di Bulgakov è capace di catturare su pagina il genio di Molière, andando ben oltre la semplice biografia. L’autore infatti “si sente talmente prossimo al protagonista della biografia che sta scrivendo da rischiare ogni momento di scivolare nell’autobiografismo”, ma riesce “con atteggiamento ironico e pieno d’affetto sempre a fermarsi a lato della scena, lasciando al suo eroe il centro del palco,” scrive Serena Prina nella sua Introduzione. Dove si ricorda inoltre come Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, sia ancora oggi un personaggio avvolto dal mistero (i suoi manoscritti andarono tutti perduti), sebbene abbia segnato indelebilmente la storia del teatro del suo tempo e del tempo a venire. In comune lui e Bulgakov avevano, oltre alla grande passione per il teatro, un pungente sguardo satirico, una lucida capacità di cogliere la componente grottesca della realtà e un’onestà intellettuale che li portò, entrambi, a scontrarsi con l’ipocrisia che li circondava. Tutto ciò fa di questo libro uno dei più lucidi e appassionanti studi biografici su Molière, oltre che una splendida opera letteraria.
(dal risvolto di copertina di: "Vita del signor de Molière" di Michail Bulgakov . Feltrinelli, € 11,40)
Il 13 gennaio 2022 saranno 400 anni esatti dalla nascita di Molière. Per l’occasione Feltrinelli manda in libreria una nuova edizione di una delle sue opere più celebri, L’avaro, tradotta da Donata Feroldi con la prefazione di Fernando Marchiori (pagg. 240 € 9). In contemporanea esce la Vita del signor de Molière di Michail Bulgakov (pagg. 336, € 12), tradotta e curata da Serena Prina (che qui la presenta) per la prima volta in versione integrale (nel testo sono evidenziate le parti censurate della edizione Mondadori del 1962). La cura per i dettagli storici, la vivace descrizione della Francia del XVII secolo fanno sì che la Vita del signor de Molière sia, per stessa ammissione dell’autore, più un romanzo che una biografia tradizionale. Il lavoro venne accolto con disapprovazione dalle autorità sovietiche, che lessero in filigrana parallelismi tra le vite di Molière e Bulgakov, e videro l’opera come una velata critica dei loro tempi.
Molière & Bulgakov vite parallele
Nuova traduzione. Nella biografia romanzata del commediografo francese (che ora esce senza tagli né censure) lo scrittore russo si identificò con il protagonista, che come lui aveva subito il peso opprimente del potere
di Serena Prina
La prima parola della Vita del signor de Molière è “io”, «Io converso con la levatrice», titolo del prologo, e proprio in questo “io” così provocatoriamente esibito si racchiude la chiave della mia nuova traduzione. Eccoli qui, Bulgakov e Molière, uno di fronte all’altro, a farsi da specchio: da una parte un biografo che si sente talmente prossimo al protagonista della biografia che sta scrivendo da rischiare ogni momento di scivolare nell’autobiografismo, e che invece con atteggiamento ironico e pieno d’affetto riesce sempre a fermarsi a lato della scena, lasciando al suo eroe il centro del palco; dall’altra un personaggio avvolto dal mistero, i cui manoscritti sono andati tutti perduti, del quale è rimasto un foglietto con poche parole, annotate in fretta, e una firma isolata, un uomo dalla vita infelice, un malinconico. Da una parte la Russia sovietica degli anni ’30 e dall’altra la Francia di Luigi XIV, anche qui due epoche a farsi da specchio, a proporci, nel rimbalzare dall’una all’altra, le affinità profonde del gioco spesso mortale del potere, che ebbe un esito assai più drammatico per Bulgakov rispetto a Molière, ma che in tutti e due i casi ne amareggiò l’esistenza e ne determinò la carriera. E duplice è anche la natura di questa Vita: da un lato una biografia completa, erudita, che resiste allo scorrere del tempo, scritta in una lingua lieve e appassionata, e dall’altro la profonda riflessione del complesso rapporto tra un artista (ogni artista) e la propria epoca, quando quest’epoca è segnata dal dispotismo e dal servilismo che ad esso sempre s’accompagna. Se però Molière aveva avuto la possibilità di salire ogni sera sul palco e attaccare le ipocrisie e le bigotterie dei suoi nemici, Bulgakov s’era dovuto limitare ad accendere le candele nel suo studio e immaginare Margherita che devastava gli appartamenti dei critici che tanto lo detestavano. Aveva potuto solo inventarsi un suo teatro, indossare un costume seicentesco, rivolgere un inchino a una platea vuota.
La sua vita di scrittore non era mai stata facile ma, a partire dal 1926, divenne impossibile: da quel momento Bulgakov pubblicò in terra sovietica soltanto un breve estratto della commedia La fuga, sulla rivista «Krasnaja gazeta», nel 1932: 14 pagine in 14 anni, e poi la morte, il 10 marzo 1940. Intanto la sua esistenza s’andava intrecciando a quella di Molière, col quale condivideva, oltre alla passione per il teatro, lo sguardo satirico, la capacità di cogliere la componente grottesca della realtà, l’onestà intellettuale. «Leggo, rileggo e amo Molière da quando ero bambino», disse Bulgakov in un’intervista del 1936, e a Molière dedicò un adattamento del Borghese gentiluomo per il Teatro d’Arte di Mosca, la traduzione dell’Avaro, la pièce La cabala dei bigotti (tolta dal cartellone dopo sette repliche, nonostante il successo di pubblico) e la nostra Vita, firmando nel 1932 un contratto per una collana diretta da Gor’kij. Il testo naturalmente venne respinto dalla redazione con la seguente motivazione: il narratore «non solo ignora l’esistenza del cosiddetto metodo marxista di analisi dei fenomeni storici, peraltro piuttosto noto da noi in Unione Sovietica, ma gli è persino estraneo in generale qualsiasi “sociologismo”, persino secondo la comprensione borghese di tale termine... non è questo il Molière che il lettore sovietico deve conoscere e apprezzare». E quando, agli inizi degli anni ’60, il nome di Bulgakov cominciò a riemergere dall’oblio, le sue opere dovettero subire infinite mutilazioni, secondo le modalità chiaramente indicate dal redattore che, nel 1933, aveva respinto il manoscritto della Vita: nessun riferimento alla contemporaneità, al potere, alla censura.
Niente satira e, mi raccomando, niente sesso: Margherita, nel suo volo da strega, non poteva essere libera e nuda, e il riflesso capovolto a gambe all’aria della signora de Calvimont nello stagno di La Grange, nella Vita, doveva assolutamente scomparire. Ecco perché, ogni volta che ho avuto la fortuna di lavorare a un testo di Bulgakov, per me è stato fondamentale segnalare tutti questi interventi al lettore, per permettergli di toccare con mano quello che, nella scrittura di uno dei più grandi autori del Novecento, era così intollerabile per il censore sovietico. Perché se è vero, come dice Woland, che i manoscritti non bruciano, a volte tanto, troppo devono penare per venire alla luce, ed è doveroso averne memoria.
Bulgakov non era mai stato a Parigi e, quando scriveva la Vita, sapeva che non ci avrebbe mai messo piede. Ecco quindi che questa città dove Molière aveva lottato, sofferto, trionfato, si fa città del desiderio e, come per la Mosca di Cuore di cane e del Maestro e Margherita, fu anche attraverso i nomi delle vie che Bulgakov si appropriò di una Parigi «irreale e favolosa» di cui parla in una lettera al fratello Nikolaj del 1933. Proprio per questo motivo nella presente traduzione si è rispettato il suo particolare rapporto con la città: il Pont-Neuf, per Bulgakov, è il Novyj most, il Ponte Nuovo, Les Halles il Mercato, il Marais diventa la Palude, e così via.
Per Molière la lotta per il suo Tartufo era stata una lotta per la vita, e alla fine aveva vinto: per Bulgakov la lotta per le sue opere era rimasto un fatto privato, senza speranza, confinato alla sua stanza, dove lo scrittore era morto come un lupo solitario, arruffato, sfinito. E tuttavia, nonostante tutta questa amarezza, ciò che oggi ci resta al termine della lettura della Vita del signor de Molière è soprattutto una sensazione di grazia infinita.
- Serena Prina - Pubblicato su La Domenica del 9/1/2022 -
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